SentireAscoltare – Capitolo 3 – La Comunità 2

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SentireAscoltare – Capitolo 3 – La Comunità 2

di Edoardo Bridda

3.4 La crisi della comunità e la modernità
Parlare della crisi della comunità vuole dire: la fine di un ordine che si è costruito in un tempo
piuttosto lungo, sull’ordine di migliaia d’anni.
…la comunità c’è perché è una grande strategia evolutiva. E nell’essere questa strategia, lo scopo
della Comunità e della sua riproduzione è il seguente: fare in modo che non ci sia mai schizofrenia
fra la materia che vive, i cromosomi, il corpo, il logos individuale, da un lato, e la realtà
emergente dell’esperienza collettiva, dall’altro. Il mondo è qualità. Le cose hanno un valore
profondo. Hanno vincoli normativi. Sono sostanze… … la storia che è contenuta nell’essere sia
delle cose sia degli uomini è la storia della mitopoiesi. Sia l’essere delle cose sia il mondo umano
che lo ha reso possibile sono qualità. Sono materia. Sia l’uno che l’altro sono realtà virtuosa. Ma
loro sono tutto questo perché dentro di loro c’è riversata la mitopoiesi. Ossia: c’è la riproduzione
del rapporto mitopoietico che coinvolge l’individuo e la Comunità. Dentro di loro c’è una memoria
[90] .
Il moderno si può, riassumere nelle parole di G. Piazzi, come la fine, l’oblio di questa realtà o
condizione evolutiva. La fine cioè di un frangente della storia umana dove dentro le cose c’era la
storia e quest’ultima era guidata da una memoria, vincolante e normativa. Il moderno è, quindi,
l’emancipazione dell’individuo dai vincoli delle società tradizionali, costituiti sul principio di
ceto e di nascita, che riconoscevano l’uomo unicamente come membro di un gruppo o di una
collettività.

… l’individuo tende a presentarsi come un essere unicamente responsabile di se stesso. L’individuo
intende rigettare qualsiasi determinazione esterna diretta a definirlo secondo valori estranei alla
sua natura interiore. Egli vuole essere dunque autonomo da qualsiasi condizionamento esterno, nel
tentativo di affermare la propria unicità [91] …
Nella sociologia classica è, in sostanza, l’affermarsi del valore di scambio e del denaro che hanno
permesso la graduale ed inesorabile scomparsa della comunità, e le conseguenze che ciò porta con sé
in termini di condizione umana. Il denaro, infatti, significa abbandonare il riferimento ad un Noi
forte in quanto contrapposto al Loro.
…significa concretamente abbandonare i diversi processi mitopoietici (valori religiosi, tradizioni
culturali, costumi, ecc.) che hanno incarnato storicamente le varie forme della distinzione Noi/Loro
e che concretamente sono intervenute a formare l’identità individuale. È la perdita di quello
“sfondo significativo” rappresentato dalla comunità, da quella che Piazzi ha chiamato la società
consistente [92] .

Per dirla con Marx, nella comunità c’è valore d’uso e questo vuole dire che: l’uomo produce le
condizioni della propria esistenza tramite la produzione di ciò di cui necessita, la produzione di
cose utili. Il valore d’uso delle cose è importante perché va al di là della mera utilità
“economica”, e implica un rapporto complessivo fra l’uomo e le cose di natura extra-economica, ha un
significato di sopravvivenza ma, contemporaneamente, ha un significato simbolico orientato alla
valorizzazione di sé in quanto membri di una determinata comunità [93] . Mentre nella società
capitalistica c’è progressivamente sempre più valore di scambio, e cioè, c’è la separazione delle
cose utili dalla loro utilità e dalla loro qualità simbolica, o meglio, il fare di esse cose utili
dei semplici mezzi per lo scambio, dei valori di scambio. La canzone folk cantata ad una festa
paesana non ha più valore in sé, in quanto soddisfa bisogni ludici, quali il ballo di una comunità ,
bensì, vale come merce, cioè, in quanto deve essere venduta, scambiata.

Anche Simmel vede nel denaro il fattore chiave del moderno, inteso come passaggio dalla comunità
alla società. F. Manattini ci riassume, il suo pensiero riguardo a questa transizione, in quattro
punti: 1) il denaro (valore di scambio) svincola l’individuo dal legame tradizionale col gruppo
(libertà) ma, contemporaneamente, lo espone alla insicurezza e al rischio dell’isolamento in cui può
essere maggiormente colpito; 2) il denaro astrae dalle particolarità, dalla specificità degli
individui, li frammenta e li considera solo per quella porzione o frammento di sé funzionale (ruolo)
allo scambio sociale ed economico; è pertanto il denaro che consente di pensare a quella totalità
indivisibile che è la persona come a qualcosa di, tendenzialmente, divisibile, misurabile e
scambiabile all’infinito; 3) il denaro, con la sua velocità di circolazione generalizzata,
moltiplica in modo esponenziale le possibilità di scambio sociale e la dipendenza reciproca, anche
fra persone molto distanti, ma ciò proprio perché svuota le personalità di (astrae da) quei
contenuti non scambiabili; 4) il denaro, infine, moltiplicando e generalizzando gli scambi, rende
concreta la possibilità di un accumulo tendenzialmente infinito di sapere, come si osserva sempre
più condensato nelle conquiste della tecnica (il cervello sociale di Marx, le macchine industriali).

Il denaro, con la sua azione decontestualizzante, ha creato le condizioni necessarie per il sorgere
degli ideali borghesi e per il verificarsi concreto di quelle condizioni indispensabili alla
liberazione dell’individuo. Condizioni che consistono soprattutto nella separazione dal gruppo di
appartenenza resa possibile dal superamento di un’economia naturale ancora finalizzata alla
sopravvivenza. Il superamento di tale unità, fra persona e rapporti materiali, propria delle epoche
a economia naturale
…viene dissolta dall’economia monetaria che in ogni momento inserisce fra la persona e la cosa
qualitativamente definita l’istanza del tutto oggettiva e in sé priva di qualità del denaro e del
valore monetario. Rendendo il rapporto tra di loro mediato, essa crea una distanza fra persona e
proprietà. [¼] Il denaro crea infatti, da un lato, un’impersonalità dell’agire economico sconosciuta
in passato, dall’altro un’autonomia e indipendenza della persona altrettanto forti [94] .
La libertà è una conquista evolutiva però trova il suo inevitabile rovescio della medaglia
nell’impersonalità, il che vuole dire: tutto ciò che è legato all’umano in senso affettivo o morale
– valore d’uso – viene banalizzato, o meglio, per dirla con F. Manattini viene eliminato, reso
superfluo.

Rapporti sociali sempre più mediati dal denaro, significa che questi rapporti per funzionare non
hanno bisogno d’altro che di denaro, o hanno sempre meno bisogno di tutto ciò che non è denaro. Non
è che le qualità di un individuo, i suoi sentimenti, i suoi affetti e quant’altro, vengano dal
denaro occultati: semplicemente vengono resi obsoleti e inutili, in quanto nel denaro ciò che conta
è la quantità e non la qualità. O ancora: sentimenti, affetti e quant’altro rimangono attuali e
utilizzabili solo se ed in quanto possono essere trasformati in denaro [95] .
La canzone pop che richiama i sentimenti – anche genuini – degli adolescenti viene di fatto trattata
e venduta come merce, perché questo tipo di organizzazione sonora può materializzarsi in denaro. Non
è importante la qualità del sentimento che comunica la canzone al teenager, ma la sua funzionalità a
produrre plusvalore.
Dunque il moderno è la mitopoiesi che entra in una crisi profonda e inarrestabile. Se, da una parte,
la condizione evolutiva dell’uomo migliora, anzi, fa un salto di qualità; dall’altra ci sono degli
inevitabili costi da pagare. Osserviamo i pro. C’è di positivo che la materia che vive, gli
individui, diventano la Vita, e questa senz’altro è una svolta epocale. Piazzi afferma, in proposito
che la materia che vive non ne vuole più sapere delle distinzioni al suo interno [96] , la materia,
da ora in poi, comincia a predisporsi ad essere vita in senso vero, in un processo autoimplicativo,
che trae da sé, e non più dalla comunità, la sua salute individuale. Adesso, afferma G. Piazzi, nei
cromosomi inizia ad esserci tutta l’eredità filogenetica. E non solo frammenti di filogenesi.
L’appartenenza è il Sapere genetico, biosimbolico, della condizione umana in quanto tale. La
comunità e la mitopoiesi rimangono intraspecifiche, legate ancora alle distinzioni interne alla
stessa materia che vive, mentre la vita, che prende piede, è programma autoimplicativo, in sé e per
sé, distinzione dalla non-vita da sola. La vita si prepara a compiere il suo destino da sola, non
più funzione della comunità ma solo funzione di sé stessa.

La materia che vive nei cromosomi si ripulisce del senso creativo dovuto alle distinzioni interne
alla vita= questa materia (biosimbolica) diventa più ricca e più complessa = la materia che vive non
è più lì per avere rapporti ed integrazioni da fuori può fare da sola = la materia che vive diventa
funzione esclusiva di sé, in sé e per sé = in funzione esclusiva della salute del singolo individuo
= che é una salute pensata e voluta, tutta e soltanto, per scopi interni, che inizia e finisce
soltanto all’interno del singolo corpo-cervello-mente [97] .
La vita, è decontestualizzazione, astrazione dalla non-vita. Non più materia che vive in funzione
della trascendenza (la comunità sociale) e se la vita si libera, da ciò che la teneva legata da
fuori, anche la musica, di conseguenza, si libera, diventa contingente. La musica non può più essere
proprietà della comunità, la vita non lo vuole più e, di conseguenza, diventa astratta – altro da sé
– rispetto alle radici contestuali a cui era legata. Come ha osservato Collins la gente ha forse per
la prima volta la possibilità di costruirsi un proprio ambiente simbolico.
La gente, che porta a spasso i registratori portatili e le radio per ascoltare la musica popolare è
letteralmente avvolta in un bozzolo di significati auto-prodotti quasi ogni momento del giorno;
nelle società pre-moderne essa era inclusa (faceva parte) di un autoritario cerimoniale religioso,
nel quale la frequenza non era attesa ma forzata [98] .

Via via si costituisce una costellazione di simboli legati alla musica del tutto autonomi rispetto
alla collettività. D’altronde la vita ora più che mai è completamente nuda. Del tutto astratta dalle
concretezze di ciò che sempre ha voluto trascenderla. Il massimo dell’astratto? Certo, perché
oramai, la singola vita è tutta compiuta nella sua astrazione primaria. Ma a questi lati positivi ce
ne sono inevitabilmente di negativi, la vita ora è nuda di fronte a se stessa, non è più protetta da
quella costellazione di valori organizzati e interiorizzati nella mente, che erano presenti nelle
società pre-moderne in modo netto e pregnante.
…con il sorgere di una economia di mercato cadono le identità collettive e ciò determina una forte
pressione esterna che costringe l’uomo a sviluppare forme di identificazione capaci di sostituire le
tradizionali appartenenze sociali. Secondo i presupposti teoretici della borghesia, essa dovrà
assumere i caratteri di un’identità che abbia un valore universalistico e che sia fondata su
principi di uguaglianza. Ma un’identità che si perde nell’astrazione del valore universalistico e
generalizzante del concetto di uomo come cittadino del mondo appare anche fragile sul piano della
costruzione del sé. Di fatto questa concezione di identità sarà presto abbandonata proprio per la
sua inconsistenza nel delineare differenze. Proprio perché una identità capace di riunire tutti gli
uomini è un fatto inconciliabile con i presupposti teoretici della cultura, in quanto da sempre le
identità si formano attraverso le differenze [99] .

Di fatto, il Capitale ha fatto emergere il sentire musicale della vita, spazzando via le differenze
tra musica e non-musica, tra arte alta e arte bassa, tra rumore e suono disorganizzato, però proprio
la Vita nuda e cruda di fronte alla sua percezione innata del suono (l’affetto vivo di Stern) è
inconciliabile con i presupposti teorici della cultura sopraccitati da Stauder. Sorge, da qui in
poi, il bisogno di ascoltare la musica, cioè, di intellettualizzarla al fine di toglierla dalla
contingenza delle cose liberate dal vuoto della comunità. È qui che entra in gioco il capitale –
sociale – come nuova forma della trascendenza extra-individuale, ovvero, come sistema che ha
necessità di riprodursi ed imporre le proprie regole, di bonificare il suo ambiente che è la vita.
Quando bonificare non vuol dire altro che propinare una valanga di Compact Disc di tutti i generi
vendibili!
Il capitale vuole le persone, nel senso che vuole degli uomini che dipendono unicamente dalle loro
abilità e, quindi, che possiedano innanzitutto quel “bene mobile” – il diritto di proprietà – che
permetta loro di sciogliere il legame con le forme di vita comunitaria. Lo status di proprietario
diventa quell’aspetto che più caratterizza l’uomo moderno più della stessa appartenenza alla società
in quanto la proprietà non si limita ai beni immobili o mobili ma anche alla disposizione della vita
stessa.

La persona appare come il prodotto di una capitalizzazione di esperienze, di sensazioni e di
ricordi. Essa si costituisce attraverso un vissuto come interiorizzazione di fatti che danno valore
alla vita individuale. Una vita senza vissuto non è una vita, non è persona. La persona produce la
prima distinzione all’interno della vita; essa divide l’uomo in un corpo e in una mente; si
costituisce sul possesso, sull’avere e anche sulla sua predisposizione a cambiare forma e contenuti.
In questo modo l’uomo, in quanto persona, ha la possibilità di autodeterminarsi, di essere creativo,
ma ha anche la libertà di autodistruggersi, di annullarsi. Entrambe le cose sono possibili [100] .
Di fatto ogni corpo trascendente – una coscienza collettiva per dirla con Durkheim – ha sempre
dovuto imporre le proprie regole alla vita [101] , tuttavia, la comunità, al contrario della
società, ha attinto a piene mani in un Sapere ancestrale. Piazzi sottolinea bene questo concetto:
quando la comunità inizia un suo membro, l’iniziazione non avviene su di una tabula rasa. Quando
viene alla luce il corpo-cervello del piccolo è già iniziato… … il Sapere è già presente nei
cromosomi della nuova, singola, materia che vive. Oggi: zigote [102] . Ecco la forza della comunità
contrapposta alla contingenza e astrattezza del sociale, ed ecco la forza della costrinzione e la
debolezza della libertà, ogni cosa ha un suo costo.

Quando il bluesman si è recato negli stati ricchi del Nord degli Stati Uniti, per vivere di musica,
egli ha dovuto abbandonare la comunità, un qualcosa di più di un mero insieme di individui; e se
anche ha goduto di maggiore libertà, rispetto alla discriminazione che lo vedeva perseguitato al
Sud, la sua condizione lo ha portato all’alienazione, all’anomia. La sua musica sarà valore di
scambio per le industrie discografiche, la sua cultura musicale, banalizzata e costretta a
rispettare la forma canzone, nei tempi e nei contenuti imposti dal gusto dei bianchi, gli unici
destinatari della merce musicale. Il nero è entrato nella società, e si è alienato: è solo di fronte
a se stesso. L’importanza catartica del blues è racchiusa proprio in questo: la Vita ricerca la
comunità, ma quest’ultima è persa per sempre, soggetta alla contingenza del sociale. Il nero cerca
di riprodurre uno spirito comunitario – da dentro – attraverso la musica, dialoga con la chitarra
che sostituisce le altre voci nel canovaccio del call and response. Forse la risposta al fallimento
della comunità rock va trovato proprio a partire da dentro, non inseguendo una mitica comunità come
terra promessa – idillio -. Non c’è rivoluzione, se non quella interiore. Ora non c’è concretezza e
significato se non quello che possiamo desumere dalla nostra vita nuda e cruda contrapposta alla
non-vita. Il sociale può farci credere che La Musica vera è quella classica o quella rock, che
bisogna ascoltarla attentamente – impararla – per comprenderla al meglio – con gli intervalli,
l’armonia e gli assoli virtuosi in un certo modo e non in altri – ma sono tutte menzogne, il vero
suono della Vita è selezionato dalla Vita stessa. Se non vi è un ascoltare coordinato con un sentire
la fruizione musicale è soltanto extramusicale ovvero flusso sociale contingenza, astrazione, vuoto
di senso. La musica è astratta di per sé, è un divenire di suoni che possono seguire certe regole
come essere improvvisati spetta al nostro sentire sintonizzarci su ciò che più si avvicina alla
nostra sensibilità – affetto vivo – poi si potrà ascoltare e di conseguenza relazionarsi con
chiunque sia interessato alle nostre asserzioni, dare voti, stilare classifiche, fare distinzioni
all’interno dei generi. Più volte i giovani si sono domandati se il rock fosse una grande truffa,
dunque, a mio avviso, la risposta a questa domanda sta proprio in quanto qui è emerso.

3.5 La Comunità e il rock
Perché i giovani trovano tanto interesse nella musica? Questa è senz’altro la più importante domanda
che si rivolge, da sempre, alla sociologia della musica, la cui risposta potrebbe nascondersi,
ancora una volta, in una rilettura dei classici della sociologia. Come abbiamo sottolineato sopra,
il tema fondamentale, di tutta la letteratura sociologica del XIX secolo, riguarda essenzialmente la
perdita di comunità. Un vuoto di “senso” che ha condotto gli individui all’isolamento e
all’”impotenza” nelle società moderne, e alla loro conseguente ricerca di significati, identità e
senso di appartenenza. Per Marx, ad esempio il capitalismo industriale aveva prodotto niente meno
che l’alienazione totale degli esseri umani dalla loro essenza, riducendo le relazioni personali tra
loro, al valore di scambio. Similarmente, Durkheim, notava che l’implacabile divisione del lavoro, e
il moderno culto della persona, potevano portare ad una società così frammentata da condurre
all’anomia, ovvero, quella condizione patologica nella quale le persone non sentono più alcun
attaccamento alla comunità, nelle sue norme e nei suoi valori. Mentre per Max Weber la “tetra paura”
del moderno risiedeva in una condizione umana totalmente dominata da forze tecnologiche ed
economiche animate dalla razionalità, che avrebbe intrappolato gli individui nelle “gabbie
d’acciaio” della regolamentazione burocratica, riducendoli ad una capacità di ragionamento ristretta
al campo scientifico, logico ed impersonale. P. J. Martin osserva, nelle conclusione del suo libro
“Sounds and Society”:
è forse, in questo processo che la musica popolare è compresa al meglio, soprattutto, come
l’emergere dell’affermazione dell’identità personale e, conseguentemente del senso di appartenenza,
in una collettività più ampia.

Secondo il sociologo inglese, l’intrattenimento moderno è diventato la fabbrica della vita
personale, cioè, il contesto più significativo nel quale noi abbiamo la possibilità di affermare i
nostri sé. In questa ottica può essere inteso anche il business discografico, ovvero solamente come
l’output di un lungo processo dello sviluppo storico, la cui posizione e significato è senza
precedenti nella cultura occidentale.
Il mondo moderno fornisce uno dei modi nei quali la gente può vivere in comunità, per quanto amorfo,
illusorio o fantastico esso possa essere o diventare. Le romantiche comunità chiuse all’esterno
hanno dato una soluzione gli interrogativi per un senso di appartenenza, che è sempre meno
soddisfatto nei network locali come la famiglia e il gruppo di amici. Piuttosto, gli individui
possono cercare di identificarsi con elementi simbolici – le organizzazioni che li impiegano, per
esempio, dai club di calcio o dagli eroi di culto e dagli imbrogli di uno stile di vita alla moda. È
in questo contesto che la popular music diventa una merce utile, e noi possiamo cominciare a capire
una parte della suo inedito consumo.

Infine, conclude il sociologo, un adeguata comprensione della popular music nella società
contemporanea, deve andare dietro la musica stessa, vedendola come una parte – forse anche
essenziale – di una più ampia configurazione culturale. Gli aspetti della musica popolare che hanno
più irritato i suoi detrattori – la sua ripetitività, le strutture semplici, soluzioni prevedibili,
accordi maggiori e così via – possono essere considerati, al contrario, come la sua forza e
popolarità, in quanto forniscono un senso di sicurezza e di coinvolgimento, in altre parole,
un’esperienza relazionale facilmente condivisibile. La musica, in definitiva, sembra essere il
canale privilegiato da sempre più cittadini nel moderno occidente – e non -, perché, forse, essa
rappresenta una soluzione, tutt’altro che temporanea, al fine di sopperire alla mancanza di comunità
– e comunicazione – di oggigiorno.

Le argomentazioni di Martin sono illuminati – in quanto risolvono finalmente le questioni più
spinose che riguardano da sempre la popular music, ovvero, il suo legame con il capitale e la sua
fruizione personale. De-mistificando la visione del Capitale come distruttore di ‘senso’musicale
tout court, da una parte, e accettando il mondo simbolico fatto di suoni esperito dal soggetto come
esperienza significativa, dall’altro è possibile aprire nuovi orizzonti a questa disciplina,
liberarla delle zavorre che la hanno praticamente bloccata, e conseguentemente, auspicare che essa
possa dare il suo contributo all’analisi dei processi culturali della società moderna. Quanto è
emerso in questo capitolo è rivolto a questo obbiettivo e grazie alla teoria di G. Piazzi l’analisi
di Martin è stata ampliata e, in parte, superata. Riassumendo possiamo affermare:

1. La musica è stata scelta come canale privilegiato sulle altre espressioni artistiche in quanto
essa “corrode” lo spazio avvolgendo il soggetto nel suono. Non ci si può distogliere da una fonte
sonora se non allontanandosene o tappandosi le orecchie.

2. Il capitalismo ha fatto emergere la Vita nuda e cruda, che fa dipendere tutta la propria salute
biopsichica dall’interno. Vi è un Sentire dell’uomo, una affinità al suono, che precede la
socializzazione, ovvero, l’esperire il suono, da parte del soggetto, ha un suo fondamento, un suo
significato di senso specifico, personale e profondo.

3. L’atto dell’ascoltare è la presa di coscienza della musica come fatto sonoro organizzato. Esso è
frutto di un sistema di relazioni interpersonali che il soggetto ha vissuto fin dalla primissima
infanzia per cui è storicamente determinato, ma ha il vantaggio di essere relazionabile.

4. La continuità tra il Sentire e l’ascoltare in un soggetto è largamente determinata dall’ambiente
famigliare – la relazione madre devota-bambino – e porta solitamente ad un approccio “fluttuante”
confronti dei suoni organizzati.

5. La discontinuità tra il Sentire e l’ascoltare può produrre un’aggregazione sottoculturale o
controculturale che si servirà al sistema sociale musica per attivare logiche mitopoietiche con
esiti sempre più insoddisfacenti.

6. La ricerca di una Comunità nel rock è destinata a continuare anche se, è sempre più chiaro che:
se le differenze tra i giovani o, tra i giovani e gli adulti, sono sempre minori, la persuasione di
ogni gruppo sui singoli membri sarà sempre minore e, di conseguenza, anche la valutazione su ciò che
è giusto ascoltare sarà sempre più contraddittoria e insoddisfacente.

7. La musica può diventare un processo “terapeutico” purché non diventi un mero scudo verso un
sociale che non ha tenuto conto delle sue aspettative più umane. La musica ha oggi senso se è
l’individualità presa a sé a prendere coscienza di un proprio sentire lasciando decidere “lui” cosa
è bene e cosa è male.

da www.neuroingegneria.com

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