Richard Gere e il suo impegno per il Tibet 2

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Richard Gere e il suo impegno per il Tibet 2

– Seconda parte –

Lodi Gyary, inviato speciale di Sua Santità il Dalai Lama a Washington, conosce Gere da venti anni e
afferma che quest’ultimo è felicissimo di aver conosciuto il dharma, perché il cammino di Gere è
estremamente difficile. «Vedi, tutte queste persone famose sono anche le più infelici. Soffrono a
causa dell’importanza che attribuiscono a se stesse, a causa del loro ego. Poi arriva Gere,
felicissimo perché è il famoso Richard Gere. Ma allo stesso tempo è in grado di condurre una vita
davvero libera da ciò che molti dei suoi colleghi a Hollywood soffrono quotidiamente». Secondo
Gyari, Gere è uno studente del dharma molto bravo. Rinchen Dharlo concorda, affermando che, sebbene
Gere lo neghi, «egli è un grande studioso buddista, al livello dei professori più famosi». Non solo,
Gere possiede una conoscenza approfondita della cultura tibetana, una conoscenza che, secondo
Dharlo, rischia di andare «perduta per sempre».

«In questo paese», dice Dharlo, «molto spesso la gente adotta cause per uno o due anni, poi passa a
un’altra causa. Richard non è così. Sta facendo questo con tutto il suo cuore. È molto
compassionevole; l’insegnamento buddista lo ha cambiato in profondità».

Seduto nell’ufficio, Gere parla di un insegnamento che ama, “Il cibo per il cuore” di Kyabje
Pabongka Rinpoche, e dice: «Fondamentalmente, questo insegnamento afferma: “Dì a te stesso la
verità, perché su questo punto sei pieno di merda. Stai solo giocando. Vuoi la liberazione? Sei
troppo codardo, sei pieno di merda”». Di nuovo, parlandomi, si piega in avanti. «Pensi di essere
bravo perché conosci un po’ di dharma, hai letto qualche libro e incontrato degli insegnanti, ma sei
pieno di merda. Non c’è nessuna saggezza autentica né alcuna rinuncia. Se il vento soffia, cadi in
mille pezzi». Mi rimpicciolisco nella sedia e lui ricade ridendo nella sua. «Sto parlando di me»,
spiega.

Gli rispondo che trovo ciò che ha detto poco incoraggiante, e lui: «È la cortesia più grande
dell’amore: la verità. Ma, in realtà, puoi farcela. Sei ci riesci, fatti coraggio. Una delle mie
meditazioni più importanti è finalizzata al coraggio e alla determinazione, ad avere il fegato di
fare ciò che va fatto».

È difficile non pensare a quando, subito dopo l’11 settembre 2001, Gere organizzò un concerto di
beneficenza al Madison Square Garden per le famiglie dei poliziotti e dei pompieri uccisi quel
giorno. Paragonando i pompieri e i poliziotti caduti ai bodhisattva, disse: “Non si chiedono se sei
buono o cattivo; non si chiedono qual è la tua religione; non si chiedono nemmeno a quale razza
appartieni. Salvano chiunque”. Poi, chiedendo che l’America rispondesse alla tragedia con l’amore e
la compassione, anziché con la vendetta, venne subissato di fischi. Quella fu una cosa che richiese
coraggio.

Prova a immaginare: Gere, da giovane, che vive in un appartamento malridotto a New York e legge
filosofia cercando di capire perché la vita sia così dolorosa, finché si imbatte nel libro Vita di
Milarepa; poi comincia a meditare a 24 anni con un insegnante Zen, Joshu Sasaki Roshi, e s’incammina
sul sentiero con tutta l’ambizione che deve aver avuto per diventare una stella del cinema
americano. Deve aver avuto il diavolo addosso.

Immaginalo, in questo stato, partire per l’India e incontrare, nel 1981, l’uomo che sarebbe
diventato il suo guru principale, Sua Santità il Dalai Lama, una persona che secondo Gere è «la più
genuinamente priva di ego che abbia mai incontrato».

«E non in un senso ovvio», continua. «È semplicemente così, completamente spontaneo nella sua
presenza. L’unica ragione per cui è qua è aiutarti.», ride, stupito, «a raggiungere la felicità. Ed
è straordinario. In una giornata incontra un centinaio di persone, ma nei pochi momenti che può
concederti, qualcosa accade. E senti immediatamente da parte sua quell’impegno, anche se si tratta
di cose che non lo riguardano minimamente». Gere si avvicina e ride. «Riesci a immaginarlo? Pensare
sempre, sempre: “Come posso aiutarti?” Sì: “Come posso aiutarti”?».

Negli ultimi tre anni, la Fondazione Gere ha comprato assicurazioni contro le malattie per quasi
mille monaci e monache indigenti negli insediamenti tibetani del sud dell’India, nella speranza che
questi uomini e donne siano in grado di insegnare per altri venti o trenta anni. Ma il Dalai Lama ha
detto chiaramente a Gere che vuole che tutti i tibetani bisognosi in esilio siano coperti. «Per cui
vogliamo espandere alla popolazione laica», dice Gere, «il modello che ha funzionato nei monasteri e
nei conventi».

«Capisco che, per quanti film possa fare», continua, «non avrò abbastanza soldi per pagare tutte
queste cose. Quindi, la Fondazione Iniziative ha davvero bisogno dell’aiuto e dell’esperienza degli
altri, in modo da espandersi in una visione molto più grande di quella che posso realizzare da
solo».

Un altro progetto ambizioso è il disinquinamento ambientale della città di Dharamsala, nell’India
del nord, residenza del Dalai Lama e sede del governo tibetano in esilio. Migliaia di rifugiati
tibetani e pellegrini internazionali passano ogni anno attraverso la piccola stazione collinare, e
l’ambiente ne viene messo a dura prova. Non esiste una vera gestione dei rifiuti solidi, l’acqua è
chimicamente e microbiologicamente inquinata, il suolo nelle foreste intorno a Dharamsala si sta
erodendo.

Gere e i suoi compagni hanno fondato un’agenzia svizzera, la Sandec, che l’anno scorso è andata
gratuitamente a Dharamsala, ha studiato le condizioni ambientali e ha progettato un piano di
intervento ambientale per il Ministero Tibetano del Welfare. La prima fase è la programmazione dei
rifiuti solidi: alla comunità locale è stato spiegato come differenziare i rifiuti solidi da quelli
organici, i bambini delle scuole sono stati reclutati per aiutare a pulire la città, sono stati
acquistati camion per il trasporto dei rifiuti ed è stato negoziato con l’amministrazione municipale
indiana un accordo per raccogliere i rifiuti dell’area.

La Fondazione Iniziative ha fornito i primi finanziamenti per il piano di intervento e sta cercando
dei partner per esportare il modello agli altri insediamenti tibetani. Il Ministero del Welfare
fornisce l’infrastruttura operativa, mentre lo sviluppo generale del progetto è gestito dalla
sorella del Dalai Lama, Jetsun Pema, direttrice del Villaggio dei Bambini Tibetani.

Secondo Robyn Brentano, direttore della Fondazione Iniziative, il piano di intervento ambientale è
tra i più avanzati dal punto di vista dell’aiuto internazionale. «Non si tratta solo di portare
tecnologia e imporla alla situazione locale», dice Brentano, «ma di vedere come sviluppare le
risorse locali». Se il Ministero Tibetano del Welfare può guadagnare qualcosa raccogliendo i rifiuti
solidi, c’è speranza che il programma sarà in grado di sostenersi da solo, piuttosto che appoggiarsi
indefinitamente su istituzioni come la Fondazione Iniziative».

Mi chiedo a voce alta, durante la mia conversazione con Gere: «Pensavo che la sofferenza fosse
alleviata dalla comprensione del vuoto, del non-sé. Non è che questo lavoro», gli chiedo, «si limita
ad alleviare temporaneamente le sofferenze di pochi esseri umani?».

Risponde: «Da un punto di vista pratico, se la gente è affamata, maltrattata e torturata, se non
esistono né pace né libertà, che possibilità ci sono di cominciare a considerare la natura del sé,
del vuoto, di una prospettiva?». Mi guarda sorridendo e continua: «Vedi, alla fine siamo tutti al
servizio l’uno dell’altro. Fino a quando non saremo tutti liberi dalla sofferenza, nessuno di noi lo
sarà. Giusto? Siamo tutti connessi».

Parlare del dharma con una stella cinematografica è qualcosa di così raro che mi emoziono in modo
quasi ridicolo. Ho voglia di saltare su e giù sulla sedia e battere le mani. Per il mio lavoro ho
parlato con parecchie celebrità, ma nessuna ha mai fatto cenno all’origine interdipendente.

«Quindi, anche se desideriamo la nostra sicurezza», va avanti, «dobbiamo aiutare tutti gli altri a
raggiungere la felicità. Questo è un modo molto egoista di considerare il dharma. Ma almeno è un
modo intelligente. È egoismo intelligente».

Una delle priorità di Gere è raccogliere, autenticare, catalogare digitalmente e archiviare tutto il
materiale esistente e futuro – discorsi, conferenze, insegnamenti religiosi, fotografie e così via –
sulla vita, gli insegnamenti e le attività del Quattordicesimo Dalai Lama.

«Quando pensi al fatto che abbiamo davanti a noi un simile essere», dice Gere, «e che esiste
un’enorme quantità di materiale durante la sua vita, proteggere quel materiale diventa un compito
incredibilmente importante per le generazioni future».

Una delle prime donazioni fatte da Gere a questa causa particolare fu l’acquisto di un nuovo
microfono, anni fa, per il traduttore del Dalai Lama. «Aveva un piccolo microfono», ricorda Gere,
«con un cavo a modulazione di frequenza incollato e rincollato con nastro adesivo un centinaio di
volte. Gli chiesi: “Quando hai preso questa roba?”, e lui rispose: “Non lo so, me l’ha donata un
tedesco circa dieci anni fa, ma si è rotta in continuazione”. Allora dissi: “Posso offrirtene uno?”
“Sì, per favore”. Gli comprammo una nuova attrezzatura e tornò al lavoro. Senza tali traduzioni,
migliaia di noi sarebbero perduti. E bastò acquistare un trasmettitore a modulazione di frequenza da
duecento dollari».

I primi fondi della Fondazione Iniziative per l’Archivio Centrale di Sua Santità il Dalai Lama
serviranno per il controllo termico del luogo in cui saranno temporaneamente tenuti gli archivi;
inoltre, saranno usati per pagare le attrezzature e lo staff.

«C’è qualcosa di simile a una camera blindata?» chiedo, e Gere ride. «No, non c’è nulla.
Probabilmente ci saranno solo delle scatole in qualche stanza sul retro, chi lo sa? Non hanno alcun
modo di conservare gli archivi in modo appropriato».

La strada per l’Archivio Centrale è ancora lunga, ma alla fine Gere vuole che tutto il lavoro del
suo insegnante – di fatto, tutto il lavoro dei grandi lama – sia disponibile gratuitamente in
Internet, in modo che ognuno, «incluso un nomade del Kham con una batteria solare e un computer
portatile», possa accedervi. Per ottenere questo, Gere vuole riunire gli sforzi di tutti i buddisti
del mondo che finora hanno operato separatamente, spesso all’insaputa l’uno dell’altro. Aiutare la
gente a lavorare insieme, evitando i duplicati: la connessione è ciò che Gere sente di potere
offrire meglio.

«In questa stanza abbiamo fatto delle riunioni straordinarie», dice. «Gente straordinaria.
Connessioni». Gere schiocca le dita di nuovo, per cinque volte: snap, snap, snap, snap, snap. «Sì,
possiamo fare qualcosa. Molte personalità che vogliono lavorare con gente concreta, poi.», batte
forte le mani una volta: «È fatta».
Una azienda con cui Gere è riuscito a entrare in contatto – forse non quella che ti aspetteresti
impegnata nella liberazione di tutti gli esseri senzienti – è stata America Online. Nel 1999, quando
Gere fu tra gli organizzatori della visita del Dalai Lama a New York, AOL acconsentì a mostrare per
un attimo il volto di Sua Santità sul monitor di tutti i suoi utenti, nell’istante in cui si
collegavano al loro indirizzo di posta elettronica. Ciò durò cinque giorni.

«Stavamo sponsorizzando l’evento», dice, «ma la cosa funzionò a un altro livello, totalmente
non-concettuale», qui Gere fa il suono di un razzo che attraversa a tutta velocità lo spazio,
phooosh! «Un essere illuminato. Che tu lo sappia o no. Ti connetti e phooosh! Anche se volevi
cancellarlo, è già successo. Sei stato colpito da un essere illuminato».

Quell’evento, che secondo Gere avrebbe potuto attirare 15.000 persone, ne richiamò 200.000.
Nell’autunno del 2003 la Fondazione Iniziative, insieme al Centro del Tibet e alla Fondazione Gere,
organizzerà un’altra visita simile. Questa volta il Dalai Lama terrà un insegnamento di quattro
giorni su La grande esposizione dei canoni di Jamyang Shayba e sulla Ghirlanda di gemme del
bodhisattva di Atisha. Ci sarà anche un discorso pubblico e gratuito al Central Park, per
accompagnare il quale Gere e il compositore Philip Glass stanno organizzando un concerto di
beneficenza a favore dei tibetani poveri dell’India, del Tibet e del Nepal.

Un paio di anni fa girò la voce che Gere stesse per abbandonare la carriera di attore e farsi
monaco. Quando gli chiedo se ha mai preso in considerazione l’ipotesi di abbandonare la recitazione
e dedicarsi alla pratica, ride sonoramente, quindi resta seduto in silenzio. «Sì, certo», dice alla
fine. «Penso che tutti coloro che sono stati toccati da un insegnante abbiano sentito.». Mi guarda,
poi dice che quando “i tibetani” udirono la voce che stava per farsi monaco, alcuni furono sconvolti
e gli dissero: «Per favore, non farlo. Abbiamo bisogno di te». Ride ancora. «Non è vero che stessi
per farmi monaco. Ma era chiaro che il ruolo che ho ancora adesso era prezioso. E la verità è che la
via per la libertà sta passando attraverso questo».

Apre le mani verso la stanza in cui è seduto. «È molto facile per noi ritirarci in una caverna o in
una sua qualche versione moderna; da un certo punto di vista, è facilissimo fuggire dalla tua mente.
Quindi ho scoperto – specialmente per una persona pigra come me – che interagire sempre con la
gente, quando affiora la rabbia», schiocca le dita, «l’impazienza», snap, snap, snap, «tutto ciò per
me è un ottimo modo di imparare, di vedere la mia mente. Il mondo non ti permette di evitare
granché. È uno specchio costante».

«È brutto non avere responsabilità», dice Gere alla fine, «ma io mi sento responsabile. Sprecare
questa vita umana sarebbe una cosa terribile».
Dopo il nostro incontro, mi sta accompagnando all’ascensore. È un passo dietro di me nel corridoio e
cammina così silenziosamente che mi accorgo a stento della sua presenza. Improvvisamente lo sento
darmi una pacca tra le scapole. Lo guardo, è leggermente accucciato come un vecchio monaco che
cammina dietro di me. Ride: «Il mio nome è Patricia», dice quasi con incredulità, pensando al nostro
primo incontro, «il mio nome è Patricia».

tratto da www.innernet.it

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