Papa Leone XIV, il cardinale statunitense Robert Francis Prevost, appartiene all’ordine di
Sant’Agostino con cui prese i voti nel 1981. Ecco un identikit del santo da cui ha origine l’ordine
del Papa.
8 maggio 2025 – Maria Leonarda Leone
Il neo-eletto papa Leone XIV si è presentato al mondo come agostiniano. Effettivamente Robert
Francis Prevost, il nuovo papa, dopo essersi laureato in matematica nel 1977, nel 1981 entrò
nell’ordine di Sant’Agostino, una comunità di frati che si ispira al noto santo vissuto fra il
quarto e il quinto secolo d.C. Ma chi era Sant’Agostino, il santo che dà il nome all’ordine degli
agostiniani? Che rapporto si può trovare con papa Leone XIV? Ecco un ritratto di sant’Agostino,
filosofo e pilastro della teologia cristiana a cui s’ispira l’ordine.
BIOGRAFIA CONTROVERSA. Sant’Agostino morì a 76 anni: i primi 33 li aveva passati alla ricerca di
risposte, i successivi a difendere con le unghie quelle che aveva trovato. La versione edulcorata
dell’esistenza di Agostino (354-430 d. C.), vescovo, filosofo e santo, lo vuole giovane scapestrato
e vizioso, ricondotto nel confortante abbraccio della Chiesa cristiana dopo lunghi e complessi
tormenti interiori. Un racconto, che sa un po’ troppo di lezione di catechismo, fornito dallo stesso
Agostino nei 13 libri autobiografici delle Confessioni, i suoi scritti più letti.
Ma quanto possono essere attendibili queste memorie se, come nota lo storico James O’Donnell, autore
di una biografia (2005) sul filosofo di Ippona (nell’odierna Algeria) «dalla prima all’ultima pagina
il lettore spia un uomo che sa di essere guardato e quindi controlla ogni suo gesto»? È facile che
il futuro santo abbia raccontato soltanto quello che voleva raccontare, nel modo che più gli
conveniva. E lo avrebbe fatto, ormai vescovo, soprattutto per un motivo: darsi un passato tale da
spiegare il suo percorso spirituale e religioso per mettere a tacere ogni eventuale insinuazione
circa la forza della sua fede cattolica.
PECORA O CAPRONE? Lui, che era vissuto in bilico tra la fine dell’Impero romano e l’alba delle nuove
civiltà barbare, in un’epoca complessa anche da un punto di vista religioso, fu infatti qualcosa di
più di una pecorella smarrita: vuoi per la scarsa voglia di studiare, vuoi per la sua testa dura,
mantenendo il parallelo ovino potremmo definirlo un caprone ribelle, che prima di tornare all’ovile
(e diventare santo) cambiò gregge almeno un paio di volte.
Così cattivo come ha voluto apparire forse non lo era stato, ma arrampicatore sociale, polemico e
persino raccomandato invece sì. “Ti confesso, Signore del cielo e della terra, dandoti lode per i
primordi e l’infanzia della mia vita, che non ricordo. [
] Qual era dunque il mio peccato di allora?
Forse l’avidità con cui cercavo piangendo le poppe?”: neanche era nato e già si accusava, Agostino,
peccaminoso persino in quei suoi primi giorni di vita a metà novembre del 354.
LA FUGA. Il piccolo berbero nacque e crebbe a Tagaste, nell’entroterra della Numidia, cioè nella
parte del Nord Africa che era il granaio e la scorta d’olio dell’Impero romano. Raccontava di
immaginare il mare guardando l’acqua dentro un bicchiere. Non poteva sapere che, una trentina di
anni dopo, l’Africa gli sarebbe diventata talmente stretta che il mare l’avrebbe solcato davvero,
per raggiungere Roma.
In quell’occasione si comportò da vero Lucignolo: con la scusa di dover andare a salutare un amico
abbandonò la sua possessiva madre, già pronta con i bagagli, e si imbarcò da solo. Che fosse un
ribelle, i genitori l’avevano capito in fretta: da piccolo Agostino non amava la scuola e, anche se
gli piacevano i classici latini e le storie del poeta Virgilio, detestava il maestro, che lo
picchiava. E, soprattutto, detestava il greco. Insomma, era il classico “alunno intelligente, ma che
non si applica”.
LADRO DI PERE. Il padre e la madre, Patrizio e Monica, non erano facoltosi, ma neppure poverissimi:
piccolo proprietario terriero e funzionario romano, il primo era un uomo irascibile e infedele, che
non gli lasciò grandi insegnamenti religiosi. Al contrario la mamma (oggi santa) fu per lui
importantissima: nelle Confessioni, il figlio la descrive come una fervente cristiana, perennemente
in lacrime per la cattiva sorte che temeva potesse colpire il suo ragazzo ribelle.
Monica, la madre di Agostino, anchessa santa, contrariamente al costume dellepoca poté studiare e
conoscere la Bibbia. Temendo le tentazioni della Città Eterna, voleva seguire a Roma il figlio, che
invece si imbarcò di nascosto.
Nonostante lo avesse nutrito a forza di latte e grazia di Dio, infatti, lungi dal dimostrare le sue
future qualità di santo, Agostino la faceva disperare con il suo comportamento dissoluto. “Sono un
adolescente malato di sesso, preda delle tentazioni, attratto dal peccato e colpevole di un
ignominioso e gratuito furto di pere nel giardino di un contadino”: così si confesserebbe oggi il
Padre della Chiesa. Eppure, di fronte al suo arrossire, lo considereremmo con indulgenza, cotratme
un normalissimo sedicenne alle prime esperienze, che va in chiesa ogni domenica solo per guardare le
ragazze. Niente di così piccante e riprovevole in una città come Cartagine, che di svaghi, a un
sedicenne, ne offriva sicuramente di peggiori.
LE DONNE. Il giovane provincialotto aveva lasciato la casa paterna nel 370 per studiare retorica
nella grande città costiera a spese di Romaniano, un ricchissimo amico di famiglia. Proprio lì
conobbe i due grandi amori della sua vita: la donna africana con cui visse per quindici anni e che
gli diede un figlio (chiamato Adeodato) e il manicheismo, cioè la dottrina che seguì per 9 anni.
“Com’è potuto finire in quella setta?” si sarà chiesta addolorata la povera Monica. Si può
ipotizzare che lo fece per seguire la sua curiosità intellettuale. Agostino era incappato per caso
nell’Hortensius, un dialogo oggi perduto dell’oratore latino Cicerone.
Il futuro vescovo, che considerava troppo superficiale la sua preparazione scolastica, si lasciò
rapire dalla filosofia, declinandola non in senso accademico ma religioso. Non era una trovata
geniale: all’epoca esistevano diverse comunità che, filosofeggiando, proponevano ai propri accoliti
la via per raggiungere il sapere, la felicità o la salvezza ultraterrena. Il manicheismo era un po’
la religione new age del momento, perciò con spirito rapito il diciannovenne si avvicinò a quella
comunità che seguiva una dottrina simile al cristianesimo, ma contaminata da fonti orientali ed
ellenistiche. Prima a Tagaste, poi a Cartagine. “In quegli anni insegnavo retorica: vinto cioè dalla
mia passione, vendevo chiacchiere atte a vincere cause” dice Agostino che, come abbiamo visto, nel
383 seguì l’irresistibile richiamo di Roma.
AL CENTRO DELL’IMPERO. Ma neppure l’Urbe placò la sua insoddisfazione: i mali psicosomatici che lo
accompagnarono in tutte le tappe più o meno importanti della sua vita lo prostravano, gli alunni
scomparivano quando si trattava di pagare le lezioni, le sue domande sul Bene e sul Male rimanevano
senza risposta. Persino la sua fede manichea cominciò a traballare, perciò, con un ultimo colpo di
coda, la sfruttò in modo molto terreno per raggiungere i suoi scopi: fare carriera. Grazie alla
raccomandazione del prefetto di Roma, avuta tramite i compagni di dottrina, ottenne infatti il
prestigioso incarico di maestro di retorica alla corte imperiale di Milano.
E traslocò ancora. L’ostinazione da arrampicatore sociale, ecco che cosa avrebbe fatto bene a
confessare a Dio: per tutta la vita si consumò le suole e le nocche bussando a ogni porta per
cercare appoggi. E non smise neppure da vescovo, quando, intorno al 420, si raccomandò a due futuri
papi per garantirsi la vittoria in alcune battaglie dottrinali. Ma qui a Milano i fatti nobilitarono
la “spintarella”. “Il figlio di tante lacrime non può perire” aveva predetto in sogno il vescovo di
Tagaste a Monica: infatti a Milano successe l’insperabile.
CON SANT’AMBROGIO. Agostino entrò in contatto con i filosofi neoplatonici e da lettore vorace qual
era affrontò con passione i libri di filosofia antica.
Cominciò anche a frequentare i cristiani: il vescovo Ambrogio lo ammaliò con il suo carisma, e con
la sua capacità di oratore riuscì “a liberare l’Antico Testamento dal suo velo mistico”. Piano piano
il peccatore africano risolse i suoi dubbi sul Creatore ed elaborò i suoi cavalli di battaglia: Dio
è Bene e non genera il Male, che è assenza di Bene. A causa del peccato originale nessun uomo è
degno di salvezza, ma il Signore può scegliere chi salvare ricorrendo alla grazia.
Con queste nuove convinzioni Agostino riprese finalmente in mano anche le Sacre Scritture,
abbandonate con snobismo accademico quand’era ragazzo tutti i pezzi cominciarono ad andare al loro
cristiano posto, persino il piccolo particolare che, da suocera terribile, ancora turbava Monica.
“Quando mi fu strappata dal fianco, quale ostacolo alle nozze, la donna con cui ero solito
coricarmi, il mio cuore […] sanguinò a lungo”. Ormai non era più il caso che convivesse con una
donna di rango inferiore, ma mentre aspettava che la prescelta sposa cristiana crescesse, Agostino
si consolò con un’amante.
LA CHIAMATA. Di crisi mistica in crisi mistica, la sua vita stava per prendere una direzione
inaspettata: accadde in un giardino, quando una vocetta infantile venuta dal nulla invitò il
filosofo, ormai sull’orlo di una crisi di nervi, ad aprire e leggere a caso il libro con le lettere
di san Paolo. “Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle
contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue
concupiscenze” scandì Agostino. Per lui, che ormai rifiutava il cristianesimo soltanto perché temeva
di non riuscire a rispettarne i principi di ascesi e continenza, il messaggio fu abbastanza chiaro.
A 32 anni abbandonò (teoricamente) la vita pubblica e fece contenta sua madre che, prima di morire,
lo vide ricevere il battesimo la notte di Pasqua del 387. Dopo aver dato le dimissioni dal suo
incarico e detto addio alla carriera lampo in Italia, Agostino tornò in Africa, con la fama di uomo
colto e di cristiano battezzato nientedimeno che dal vescovo Ambrogio. Per tre anni, dal 388 al 391,
si ritirò nelle proprietà paterne: pregava, praticava l’astinenza sessuale e, come ci racconta il
suo discepolo e primo biografo Possidio, “le rivelazioni che Dio faceva alla sua intelligenza
durante le meditazioni e le preghiere, egli le manifestava e ne istruiva i presenti e gli assenti
con i discorsi e con i libri”.
Sant’Agostino contro tutti
Agostino era un tipo testardo, di quelli che non sanno perdere. Lo dimostrò quand’era vescovo di
Ippona, combattendo a parole numerose battaglie contro alcuni gruppi religiosi ed eretici
dell’epoca. Iniziò con i manichei, dei quali prima aveva condiviso le posizioni, cui oppose la sua
visione di Dio sinonimo del Bene che si contrapponeva al libero arbitrio degli uomini, unica fonte
del Male. Spietato. Fu molto cruento con i donatisti, gli intransigenti cristiani d’Africa che si
erano separati dai fedeli (in particolare vescovi e presbiteri) colpevoli di non aver dimostrato
fermezza nelle loro convinzioni religiose durante le persecuzioni del IV secolo. E poiché Agostino
era stato da loro accusato di essere troppo vicino allo Stato, per toglierli di mezzo ne legittimò
la repressione. Mai stanco. Ai pelagiani, nella controversia letteraria con Giuliano di Eclano,
impose la sua idea di grazia divina come unica via per la salvezza dell’uomo. Quando nel 426 alcuni
semi-pelagiani si dichiararono contro la sua dottrina, si scagliò anche contro di loro. E polemizzò
con ebrei, ariani e pagani.
“Per l uomo non vi è altra ragione di filosofare se non quella di essere felice, scriveva
SantAgostino che è stato sia un cosiddetto Padre della Chiesa (la denominazione adottata dal
Cristianesimo intorno al V secolo per indicare i principali scrittori cristiani, il cui insegnamento
e la cui dottrina erano ritenuti fondamentali per la dottrina della Chiesa) sia un pilastro della
filosofia.
VESCOVO A IPPONA. Il suo talento di oratore era innegabile e colpiva chiunque lo ascoltasse. Per
questo, a quel che racconta, un giorno del 391, mentre si trovava a Ippona, il popolo agì: “Preso
con la forza, di sorpresa, fui ordinato sacerdote e attraverso quel gradino giunsi all’episcopato”.
Da allora si stabilì in quella cittadina di porto sulla costa mediterranea dell’Africa, dove scrisse
migliaia di pagine, in media un libro di trecento pagine ogni anno per tutti e 34 gli anni in cui fu
vescovo. Durante i quali, stando alle malelingue disposte a giurare che il vescovo di Ippona
inviasse pegni d’amore a una donna maritata, conservò anche il suo talento di tombeur de femmes.
Morì alla fine dell’estate, il 28 agosto del 430, mentre i Vandali cingevano d’assedio la città.
Passò gli ultimi 10 giorni di vita a letto, a piangere e a pregare in solitudine, dopo aver fatto
appendere sulla parete di fronte i testi dei salmi penitenziali: li lesse e rilesse, mentre il suo
animo complesso, colto e un po’ depresso, austero e polemico, severo e litigioso si spegneva poco a
poco nel mormorio di quei versi.
da focus.it
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