Monismo e dualismo

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– MONISMO E DUALISMO –

(di Guido Da Todi)

Non solo mi sento del tutto convinto che l’argomento sia il piu’ complesso
della Strada Metafisica, ma pure quello che maggiormente diviene essenziale
conoscere per acquistare gli attributi che di un discepolo fanno un
iniziato.

Prima di affrontarne le creste maggiori suggerisco di ripercorrere alcuni
concetti filosofici ed esoterici che costituiscono lo schema portante di
ogni aristocrazia concettuale dello spiritualismo.

Monismo e dualismo.

Sono due correnti di pensiero proposte da numerose scuole storiche,
destinate, tuttavia, a confondersi e a riunirsi, una volta che i suoi
appartenenti ne abbiano afferrato i reciproci significati nascosti.

Il monismo afferma che esiste l’oceano, quale vita una. Di conseguenza,
quando si aboliscono le parvenze di movimento esteriore, di onde, con le
quali l’uomo si identifica in un maya costante (abbaglio della vera
fisionomia dell’essenza) viene ribaltato ogni suo sistema espressivo e
percettivo .

Trovandosi in un’illimitatezza universale, della quale fa parte, e con la
quale si identifica, qualunque precedente concezione mentale, intesa a
descrivere lo stato puro e finale dell’essere diviene del tutto fallibile;
ed, anzi, fuorviante.

Non vi e’ piu’ un io personale; ma, uno stato di equilibrio indicibile, nel
quale non trova posto la descrizione. Una descrizione che – secondo il
monista – servirebbe solo a sbalzarlo, di colpo, fuori dalle armoniche
raggiunte, e nel mondo della incompletezza da cui proviene.

Forse, una contemplazione cosmica inarticolata potrebbe esprimersi come l’
ultimo brandello di essenza negli esseri che affermano di avere raggiunto
la qualita’ di monista.

Ma, ho incontrato anche dei monisti che allontanavano l’idea di una simile
landa individuale, affermando che a quel punto < ogne lingua deven tremando
muta > e che è impossibile, per il realizzato di codesta scuola, ne’
immaginarsi, ne’ rappresentarsi un tale ultimo stato: ma, solo, viverlo. E
anche questo < vissuto > per essi era solo un’ipotesi tutta da provare.

Il monista privilegia la Non Forma.

Il dualista, al contrario, segue una via che tende all’assoluto, ma che vede
realizzato pienamente nella Forma manifesta di ogni cosa.

Per il dualista, onda ed oceano sono la medesima cosa. E, se, all’inizio, l’
onda (simbolicamente parlando) non sa di coesistere con l’unita’ delle cose,
alla fine del sentiero evolutivo realizza questa identificazione; ma, da una
precisa angolazione. Essa continua a mantenere la propria individualita’, e
si confronta con gli altri infiniti frammenti del Tutto, riconoscendo in
loro ed in se medesima la qualita’ assoluta dell’Uno.

Indubbiamente, la prima strada privilegia quel che in lingua hindu’ viene
chiamata Jnana (la Via della conoscenza); anche se tale modalita’ di
approcciare il Vero si affina e spiritualizza sempre di piu’ – lungo la
ricerca e la sperimentazione – sino a sparire – come abbiamo visto –
completamente, dopo qualche tempo.

Il dualista, invece, incarna la strada chiamata Bakty (la Via della
devozione, o dell’amore). Per lui ogni cosa e’ Dio; anche se essa non lo sa.

Dov’e’ che le due strade si incontrano, allora?

Dove trovano, esse, un comune consenso?

E’ ovvio che se il monista persegue sinceramente la sua strada – magari per
reincarnazioni – egli dovra’ cozzare con la legge indiscutibile che forma le
basi del < Libro dei Mutamenti >. Yinn e Yang coesistono sempre. L’uno,
dilatato ed in manifestazione, contiene, comunque, in se’ il nucleolo dell’
altro. E la legge dei cicli, lentamente, dopo aver portato in evidenza lo
Yinn, estrae da esso e rende protagonista lo Yang, che, allora ed a sua
volta, fagocita in se’ il suo opposto. E la giostra divina dura, cosi’, in
eterno

La conoscenza e l’amore non possono viaggiare su due binari distinti e
separati; e neppure disarticolati.

Il monista, negandosi alla Forma, si auto estinguera’ nel suo costante
sofisma intellettuale; e nemmeno si rendera’ conto di essere un
rappresentante puro di quella mente che si ostina a rinnegare.

Rinnegare qualcosa, oppure difenderla accanitamente (essere mentali, o voler
uccidere la mente) significa comunque restare legati a ciò, di cui si
analizza solo un aspetto.

Giunge sempre un momento in cui, d’altronde, anche il dualista sente la
legittima e naturale necessita’ di uscire da sotto il pelo dell’acqua, in
cui morbosamente si agita e rifugia (il mondo della Forma) per respirare a
pieni polmoni la sottile brezza di una oggettivita’ e liberta’ che lo
sleghino, a loro volta, da quello scompagnato e solo aspetto dell’essere.

In aiuto a quanto dico, la piu’ grande lezione, che costituisce il
formidabile puntello d’ espulsione d’ ogni ignoranza in materia, e’ nelle
parole della Bhagavad Gita, che, per quanto mi riguarda, costituisce il
libro da cui ho tratto la liberazione interiore e le indicazioni sovrane sul
destino dell’uomo soggettivo.

Non voglio, stavolta, ripeterne dei versetti e dei comma. Suggerisco solo ai
lettori di prenderlo tra le mani, come, forse, il vangelo piu’ sacro dell’
umanita’, e di studiarne i contenuti.

Si dice che sia il karma piu’ benevole che all’individuo possa capitare
durante la propria reincarnazione, quello che lo pone in condizione di
genuflettere il proprio animo al Verbo che si esprime in questo dono degli
Antichi Veda.

Scendiamo, tuttavia, da queste atmosfere di alta rarefazione metafisica e,
al solito, cerchiamo di collocarci nella .

Poniamoci in un terzo punto di vista.

La Non Forma è essa stessa un aspetto della Forma Archetipica. Il monista,
seguendone con tenacia le armoniche, non si rende conto di meditare su uno
degli aspetti inscindibili dell’Essere: Yinn e Yang , Vita e Forma, Monismo
e Dualismo. Ognuno dei quali sicuramente piu’ dilatato dell’altro – in quel
particolare ciclo – ma gravido al suo interno della spora di polarita’
opposta, anche se condensata ed apparentemente invisibile; ed a tale spora
inestricabilmente unito.

La Forma, è l’aspetto concreto di quell’entele, di quell’altra sua faccetta
speculare, che ne e’ l’Aspetto Astratto.

Ecco dove la strada della Mente e quella del Cuore si debbono unire. Nella
consapevolezza che Jnana e Bakty sono i due poli della bilancia cosmica che
l’individuo deve esprimere ed affrontare – in sincronia – per manifestare la
vera perfezione.

Amore e ragione, monismo e dualismo, Jnana e Bakty raggiungono l’armonia
cosmica solo se lo fanno all’unisono; divaricano il sentiero del divenire
se manifestano la propria qualita’ individuale, senza tenere conto del
proprio coesistente opposto.

Ora, personalmente, la mia nota individuale si accorda alla perfezione con i
monisti.

L’unita’ delle cose puo’ venire sperimentata da noi tutti. L’illimitato
organismo elastico che e’ il Tutto non tollera i tentativi dell’uomo di
vedere qualunque separazione in esso.

La visione terrificante che Krishna dona allo sbigottito ed incantato
Arjuna, quando gli mostra il suo Se’, come tutto cio’ che esiste, e’ quella
stessa che occorre ottenere – e, da allora, conservare, quotidianamente –
per raggiungere il primo aspetto della Verita’.

Ma, la successiva qualita’ di sapere il magico suono
del Verbo, mentre si manifesta nelle singole cose tutte, ed in ogni
individuo, diviene la nuova spirituale che ognuno di noi deve
padroneggiare e fare sua, per completare il secondo aspetto della Verita’.

Tuttavia – ed ecco il terzo punto di vista che vorrei approfondire con voi –
esiste anche un fattore di indicibile liberta’ e gioia che sovente sfugge ai
piu’.

Dio come Suono.

Non a caso l’India ci ha donato la scienza dei mantrams. Non a caso ci
indica la sacra parola magica: < AUM >, come un suono deciso ed autonomo, che
scorre lungo le corde della Vita planetaria, senza posa e con ritmo
imponente.

Per inciso, voglio accennare al fatto che agli allievi della Self
Realization Fellowship, fondata da Paramahansa Yogananda, viene, con molta
attenzione e vigilanza, insegnato la pratica di percepire < il Suono di Dio >
nella natura.

Ebbene, solo dopo essersi immersi nel < Canto dell'Uno >, avulso da ogni
aspetto di totalita’ e di parzialita’, di mente e di non mente, che fa
continuamente vibrare le corde di quell’immenso diapason che e’ la natura
tutta, con i suoi regni ed i suoi misteri cosmici, solo allora si realizzera
‘ -sperimentalmente – che Dio e’ anche Musica; presente in ogni nostra fibra
soggettiva e materiale, come anche vibrante, sovrana, nell’universo.

Gli Avatar insistono a proclamare che si deve di continuo il Nome
di Dio. E non stanno a dire che Dio e’ il Tutto Uno monistico, oppure essi
stessi ne rappresentano l’Incarnazione dualistica.

Essi sanno che il < Sacro Suono > puo’ venire percepito da ognuno, e divenire,
per lui, da allora, la fonte della gioia piu’assoluta che si possa
immaginare.

Questa e’ una delle piu’ antiche tradizioni sulla nostra terra, e nessuno
oserebbe continuare le sue dialettiche polemiche, mentre sprofonda gli
occhi nello sguardo di un illuminato, che si trovi immerso pienamente in
Dio, mentre ne canta il Nome Universale.

Tuttavia, come le falene irragionevoli e testarde continuano a girare
attorno alla luce e ad immergersi in essa, cosi’ tutti voi – lo ripeto,
tutti voi! – state percependo il Suono di cui parlo.

Di sicuro, molti non se ne rendono, ancora e pienamente, conto.

Ma, come cantava Rabindranath Tagore, vedo tutti voi simili alle che
egli ricorda in un suo noto poema:

“Il mio amore per Te, Dio, e’ come uno stormo di gru che vola verso il
cielo..”

“Tratto dalla mailing list Sadhana

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