LE RADICI DELLA SPIRITUALITÀ 3

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LE RADICI DELLA SPIRITUALITÀ 3

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

I sette livelli di coscienza

Ognuno di questi centri corrisponde ad un livello evolutivo della coscienza del modello Cyber7:

1) il primo centro corrisponde al livello dell’inconscio cosmico, la mente e la memoria della
materia dell’universo;

2) il secondo centro corrisponde al livello dell’inconscio collettivo, molto più ampio rispetto
all’equivalente concetto Junghiano, che include la mente e la memoria di tutti gli esseri viventi
vegetali e animali del pianeta;

3) il terzo centro corrisponde al livello dell’inconscio personale, sede degli istinti, delle
passioni, dei desideri e dei condizionamenti (karma) passati;

4) il quarto centro corrisponde al livello della normale coscienza di veglia, la consapevolezza di
sé nel presente che si può trasformare in autocoscienza, primo passo verso i livelli superiori;

5) il quinto centro corrisponde al livello del superconscio individuale, sede delle memorie delle
vite precedenti e della coscienza degli scopi evolutivi presenti e futuri;

6) il sesto centro corrisponde al livello del superconscio collettivo, che raggruppa tutte le
coscienze e intelligenze del pianeta, analogo alla Noosfera di Teilhard de Chardin, o coscienza
planetaria o Gaia;

7) il settimo centro corrisponde al livello del superconscio cosmico, l’insieme di tutte le
coscienze e memorie spirituali dell’intero universo: la mente di Dio, l’illuminazione.

I corpi dell’essere umano

Come nell’archetipo dell’albero e della montagna, l’essere umano viene percepito come un’unità
multidimensionale che esiste e si manifesta su differenti corpi o livelli psicofisici, rappresentati
nel modello Cyber7 dai vari livelli/colori. I sette corpi o livelli possono essere correttamente
visualizzati come sfere concentriche, di densità energetica-luminosa sempre più sottile, con al
centro il corpo fisico.

Vi è una coscienza del corpo fisico, una più sottile delle sensazioni interne del corpo, una degli
istinti e delle emozioni, una della mente e dei suoi pensieri. Nella concezione orientale questi
primi livelli di coscienza sono comuni a tutta l’umanità, ma esistono stati di coscienza ben più
elevati che possono essere ottenuti solo attraverso un intenso desiderio di trascendenza e una
pratica costante delle varie tecniche di meditazione. Gli stati più limitati della coscienza sono
considerati come l’identificazione dell’Atman, ossia della coscienza, con i vari corpi.

Il Vedanta riconosce cinque kosha o “corpi” che possono essere anche tradotti come involucri o
guaine:

1) Annamayakosha o corpo-fatto-di-cibo ossia il corpo materiale.

2) Pranamayakosha o corpo di energia vitale, costituito dalla rete dei canali energetici e dai
centri psichici o chakras.

3) Manomayakosha, o corpo mentale inferiore o istintuale, generatore dell’ego, che agisce secondo il
principio di attrazione-repulsione ed è carico di impulsi atavici e razziali.

4) Vijnamayakosha, il corpo dell’intelletto o mente superiore (Buddhi).

5) Anandamayakosha, il corpo della beatitudine e dell’unità della coscienza prima di fondersi
completamente nell’Atman.

La tradizione buddhista considera l’essere umano composto di cinque skandha o “aggregati” che
illusoriamente circondano la coscienza vuota:

1) Rupa-skandha è l’aggregato fisico e della coscienza del corpo, gli oggetti dei sensi e le loro
conseguenze psicologiche.

2) Vedana-skandha è l’aggregato dei sentimenti derivanti dalle percezioni sensoriali e dalle
emozioni viscerali (piacere e dolore, gioia e dispiacere).

3) Samjna-skandha è l’aggregato delle percezioni della mente discriminante, analitica, riflessiva,
discorsiva e intuitiva.

4) Samkhara-skandha è l’aggregato delle forme mentali creatrici e volontarie che rappresentano il
principio attivo della mente e il carattere.

5) Vijnana-skandha è l’aggregato della mente pura che coordina e combina tutte le attività
precedenti e rappresenta la potenzialità della coscienza nella sua forma pura.

Skandha o kosha sono considerati non esistenti, essi sono Maya, illusione, ossia frutto
dell’incapacità di essere uno con l’Atman-Brahman.

Gli stati di coscienza

Gli stati di coscienza sono stati differenziati originariamente in quattro:

1) Jagrata stato di veglia

2) Svapna stato di sogno

3) Susupti stato di sonno profondo senza sogni

4) Turiya o stato di illuminazione o “quarto stato”

Questa mappa, molto simile nei primi tre punti a quella utilizzata dalla scienza moderna, è
estremamente consistente. Appare a prima vista paradossale che lo stato di coscienza più evoluto sia
posto dopo, ossia più in profondità dello stato di sonno profondo senza sogni. La logica della
ricerca spirituale, tuttavia, spiega agevolmente questa apparente contraddizione. Il ricercatore
spirituale, infatti, partendo dallo stato di veglia cosciente, si evolve diventando cosciente
durante lo stato onirico (sogni coscienti), fino ad essere cosciente anche durante lo stato di sonno
profondo e senza sogni. Si parla infatti di “continuità di coscienza” durante tutta la notte. Da
questo stato si salta in una dimensione di coscienza cosmica, stato difficilmente esprimibile per
cui viene chiamato semplicemente Turiya, ossia Quarto.

Bodhicitta e Karuna: la mente illuminata e compassionevole

Il Buddhismo Tantrico prevede tre punti chiave per una corretta evoluzione spirituale: la mente
illuminata, la compassione e l’esperienza del vuoto. La mente illuminata, chiamata Bodhicitta, nasce
quando una persona diventa totale nel suo desiderio di crescita interiore e inizia a vivere con
totalità e presenza ogni momento della sua vita: questo dona ad ogni gesto una forza e una carica
che permettono la consapevolezza.

Quando si diventa totali ogni istante diventa estremamente prezioso e significativo, si ottiene una
mente pura e unita, perché si elimina la mente “parassita” annidata nel dubbio e nell’indecisione.
Essere indecisi significa avere due pensieri antitetici contemporanei, che non permettono mai la
vera unità, mentre la totalità si manifesta come una mente illuminata e orientata al perseguimento
della propria evoluzione.

Contemporaneamente alla mente illuminata, caratterizzata da grande forza e potere, è necessario
coltivare Karuna, l’atteggiamento compassionevole verso ogni creatura vivente. Compassione è una
traduzione riduttiva, il termine orientale significa piuttosto comprensione benevola e umana (cum
pati, soffrire insieme), orientata alla non violenza e all’aiuto. Lo yang di Bodhicitta si equilibra
con lo yin di Karuna.

L’osservatore del vuoto

Il terzo punto è Shunyata, il vuoto, l’esperienza della vacuità. Il ricercatore spirituale dotato di
volontà inflessibile e di benevolenza incondizionata può cadere vittima del proprio ego spirituale e
identificarsi con le proprie situazioni ed esperienze. La costante pratica della meditazione porta
all’esperienza del vuoto interiore, e crea in lui la predisposizione a riconoscere che ogni fenomeno
è di fatto vuoto e quindi privo di valore e realtà. Questo crea il distacco e la disidentificazione,
essenziali per la vera evoluzione interiore.

E’ da notare come nei racconti di Carlos Castaneda, Don Juan, il maestro che lo istruisce, basa
l’intera struttura di trasformazione sui medesimi punti: diventare un guerriero inflessibile e senza
secondi pensieri, riconoscere che la vita di per sé non ha alcun senso o significato e l’unica
possibilità è seguire la strada che ha un cuore.

Shunyata è la porta maestra alla realizzazione spirituale, nel momento in cui noi siamo totalmente
vuoti, quando non vi sono più pensieri ed emozioni che catturano la nostra attenzione. Nello stato
di vuoto non esiste nemmeno il pensiero dell’ “Io”, del Sé, non vi sono più le percezioni dei
confini del corpo e della nostra condizione di limitazione spazio temporale: la coscienza è pura,
incontaminata da identificazioni e limitazioni. In questo stato di vuoto, la coscienza inizia a
sperimentare direttamente se stessa senza divisioni, si viene a creare una percezione unitaria:
l’osservatore, l’osservato e l’atto dell’osservare diventano una sola cosa.

La ricerca spirituale e la ricerca scientifica utilizzano l’osservatore come elemento centrale della
loro metodologia, la differenza, non sostanziale, è la direzione della conoscenza, verso l’interno o
verso l’esterno.

Mandala: il modello multidimensionale

Come tutti i raggi sono legati nel mozzo e nella circonferenza, così tutte le creature, tutti gli
dei, tutti i mondi, tutti gli organi, tutte le anime sono legati in quell’anima. Brhadaranyaka.

Chiaramente derivato dal simbolo della spirale-cerchio, ma molto più recente, il mandala rappresenta
il più sofisticato modello olistico dell’antichità, un antenato del Cyber.

La tradizione indotibetana ha rappresentato il principio unitario (o di riunificazione) della
coscienza umana in quella cosmica attraverso il mandala, uno strumento simbolico estremamente
flessibile.

In sanscrito mandala significa letteralmente “cerchio”, “centro”, ed è stato da sempre rappresentato
attraverso simboli, nella forma a raggio, a fiore, a schemi rotondi o quadrangolari attorno a un
punto centrale. Il mandala è un modello olografico micro-macrocosmico che con la sua struttura
complessa rappresenta differenti piani di coscienza e livelli di esistenza; il suo centro è il
“punto zero” come centro vuoto della coscienza, la sua periferia le dimensioni più esterne e
materiali. Il mandala è anche lo spazio che delimita e circoscrive una superficie consacrata,
preservandola dalle forze disgregatrici simboleggiate da demoni o divinità terrifiche. Rappresenta
anche lo schema essenziale dell’universo, nel suo processo di emanazione e di riassorbimento che si
svolge attorno a un asse centrale, l’axis mundi, e, contemporaneamente, è lo schema della
disgregazione della coscienza dall’Uno ai molti e della reintegrazione dai molti all’Uno,
reintegrazione che avviene al centro della coscienza, lo spazio del cuore. Rispecchiando il pensiero
di Brhadaranyaka, il mandala quindi non solo rappresenta il Tutto, il Cosmo, ma è anche il Tutto
riflesso nell’Io.

Il mandala è il modello antico che meglio incarna il modello Cyber, entrambi sono nati dalla
necessità di rappresentare ciò che è invisibile agli occhi fisici ma evidente alla visione
spirituale: la coscienza, le sue dimensioni e le sue evoluzioni dall’Uno-Tutto al Sé-individuo e
viceversa. E’ una delle forme archetipiche più comuni, spontaneamente disegnate da chi fa esperienza
della propria totalità durante le meditazioni. C.G.Jung scoprì il mandala come strumento terapeutico
per il processo di individuazione, cioè di integrazione della coscienza a un livello più alto.

Il mandala, con la sua serie di forme concentriche, esprime i differenti livelli della coscienza ed
evoca un passaggio tra queste dimensioni; è la “soglia” tra il microcosmo e il macrocosmo.
All’interno della sua totalità, ogni parte è connessa e fornisce sostegno alle altre parti; ogni
parte ha implicitamente contenuta in sé l’informazione del tutto (ologramma); ogni parte può
svilupparsi, modificarsi e trasformarsi in maniera autonoma e, tuttavia, in sinergia e connessione
con le altre, in un insieme organico che si evolve e si rende via via più integrato e complesso.

Ciascun organismo vivente, ciascun essere umano è un mandala, che a sua volta fa parte del mandala
Terra, a sua volta parte del mandala cosmico. In quest’ottica essere integrati significa essere
capaci di mantenere il contatto con il proprio centro e sentirsi strettamente connessi con il resto
dell’universo. Dopo il massacro di Wounded Knee, Alce Nero, il veggente Sioux, scrisse: Non c’è più
alcun centro e l’albero sacro è morto. Nella visione di Alce Nero il cerchio del suo popolo sarà di
nuovo unito soltanto quando l’albero al centro fiorirà ancora. In quest’epoca di frammentazione e di
disintegrazione il mandala può diventare ancora una volta l’immagine, il simbolo globale di un nuovo
livello di integrazione, della ricerca di un linguaggio comune per unificare i resti separati e
divisi e riarmonizzare le fondamenta della conoscenza, in un’interpretazione unificata dell’uomo e
del suo posto nella natura. E’ la realizzazione del mandala della coscienza globale, il cui livello
di coscienza è dato dal grado di evoluzione di coscienza di ciascuno individuo che la costituisce:
perciò il superamento dell’attuale crisi ecosistemica planetaria passa necessariamente attraverso un
processo di risveglio individuale.

Gli illuminati e la trasmissione sincronica

La maggioranza delle religioni orientali è basata sull’esperienza del proprio vuoto interiore e
sulla realizzazione del proprio essere, non sulla fede. La relazione profonda e sincronica tra
maestro e discepolo è certamente il fulcro della trasmissione delle verità più importanti e delle
esperienze incomunicabili a parole. Per migliaia di anni un incredibile numero di persone, ispirate
da maestri illuminati, si sono completamente dedicate alla ricerca di questa esperienza soggettiva,
esattamente come, in Occidente, i ricercatori hanno sviluppato una scienza partendo da metodi simili
e dal confronto delle loro esperienze dirette. Ciò che cambia è solo la direzione della ricerca.

Così, in Oriente, intorno agli illuminati, hanno preso vita migliaia di differenti scuole
spirituali, ognuna delle quali adotta alcune tecniche specifiche. I ricercatori spirituali per
generazioni hanno continuato a fare esperienza di spazi interiori e a tracciare delle mappe di
questi territori spirituali. Proprio come accade tra scienziati, ogni tanto qualcuno scopre nuove
tecniche di meditazione, e trova una nuova via di illuminazione, dei nuovi spazi di ricerca o dei
nuovi paradigmi con cui spiegare le esperienze raccolte; le scuole di ricerca spirituale hanno così
portato questa dimensione di coscienza ad un altissimo grado di evoluzione. La scoperta fondamentale
è che ogni essere umano, usando varie tecniche di meditazione, può arrivare a uno stato di coscienza
risvegliata e incontaminata da impressioni o pensieri… il vuoto interiore. Raggiungendo questo
stato, la coscienza individuale si fonde con la coscienza del Tutto e si realizza la più profonda
delle esperienze: l’illuminazione. Chi entra in questa totale sincronicità con l’esistenza, viene
definito un Buddha, che letteralmente significa un risvegliato, un liberato, uno Yogi; viene stimato
come un essere autorealizzato e viene spesso venerato come maestro spirituale.

Trattandosi di una dimensione soggettiva, non esistono procedimenti che garantiscano una certezza
scientifica del reale accadimento. Il cuore e l’animo umano sono di tale complessità che solo chi ha
raggiunto “l’altra sponda” della coscienza può comprendere gli errori e i veri problemi interiori
del ricercatore spirituale e fornirgli un adeguato aiuto.

Oltre a ciò esiste una vera e propria trasmissione di coscienza, energia, o saggezza, da un maestro
al suo discepolo, trasmissione che accelera l’evoluzione di quest’ultimo in un modo incredibilmente
profondo.

Zen: la trasmissione speciale

Tanto la meditazione che la realizzazione avvengono nel silenzio e nella profonda pace interiore.
Quando Mahakasiapa si sincronizzò sullo stesso stato di coscienza del Buddha, questi sorridendo in
silenzio gli porse un fiore, un simbolo di fragranza e apertura. Tra di loro, un istante di unità e
armonia aveva permesso la comunicazione: l’esperienza del Buddha era passata al discepolo ed ora
entrambi partecipavano alla stessa esperienza profonda. La sincronicità e l’armonia entrano in
questo gioco sottile di silenzi ed espansioni dell’anima come la musica ispira i corpi alla danza.

Il Buddhismo Zen si ritiene depositario della vera saggezza che Buddha trasmise a Mahakasyapa,
racchiusa nella parola Dhyan, meditazione, e che Bodhidharma, cinquecento anni più tardi, portò in
Cina dove divenne Chan per passare poi in Giappone dove divenne Zen.

I Maestri Zen trasmettono ancora la stessa essenza del fiore di Mahakasyapa, una fragranza che ferma
la mente, che rompe i suoi circuiti logici e permette di “vedere dentro la propria natura.”

Una storia Zen: Hui-neng, sesto patriarca Zen, da ragazzo andò come discepolo dal maestro Hung-Jen
che gli chiese: “Vuoi conoscere il vero o vuoi diventare vero?”, Hui-neng rispose senza indugi:
“Essere vero!” e il maestro, felice, invece di iniziarlo, lo mandò per anni a pulire il riso nelle
cucine del monastero. Anni dopo, quando il vecchio maestro sentiva di essere vicino alla morte,
annunciò che voleva scegliere un successore e invitò chi dei monaci lo desiderasse a mandargli dei
brevi versi, dai quali avrebbe compreso il suo livello di evoluzione. Il giorno seguente Shen-hsui,
il più erudito dei cinquecento discepoli del monastero, scrisse:

Questo corpo è l’albero dell’Illuminazione.
La mente come uno specchio lucido,
tenuto pulito ad ogni istante
senza che alcuna polvere si accumuli.

Tutti ammirarono la poesia di Shen-hsui tranne il quasi sconosciuto pulitore di riso: dalle cucine
disse che era solo spazzatura. I monaci lo invitarono a scrivere dei versi migliori e Hui-neng
scrisse:

Il corpo non è un albero,
Lo specchio lucido non brilla più
Nulla è rimasto.
Dove può quindi depositarsi la polvere?

Il patriarca lesse e non disse nulla. Chiamò Hui-neng nella sua stanza. I suoi versi mostravano che
la sua mente, pulendo il riso per anni, era diventata vuota, era scomparsa; così gli diede le sue
vesti di maestro, lo invitò ad andarsene e a creare un altro monastero.

Koan Zen: le tecniche paradossali per il Satori

I maestri Zen hanno creato, per i loro discepoli più avanzati, dei Koan, domande assurde o senza
logica apparente che servono a fermare la mente, così può accadere il Satori. Se si cerca di
rispondere ad un Koan, e vi si entra in profondità, il meccanismo mentale entra in un circolo
paradossale, un loop psicologico: l’unica soluzione è uscire dalla mente, giungendo ad una
dimensione senza sforzo) Lo Zen sostiene che non c’è nulla da ottenere, che lo stato di
illuminazione è la nostra natura. Il Satori può essere di tre gradi: il primo è una semplice
momentanea intuizione spirituale, un flash che abbaglia e scompare; il secondo è un entrare nella
dimensione sacra dell’esistenza, nella “natura del Buddha”; il terzo è lo stadio di Nirvana, di
Vuoto cosciente, da cui non si ritorna.

Un famoso Koan è quello dell’oca nella bottiglia. “Un uovo è stato messo nella bottiglia, ne è
uscita un’oca, che crescendo non può più vivere nella bottiglia e non può passare dal buco. Come
salvare l’oca senza rompere la bottiglia?”. La risposta al Koan non è una battuta, né una risposta
razionale, ma una comprensione che nasce da un reale salto di coscienza. I discepoli venivano messi
in isolamento meditativo per settimane per poter essere in grado di rispondere.

Un altro Koan: “Qual è la tua faccia originaria? Quella che avevi prima di nascere?”, o ancora:
“Qual è il suono di una mano sola che batte?” Chiede il maestro battendo le sue mani di fronte al
discepolo.

I maestri Zen sono rudi e senza peli sulla lingua, possono prendere a bastonate un discepolo o
gettarlo dalla finestra per farlo uscire dalla mente. La “bastonata Zen” è una vera e propria
tecnica di risveglio, non un modo di dire. Un monaco torna correndo dal suo maestro: “Maestro, sono
riuscito a raggiungere l’esperienza del nulla!” E il maestro risponde: “Torna a meditare, idiota,
hai mancato il punto: se è un’esperienza come può essere un nulla!”

Il Buddhafield: il campo sincronico delle coscienze

Il concetto di Buddhafield come “campo psichico collettivo coerente” rappresenta una delle maggiori
scoperte della scienza spirituale dell’Oriente, un concetto in grado di stimolare e facilitare
enormemente la crescita spirituale dei singoli individui. Ogni maestro crea intorno a sé una comune
di ricercatori spirituali, tutti in profonda sintonia e vicinanza con lui, accomunati dallo stesso
profondo desiderio e intento evolutivo, uniti dall’esperienza interiore della meditazione. Si crea,
così, un campo di energia-coscienza di elevata coerenza, intensità e luminosità. Questo campo
abbraccia l’intero luogo della comune come una rete, il cui centro è rappresentato dalla coscienza
vuota ed elevatissima dell’illuminato e i vari nodi sono le coscienze più o meno evolute dei
discepoli.

I Jainisti avevano calcolato che il campo psicoenergetico intorno ai Teertankara, i loro maestri,
fosse una sfera luminosa larga alcuni chilometri. Per questo il maestro viene chiamato anche
Mahatma, grande anima. Il Buddhafield riflette la logica dell’utero, del nido e dell’uovo: è un
luogo protetto e qualitativamente elevato, tale da influenzare ogni azione e pensiero al sacro.

Ogni sangha (comunità spirituale), lamaseria, monastero, ogni comune di ricercatori che ha ospitato
un maestro illuminato crea questo campo in cui ogni avvenimento appare più significativo, più
fluido, come se l’intero posto avesse una maggiore “densità”. Accadde questo quando Gesù, Buddha e
Lao Tze furono con i loro discepoli, accadde nelle comuni francescane, zen, sufi e tantriche,
accadde fino a che Gurdjieff, Ramana Maharshi, Babaji e Osho furono vivi e continua ancora ad
accadere intorno ad ogni maestro vivente: si creano punti di sincronicità di coscienze, centri di
fusione della rete evolutiva di un’umanità ancora frammentaria.

Il Darshan

Nel Buddhafield vige l’usanza del darshan, la trasmissione, tramite la semplice presenza, di uno
stato di coscienza da maestro a discepolo. Così ne parla Narendra dopo che Ramakrishna, il suo
maestro, lo toccò sul petto: Al meraviglioso tocco del maestro la mia mente subì una rivoluzione
completa. Ero strabiliato nello scoprire che non c’era proprio nulla nell’universo che non fosse
Dio. Rimasi in silenzio, domandandomi quanto tempo questo stato sarebbe continuato. Non passò
durante tutta la giornata. Ritornai a casa e lì mi sentii alla stessa maniera: tutto ciò che vedevo
era Dio. Mi sedetti a mangiare e vidi che ogni cosa – il piatto, il cibo, mia madre che lo stava
servendo, io stesso – tutto era Dio e nient’altro che Dio.

Le tradizioni indotibetana, persiana, cinese e giapponese contemplano il ruolo del maestro come
elemento essenziale della trasformazione spirituale, anche se è possibile illuminarsi senza nessuna
guida o scuola.

L’ineffabile mistero dell’essere, cardine della ricerca interiore orientale, si contrappone alla
concretezza dell’avere della società tecnologica. Vuoto e silenzio mentale diventano un polo
dell’esperienza umana interiore che si spera bilanci la ricchezza estrema della conoscenza e
dell’esperienza rivolta al mondo esterno. E’ necessario che l’Occidente, e lo scienziato in
particolare, prenda coscienza di questa mancanza radicata nella nostra cultura e inizi a
riequilibrare il mondo, partendo dalla ricerca del proprio essere.

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