Le difficoltà di comunicazione tra persone con autismo e non sono legate ai diversi modi di
comunicare, non a un deficit di comunicazione delle prime.
20 maggio 2025 – Elisabetta Intini
Uno dei primi criteri di definizione dei disturbi dello spettro autistico è il “deficit di
comunicazione sociale e di interazione sociale”. Eppure la comunicazione è uno scambio
bidirezionale, che può essere influenzato da incomprensioni e (pre)giudizi. E se finora ci fossimo
concentrati su una parte soltanto del discorso? Se il problema non fosse una qualche “mancanza”
delle persone con autismo, ma piuttosto una diversità nei codici espressivi usati?
Secondo un nuovo studio, le persone con autismo non comunicano in modo meno efficace rispetto alle
persone neurotipiche. Piuttosto, comunicano in modo diverso. Sarebbero queste differenze – e non una
mancanza di abilità comunicative in chi è affetto da autismo – a complicare talvolta le relazioni
sociali tra chi ha disturbi dello spettro autistico e chi non li ha.
UNA VISIONE SBILANCIATA. «La maggior parte della ricerca finora – scrivono i ricercatori
dell’Università di Edimburgo nello studio, pubblicato su Nature Human Behaviour – ha assunto un
modello deficitario dell’autismo, caratterizzando le differenze nella socievolezza e nella
comunicazione autistiche come deviazioni dalla normalità che necessitano di rimedio. Questo modello,
tuttavia, ignora la natura relazionale dell’interazione sociale e localizza la causa delle
difficoltà di interazione sociale esclusivamente all’interno della persona autistica».
LE ORIGINI DELLO STIGMA. Le persone con autismo possono avere difficoltà nella lettura del
linguaggio del corpo e nella lettura dei segnali sociali di un’interazione; possono comunicare in
modo più diretto, avere una mimica facciale limitata, non riuscire a rispettare i turni di una
conversazione, avere difficoltà a comprendere il cambiamento di modulazione del tono di certe parole
o nel riprodurlo a loro volta.
Una visione negativa di prestazioni sociali considerate “non normative” rafforza il pregiudizio
sull’autismo, finendo per isolare ulteriormente le persone che ne soffrono, riducendo le loro
opportunità sociali e peggiorando la loro qualità di vita.
ASCOLTA E RIFERISCI. Gli scienziati hanno testato la trasmissione di informazioni tra persone con
autismo, tra persone neurotipiche e in gruppi con entrambe le componenti usando la tecnica della
catena di diffusione – una sorta di “telefono senza fili” – replicando ed estendendo un precedente
studio. Hanno coinvolto 311 persone, che hanno dovuto ascoltare una storia riferita da un
ricercatore e raccontarla alla persona seduta accanto.
L’ultima persona della catena doveva ripetere la storia a voce alta, e gli scienziati hanno anche
testato la quantità di informazioni presenti in vari “anelli” della catena per capire quanto fosse
stato perso lungo il percorso.
Non sono state riscontrate differenze nel trasferimento di informazioni tra catene con neurotipo
singolo (solo persone con autismo; solo persone neurotipiche) e misto (persone con o senza autismo).
CON CHI TI SEI TROVATO MEGLIO? Quando però i partecipanti sono stati interrogati sul gradimento
dell’esperienza, dovendo decidere quanto fosse stato piacevole, imbarazzante o facile lo scambio, le
persone autistiche hanno detto di aver preferito comunicare con altre persone con autismo; e quelle
non autistiche, con altre persone non affette da autismo. Per gli autori dello studio, ciò sarebbe
dovuto alle diverse forme che la comunicazione assume in chi è affetto da autismo e in chi non lo è.
DIFFERENZE, NON DISTANZE. La ricerca è un invito a percepire gli stili di comunicazione nelle
persone con autismo come una differenza e non come una forma mancante di qualcosa. Non come una
sfera “da aggiustare” ma come un binario da agganciare là dove risulta distante, così da creare
spazi e società più inclusive.
www.nature.com/articles/s41562-025-02163-z
da focus.it
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