“L’arte di Morire” 2

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“L’arte di Morire” 2

Il rabbino Bunam stava morendo, sua moglie scoppiò in lacrime. “Per quale motivo piangi?” le disse.
“Ho trascorso l’intera vita cercan­do di imparare a morire.”

La sua intera esistenza era stata soltanto una preparazione per appren­dere i segreti del morire.

Tutte le religioni sono solo scienze, o arti, che insegnano come morire, ma l’unico modo per
insegnarvi a morire è insegnarvi a vivere. Il mo­rire e il vivere non sono separati: se conoscete il
giusto modo di vive­re, conoscete anche il giusto modo di morire.

Quindi, la prima cosa, o la cosa fondamentale, è come vivere. Permettetemi di dirvi alcune cose.
Primo: la vostra vita è solo vostra e di nessun altro. Pertanto, non permettete a nessuno di
dominarvi, non permette a nessuno di agire da dittatore nei vostri confronti: sarebbe un tradimento
della vita. Se permetterete ad altri di dominarvi, siano que­sti i vostri genitori, la società in
cui vivete, il sistema culturale, i vostri politici, i preti, chiunque, mancherete la vita. Il
dominio viene sempre dall’esterno e la vita è dentro di voi: non si incontrano mai.

Non vi sto invitando a diventare persone che dicono sempre no a tutto e a tutti, perché anche questo
atteggiamento non è di molto aiuto. Ci so­no due tipi di persone: uno è il tipo obbediente, pronto
ad arrendersi a chiunque e a tutti. Queste persone non hanno un’anima indipendente dentro di loro;
sono degli immaturi; sono infantili, in perenne ricerca della figura paterna, di qualcuno che dica
loro cosa fare e cosa non fa­re. Non sanno aver fiducia in se stessi. Queste persone sono la maggior
parte del mondo, sono le masse.

In contrapposizione a queste persone, esiste una minoranza che rifiuta la società, che rifiuta i
valori della società. Questa minoranza si ritiene ribelle, ma non lo è, è semplicemente reazionaria
perché sia che seguia­te la società sia che la rifiutiate, se questa rimane il fattore
determinan­te, ne siete dominati.

Vi racconto una storiella: una volta Mulla Nasrudin si assentò dal paese per un certo periodo di
tempo e quando ritornò aveva una lunga bar­ba. Naturalmente, i suoi amici iniziarono a prenderlo in
giro e a chiedergli come mai si fosse fatto crescere quella pelliccia sul volto.

Il barbuto Mulla prese a maledire senza mezzi termini tutto quel pelo. Stupiti dalle espressioni
forti che uscivano dalla sua bocca, gli amici gli chiesero perché continuasse a tenere la barba, se
non gli piaceva. “Detesto questa barba maledetta,” rispose il Mulla.

“Se la detesti, perché non ti radi e la fai finita?” gli chiese un amico. Negli occhi del Mulla
comparve una luce diabolica, e rispose: “Perché anche a mia moglie non piace!”

Questo atteggiamento non vi rende liberi. Gli hippy, gli hippy non so­no dei ribelli, ma dei
reazionari: hanno reagito contro la società. Talu­ni sono obbedienti, altri disobbediscono, ma il
centro dominante è iden­tico. Taluni obbediscono, altri disobbediscono, ma nessuno ha guarda­to nel
proprio animo.

Una persona veramente ribelle non è a favore né contro la società, ma vive la sua vita in base alla
sua comprensione. Se è a favore o contro la società non ha importanza, è irrilevante. Talvolta può
essere contro la società, talvolta a favore, ma questo non è il punto da prendere in
con­siderazione.

Questa persona vive in base al suo comprendere, secondo la sua picco­la luce. Con ciò, non sto
dicendo che sia un egoista, no, piuttosto è mol­to umile. Sa che la sua luce è molto piccola, ma è
tutta la luce di cui di­spone. Non è inflessibile, ma umile. Quella persona afferma: “Mi sba­glierò,
ma vi prego di lasciarmi sbagliare in base al mio sentire”. E que­sto è 1’unico modo per imparare:
commettere degli errori è l’unico mo­do per imparare.

Agire secondo il proprio sentire è l’unico modo per crescere e diventa­re maturi. Se siete sempre
alla ricerca di qualcuno che funga da dittato­re, sia che obbediate sia che disobbediate, non fa
alcuna differenza. Se cercate qualcuno che vi domini, che decida se è giusto o sbagliato, non
potrete mai sapere cosa sia la vita.

La vita deve essere vissuta e voi dovete seguire la vostra piccola luce. Non è sempre chiaro cosa
fare: siete molto confusi. Lasciate che sia così, ma cercate una via d’uscita dalla vostra
confusione.

E’ molto facile e semplice seguire gli altri perché possono trasferire in voi dei dogmi sterili e
darvi dei comandamenti: fai questo, non fare quello. E quelle persone sono molto sicure dei loro
comandamenti. Non si deve cercare la certezza, ma il comprendere, perché se cercate la cer­tezza,
prima o poi, cadrete in qualche trappola. Non cercate la certez­za, ma il comprendere. La certezza
può esservi data a poco prezzo e chiunque può darvela ma, in ultima analisi, sarete dei perdenti.
Avrete perso la vostra vita per avere sicurezza e certezza, ma la vita non è né certa né sicura.

La vita è insicurezza: è un addentrarsi in ogni momento, e sempre più, nell’insicurezza. E’ un gioco
d’azzardo: nessuno sa cosa stia per succe­dere, ed è bello che sia così. Se la vita fosse
prevedibile, non varrebbe la pena viverla. Se tutto fosse come voi volete e ogni cosa fosse sicura,
voi non sareste affatto degli uomini, sareste delle macchine. Solo per le macchine tutto è certo e
sicuro.

L’uomo vive in libertà e la libertà ha bisogno di insicurezza e di incer­tezza. Un uomo di vera
intelligenza è sempre esitante perché non ha dogmi su cui basarsi e appoggiarsi: deve guardare la
situazione e rispon­dere di conseguenza.

Lao Tzu afferma: “Sono incerto e nella vita mi muovo con attenzione perché non so cosa succederà.
Non ho alcun principio da seguire. De­vo decidere al momento, non decido mai prima. Ogni volta devo
deci­dere quando arriva il momento!”

Allora, si è ‘rispondenti’: ecco cos’è la responsabilità. La responsabili­tà non è un obbligo e
neppure un dovere, ma la capacità di rispondere. Un uomo che desideri conoscere cos’è la vita deve
essere ‘risponden­te’, ed è ciò che vi manca. Secoli di condizionamenti vi hanno ridotti a macchine,
avete perso il vostro coraggio, lo avete barattato per avere sicurezza. Siete sicuri, a vostro agio,
e tutto è stato programmato da altri; essi hanno già creato il tracciato, hanno già preso tutte le
misure. Tutto ciò è assolutamente stupido perché la vita non può essere misu­rata dato che è
immisurabile e non è neppure possibile disegnarne un tracciato, perché essa è un flusso costante.
Ogni cosa è in continuo cam­biamento. Nulla è stabile tranne il mutare. Eraclito afferma: “Non
po­tete immergervi nello stesso fiume due volte”.

Inoltre, le strade della vita sono a zigzag. Le strade della vita non sono i binari di un treno. No,
la vita non corre sui binari, e questa è la sua bellezza, la sua gloria, la sua poesia, la sua
musica, ed è sempre una sor­presa.

Se cercate sicurezza e certezza, i vostri occhi si chiuderanno e sarete sempre meno sorpresi e
perderete la capacità di meravigliarvi. Una volta persa questa capacità, avrete perso la religione.
La religione è l’aprir­si del vostro cuore colmo di meraviglia; la religione è ricettività per ciò
che è misterioso e che ci circonda. Non cercate sicurezza, non cercate consigli su come vivere la
vostra vita.

La gente viene da me e dice: “Maestro, dicci come vivere la nostra vi­ta”. A voi non interessa
sapere cos’è la vita, siete più interessati a cre­arvi un modello fisso, siete più interessati a
uccidere la vita piuttosto che a viverla. Volete che vi sia imposta una disciplina. Naturalmente, in
tutto il mondo ci sono i preti e i politici che vi stanno attendendo. An­date da loro, ed essi sono
pronti a imporvi le loro discipline. Adorano il potere che deriva dall’imporre le proprie idee sugli
altri.

Io non sono qui per questo. Sono qui per aiutarvi a essere liberi, e quan­do affermo che sono qui
per aiutarvi a essere liberi, includo anche me. Sono qui per aiutarvi a essere liberi anche da me.

Il mio sannyas è una cosa paradossale. Vi arrendete a me per diventare liberi; io vi accetto e vi do
l’iniziazione al sannyas per aiutarvi a diven­tare assolutamente liberi da ogni dogma, da ogni
scrittura, da ogni filo­sofia, e includo me stesso in tutto questo. Il sannyas è paradossale, de­ve
esserlo, quanto la vita stessa. Così è vivo.

Quindi, per prima cosa, non chiedete a nessuno come dovreste vivere la vostra vita. La vita è così
preziosa: vivetela. Non vi assicuro che non farete degli errori, anzi, ne farete, ma ricordate: non
ripeteteli. Questa è l’unica cosa da ricordare. Se riuscite a commettere ogni giorno un er­rore
nuovo, fatelo, ma non ripetete gli stessi errori: è da stupidi. Un uo­mo che riesce a trovare sempre
nuovi errori da commettere sarà in con­tinua crescita perché questo è l’unico modo per imparare,
l’unico mo­do per giungere alla vostra luce interiore.

Mi hanno raccontato che una notte il poeta Awhadi di Kerman (un gran­de poeta musulmano) stava
seduto sulla sua veranda, piegato a osser­vare un catino, quando passò di lì, per caso, un grande
mistico sufi, Shams-e-Tabrizi.

Shams-e-Tabrizi guardò il Poeta e quanto stava facendo. Infine, gli chies­e: “Cosa stai facendo?” Il
poeta rispose: “Sto contemplando la luna in un catino pieno d’acqua”. Shams-e-Tabrizi scoppiò a
ridere: una risata fragorosa, da sbellicarsi. Il poeta iniziò a sentirsi a disagio anche a causa
della gente che si sta­va fermando a osservare la scena, per cui chiese: “Cosa c’è da ridere? Perché
mi stai rendendo ridicolo?”

Shams-e-Tabrizi rispose: “A meno che tu non abbia il collo rotto, per­ché non guardi la luna
direttamente nel cielo?”

La luna è lassù, la luna piena è là e il poeta se ne stava seduto con un catino d’acqua a guardare
il riflesso della luna nell’acqua.

Cercare la verità nelle scritture, in filosofie è limitarsi a guardare i ri­flessi. Se voi chiedete
a qualcun altro come dovete vivere la vostra vi­ta, sarete fuorviati perché l’altro potrà solo
parlarvi della sua vita. E mai, dico mai, due vite sono uguali. Qualsiasi cosa l’altro vi dica o vi
inse­gni, farà parte della sua vita, sempre che abbia veramente vissuto.

Può aver chiesto ad altri, lui stesso può aver seguito altri, lui stesso può essere stato un
imitatore. Allora, voi diventerete il riflesso di un rifles­so. I secoli passano e le persone
continuano a riflettere il riflesso del ri­flesso del riflesso… e la luna vera è sempre là, in
cielo, ad attendervi. E’ la vostra luna, è il vostro cielo: guardateli direttamente, siate
imme­diati. Perché farsi prestare gli occhi da me o da altri? Avete ricevuto gli occhi, occhi
bellissimi per vedere e vedere direttamente. Perché pren­dere a prestito il comprendere da altri?
Badate, potrebbe essere il mio comprendere, ma nel momento che lo trasmetto a voi, per voi diventa
cultura, e non è più comprensione. .

Comprendere è solo ciò che una persona ha vissuto come esperienza. Può essere il mio comprendere, se
ho osservato la luna direttamente, ma nel momento in cui lo trasferisco a voi, per voi diventa
cultura e non è più comprendere. Non diventa altro che una questione verbale, lingui­stica, e il
linguaggio è menzogna.

Un allevatore di galline, scontento della scarsa produttività dei suoi ani­mali, decise di usare un
po’ di psicologia con le sue bestiole, e acqui­stò un coloratissimo pappagallo, che mise nel
pollaio. Immediatamen­te le galline iniziarono a conservare i bocconcini più prelibati per
1’affascinante straniero. Esse si comportavano come delle teenager attorno alla rock star del
momento e, con grande gioia dell’allevatore, la pro­duzione di uova aumentò.

C’era da aspettarselo: il gallo del pollaio, naturalmente ingelosito dal comportamento del suo
harem, se la prese con l’intruso, assalendolo con il becco e gli artigli, spennandolo penna dopo
penna. II povero pap­pagallo, spaventato, si mise a piagnucolare: “La smetta, signore, la pre­go!
Dopo tutto sono qui solo in qualità di professore di lingue!”

Molte persone vivono la loro vita come professori di lingue ed è il tipo di vita più falso che ci
sia. La realtà non ha bisogno del linguaggio: è a vostra disposizione a un livello non-verbale. La
luna è là: non c’è alcun bisogno del catino, dell’acqua e di nessun altro medium. Vi basta
guar­darla; è una comunicazione non-verbale. La vita intera è a vostra dispo­sizione: dovete solo
imparare a comunicare con essa senza parole.

Ecco cos’è la meditazione: essere in uno spazio dove il parlare non in­terferisce, dove i concetti
appresi non si interpongono tra voi e il reale. Quando amate una donna, non preoccupatevi di cosa
dicono gli altri dell’amore, perché sarebbe una interferenza. Amate quella donna, vi­vete l’amore, e
dimenticate tutto quanto è stato detto sull’amore. Scor­date tutti i Kinsey, i Master e Johnson, i
Freud e gli Jung. Per favore, non diventate professori di lingue. Amate quella donna, lasciate
spazio all’amore e permettetegli di condurvi e di guidarvi nei suoi segreti più nascosti, nei suoi
misteri. Solo allora scoprirete cos’è l’amore. Qualsia­si cosa gli altri diranno sulla meditazione
sarà senza significato.

Mi capitò, una volta, di leggere un libro sulla meditazione scritto da un santo giainista. Era
veramente bello, ma alcuni passaggi, per quanto bre­vi, dimostravano che quell’uomo non aveva mai
meditato, altrimenti non ci sarebbero stati. II libro, nel suo insieme, per il novantacinque per
cento, era perfetto. Mi piacque molto. Poi, me ne dimenticai.

Per dieci anni peregrinai per l’India, finché, un giorno, in un villaggio del Rajasthan, quel santo
venne a trovarmi. Il suo nome mi era familia­re e, all’improvviso, mi ricordai del libro. Gli chiesi
il motivo della sua visita e lui mi rispose: “Sono venuto qui per sapere cos’è la meditazio­ne”. Gli
dissi: “Ricordo il libro che hai scritto, lo ricordo molto bene perché mi aveva colpito. Ad
eccezione di alcuni difetti, che dimostra­vano che tu non avevi mai meditato, il libro era perfetto,
ma solo per il novantacinque per cento: Ora, sei qui per imparare a meditare. Non hai mai meditato?”
Mi parve un po’ imbarazzato perché erano presenti anche i suoi disce­poli; allora, aggiunsi: “Dì la
verità, perché se affermi di conoscere la meditazione non toccherò questo argomento. Se la conosci
già, non c’è bisogno che io ne parli. Ma se sei franco, se almeno per una volta sei onesto, e mi
dici di non avere mai meditato, allora potrò aiutarti a co­noscerla”. Era un’occasione unica, e così
confessò. Disse: “Sì, è vero, non l’ho mai detto a nessuno. Ho letto molti libri sulla meditazione,
le vecchie scritture. E ho insegnato alla gente: ecco perché mi sento im­barazzato di fronte ai miei
discepoli. Ho insegnato la meditazione a mi­gliaia di persone, ho scritto dei libri su questo
argomento, ma non ho mai meditato”.

Potete scrivere dei libri sulla meditazione e mai penetrare in quello spa­zio. Potete diventare
molto efficienti nel verbalizzare, potete diventare molto abili nelle astrazioni, nella dialettica,
e potete dimenticarvi com­pletamente che tutto il tempo che avete speso in attività intellettuali è
stato un puro spreco.

Chiesi a quel vecchio: “Da quanto tempo ti interessi di meditazione?” “Da sempre,” mi rispose. Aveva
circa settant’anni. “Avevo vent’anni quando presi il sannyas e divenni un monaco giainista, e per i
restanti cinquant’anni ho letto moltissimo e ho pensato sempre alla meditazio­ne”. Cinquant’anni di
pensiero, di lettura e di scritti sulla meditazione, aveva perfino guidato delle persone nella
meditazione, ma lui non ne aveva mai assaporato il gusto!

Questo succede a milioni di persone. Parlano dell’amore, conoscono tutte le poesie che parlano
d’amore, ma non hanno mai amato e, anche quando credevano di essere innamorati, non lo erano. Anche
quella era una cosa ‘mentale’: non proveniva dal cuore.

La gente vive, ma si lascia sfuggire la vita. La vita richiede coraggio; il coraggio è necessario
per essere realisti, ci vuole coraggio per muover­si nella vita ovunque essa porti perché i suoi
percorsi non hanno trac­ciato e non esistono carte geografiche. Ci si deve muovere nell’ignoto. La
vita può essere compresa solo se siete pronti a entrare nell’ignoto. Se rimanete attaccati al già
conosciuto, vi aggrappate alla mente e la mente non è vita. La vita non è mentale, non è
intellettuale, perché è to­tale. Dovete coinvolgere la vostra totalità e non solo pensarci. Pensare
alla vita non è viverla. Fate attenzione a questo pericolo. Non continua­te a pensare a… Ci sono
persone che pensano a Dio, altre che pensano alla vita, altre ancora che pensano all’amore.

Mulla Nasrudin era molto invecchiato; si recò da un medico. Aveva un aspetto molto fragile, per cui
il medico gli disse: “Posso dirle solo una cosa: deve dimezzare la sua vita amorosa”.

“D’accordo,” rispose Mulla, “ma quale metà? Il parlare dell’amore o il pensare all’amore?”

Non diventate un professore di lingue, non diventate un pappagallo. I pappagalli sono professori di
lingue: vivono di parole, di concetti, di teorie, di teologie, e la vita scorre, scivolando via
dalle loro mani. Poi, un giorno, si terrorizzano all’idea della morte. Quando una persona te­me la
morte, potete ben dire che quella persona si è lasciata sfuggire la vita; se non l’avesse mancata,
non avrebbe paura di morire. Se un uo­mo ha vissuto la vita, è pronto anche a vivere la morte, anzi,
è addirit­tura incantato dal fenomeno della morte.

Quando Socrate stava per morire, era così estatico che i suoi discepoli non riuscivano a comprendere
il motivo della sua felicità.

Un discepolo, Credo, gli chiese: “Perché sei così felice, mentre noi sia­mo disperati e stiamo
piangendo?” Socrate gli rispose: “Perché non do­vrei essere felice? Ho conosciuto cos’è la vita e
ora desidero conosce­re cos’è la morte. Sono sulla soglia di un grande mistero e sono eccita­to! Sto
per compiere un viaggio nell’ignoto. Mi sento così pieno di me­raviglia e di curiosità che sono
impaziente!” E ricordate, Socrate non era un uomo religioso e neppure un credente.

Qualcuno gli chiese: “Sei sicuro che l’anima sopravvivrà alla morte?” Socrate gli rispose: “Non lo
so”.

Dire “non lo so” richiede un coraggio enorme. E’ molto difficile per i professori di lingue
affermare “non lo so”; è difficile per i pappagalli dirlo. Socrate era un uomo onesto e sincero e
disse: “Non lo so”.

I discepoli chiesero ancora: “Allora, perché sei così felice? Se l’anima non sopravvive…?”

Socrate rispose: “Devo vedere: se sopravvivo, non ho nulla da temere. Se non sopravvivo, come posso
avere paura? Se non sopravvivo, non sopravvivo. Come posso, dunque, avere paura? Non c’è più il mio
essere, quindi non esiste più neanche la paura. Se sopravvivo, sopravvi­vo, quindi non c’è motivo
per avere paura. Tuttavia, non so esattamen­te cosa succederà: ecco perché sono così pieno di
meraviglia e di curiosità e sono pronto a entrare in quella dimensione. Non so”. Ecco come dovrebbe
essere un uomo religioso, secondo me. Un uomo religioso non è né cristiano, né induista, né buddista
o maomettano: que­ste sono solo vie della cultura. Un cristiano afferma “io so”, ma la sua
conoscenza deriva dai dogmi cristiani. L’ induista afferma “anch’io so”, ma la sua conoscenza
proviene dai Veda e dalla Gita e dai suoi dogmi. E 1’induista è nemico del cristiano perché “se io
ho ragione, tu hai tor­to. Se tu hai ragione, allora io ho torto”. Seguono allora discussioni,
li­tigi e inutili conflitti.

Un uomo religioso, veramente tale, non i cosiddetti religiosi, è colui che afferma di non sapere.
Quando si afferma di non sapere, si è aperti, pron­ti a imparare; quando si afferma di non sapere,
non si hanno pregiudi­zi né in un senso né nell’altro, non si hanno dei credi, non si ha cultu­ra.
C’è solo consapevolezza.

Si afferma: “Sono consapevole e osserverò ciò che accade, non mi tra­scino dietro alcun dogma dal
passato”.

Questo è l’atteggiamento del discepolo, di colui che vuole apprendere. Disciplina significa
semplicemente ‘imparare’, e un discepolo è colui che è disposto a imparare. .

Io non vi insegno alcun dogma, non vi trasmetto alcuna cultura: vi aiu­to a vedere ciò che è. Vivete
la vita, qualunque sia il prezzo da pagare, siate pronti a scommettere su di lei.

Ho sentito raccontare di un uomo d’affari che, mentre si recava a piedi dall’ufficio a un ristorante
per la pausa del pranzo, fu fermato da uno sconosciuto che gli disse: “Non credo che ti ricordi di
me, ma circa die­ci anni fa arrivai in questa città senza un soldo. Ti chiesi un prestito e tu mi
donasti venti dollari dicendo di non voler perdere l’occasione di avviare un uomo al successo”.

L’uomo d’affari pensò per un momento e poi disse: “Oh, sì, ricordo, prosegui con il tuo racconto”.
“Beh,” continuò lo sconosciuto, “vuoi un’altra occasione?”. La vita vi ripete sempre la stessa
domanda, più volte: “Vuoi ancora scommettere?” Non è mai una cosa certa. La vita non ha
un’assicura­zione su se stessa: è un’apertura, un’apertura selvaggia e caotica . Pote­te costruire
una piccola casa attorno a voi, vi darà sicurezza, ma si ri­velerà la vostra tomba. Vivete con la
vita.

In molti modi noi abbiamo creato delle tombe. Il matrimonio è una crea­zione dell’uomo, mentre
l’amore è parte della vita. Quando voi create il matrimonio attorno all’amore, create una sicurezza.
Avete costruito qualcosa che non può essere costruito: l’amore non può essere legaliz­zato. Avete
cercato di fare una cosa impossibile e, con quello sforzo, l’amore muore e non c’è da stupirsene.
Voi diventate un marito e la vo­stra amata diventa una moglie: non siete più due persone vive, ma
due funzionari. Il marito ha certe funzioni, la moglie ne ha altre: entrambi hanno dei doveri da
svolgere e così la vita ha smesso di fluire, si è con­gelata.

Osservate un marito e una moglie. Vedrete sempre due persone conge­late, sedute una di fianco
all’altra, senza sapere cosa fanno lì e perché sono lì. Forse perché non sanno dove andare.

Quando vedete amore tra due persone, qualcosa fluisce, si muove, cam­bia. Quando c’è amore tra due
persone, queste vivono in un’aura, esi­ste un continuo condividere. C’è uno scambio di vibrazioni,
esse si tra­smettono a vicenda il proprio essere; non c’è un muro tra loro: sono due e tuttavia non
lo sono; sono anche un’unità.

II marito e la moglie sono assolutamente lontani, anche se sono seduti vicini; l’uomo non ascolta
ciò che dice la donna, perché da tempo è di­ventato sordo. La donna non vede neppure ciò che accade
al marito per­ché da tempo è diventata cieca. Entrambi considerano l’altro come una cosa certa,
scontata; sono diventati delle cose.

Non sono più persone perché le persone sono sempre aperte, nell’insi­curezza e in continuo
mutamento; ma il marito e la moglie hanno ruo­li fissi a cui sottostare. Sono morti nel giorno del
loro matrimonio: da allora non hanno più vissuto.

Non dico di non sposarvi, ma ricordatevi che l’amore è un fatto reale e, se l’amore muore, il
matrimonio non ha alcun valore. E questo vale per ogni cosa della vita: o la vivete, ma allora
dovrete vivere nell’insicu­rezza, senza sapere cosa succederà dopo, oppure cercherete una solu­zione
certa.

Ci sono persone che sono diventate così sicure su tutto che non si stupiscono di nulla. Ci sono
persone che non potrete stupire mai. E io so­no qui per trasmettervi un messaggio che è molto
sorprendente: non ci crederete, lo so. Non potrete crederci, lo so; sto per dirvi qualcosa che è
assolutamente incredibile: voi siete degli dèi. Ma lo avete scordato.

Harvey Firestone, Thomas A. Edison, John Burroughs e Henry Ford stavano viaggiando verso la Florida,
tutti insieme, nella stessa auto. Si fermarono a una stazione di servizio.

“Desideriamo delle lampadine di ricambio per le luci di posizione,”dis­se Ford,” e, a proposito,
quel signore seduto nell’auto è Thomas Edison e io sono Henry Ford”.

Il benzinaio non si degnò di lanciare neppure un’occhiata all’interno dell’auto e sputò per terra il
tabacco che stava masticando.

“Inoltre,” proseguì Ford, “vorremmo acquistare un nuovo pneumatico, possibilmente un Firestone, se
ne ha. Vede, quell’altro signore è Har­vey Firestone in persona”.

I1 benzinaio continuò a tacere e ad armeggiare intorno alla ruota, men­tre John Burroughs, con la
sua lunga barba bianca, mise la testa fuori dal finestrino dell’auto e disse: “Come va?”

Finalmente il benzinaio diede segni di vita. Guardò Burroughs ed escla­mò: “Se mi dice che lei è
Babbo Natale, che io sia dannato se non le rompo la testa con questo cric!”

Quel benzinaio non credeva che nella stessa auto, tutti insieme, ci fos­sero Harvey Firestone,
Thomas A. Edison, John Burroughs e Henry Ford. Questi personaggi erano amici e avevano l’abitudine
di viaggia­re insieme.

Quando affermo che siete degli dèi, non mi crederete perché avete di­menticato completamente chi sta
viaggiando dentro di voi, chi è sedu­to dentro di voi, chi mi sta ascoltando, chi mi sta guardando.
L’avete completamente dimenticato. Vi sono state applicate delle etichette e voi avete creduto a
quelle etichette: il vostro nome, la vostra religione, la vostra nazione… tutte storie! Non ha
alcun senso essere induista, cri­stiano o maomettano, se voi non conoscete voi stessi. Quelle
etichette non hanno alcun senso, salvo che possono essere utili in qualche modo. Che importanza ha
se siete indù, cristiani, maomettani, oppure indiani, o americani o cinesi? Tutto ciò è irrilevante,
perché il vostro essere non è né indiano, né cinese, né americano. L’essere è semplice­mente essere.

Essere è ciò che io chiamo Dio: se comprendete la vostra divinità inte­riore, avete compreso ciò che
è la vita; altrimenti non siete riusciti a de­cifrare l’esistenza. Questo è il messaggio. L’intera
vita mira in conti­nuazione a una sola cosa, e cioè che voi siete degli dèi. Una volta capi­to
questo, la morte non esiste più; allora avrete imparato la lezione. Al­lora, nella morte, gli dèi
torneranno a casa.

1l rabbino Bunam stava morendo, sua moglie scoppiò in lacrime. “Per quale motivo piangi?” le disse.
“Ho trascorso l’intera vita cercan­do di imparare a morire”.

L’intera vita è semplicemente una scuola per apprendere come tornare a casa, come morire, come
scomparire, perché nel momento in cui scomparite, Dio compare in voi. La vostra presenza è l’assenza
di Dio, la vostra assenza è la presenza di Dio.

www.krishnadas.it/L‘arte%20di%20morire.htm

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