LA TRADIZIONE DI LIMITAZIONE DELLA PERCEZIONE SENSORIALE

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LA TRADIZIONE DI LIMITAZIONE DELLA PERCEZIONE SENSORIALE

di Luca Isabella

Probabilmente, il modo più diffuso di alterazione della coscienza, sviluppato in migliaia di anni di
prove ed esplorazioni, consiste nel limitare il funzionamento di uno o più sensi, provocando, in
altre parole, uno stato di deprivazione sensoriale. Gli uomini si sono avvalsi di strumenti e
tecniche di diverso tipo per ridurre gli stimoli esterni che raggiungono i sensi. Il riconoscimento
che un periodo di solitudine e quiete sia di grande beneficio nel trattamento dei disturbi mentali
non è certo una conquista recente.

Presso l’oracolo di Trophonius, nell’antica Grecia, esisteva una sequenza di passaggi che portava
alla divinazione o alla cura di problemi psicologici. La procedura iniziava con una dieta rigorosa,
imposta mentre il supplicante era alloggiato in un edificio speciale accanto al tempio. Il
supplicante eseguiva quindi un sacrificio e beveva dalle fonti della memoria e dell’oblio. Questa
sequenza assicurava innanzitutto la buona disposizione dell’oracolo, quindi faceva sì che il
paziente dimenticasse il suo passato, e infine gli permetteva procedere attraverso una piccola
camera sotterranea dove, isolato ed escluso dagli stimoli esterni, subiva un’esperienza, a noi
ignota, che conduceva alla regressione, al mutamento di personalità e alla “rinascita”. L’uscita
dalla camera per tornare al mondo normale lo riempivano di confusione che gradualmente si dissipava.
Forse la funzione delle diete, degli ambienti speciali e degli altri trattamenti era quella di
indurre sogni di natura soprannaturale, che avevano il potere di anticipare il futuro e/o di curare
le malattie. Sembra che delle vestigia di questa tradizione sopravvivano in alcuni monasteri e
chiese della Grecia, anche se ormai tendono a scomparire.

La “psicoterapia onirica” o “incubazione” somiglia molto da vicino alla divinazione e alle altre
apparizioni magiche comuni nei riti legati alla pubertà in uso tra gli Indiani nordamericani e altre
culture. Ma in un contesto meno mistico, il ricorso alla riduzione degli stimoli è stato riferito
anche nella medicina popolare.

Tra le pratiche curative delle tribù dell’Africa subsahariana, era uso che il paziente venisse
completamente avvolto in una coperta e altri metodi consimili di “restrizione ambientale”. Di
recente, Klein (1978) ha citato l’induzione di un totale rilassamento, compreso il riposo a letto,
nel trattamento del susto, una sindrome da stress comune in America latina e tra gli immigranti
latinoamericani negli Stati Uniti. Nella sua ampia opera sugli Indiani nativi del nordovest
americano e della costa occidentale del Canada, Jilek (1977) discute in dettaglio la cura della
“malattia dello spirito”, una diagnosi basata su depressione cronica, comportamento asociale e abuso
di droghe. La terapia consiste nell’alternare riduzione degli stimoli e iperstimolazione, la prima
indotta mediante oscurità, immobilità e isolamento, la seconda provocata con il suono dei tamburi,
il canto e il battito delle mani, fortemente ritmati, il dolore e la danza sfrenata.

Anche nelle cerimonie di guarigione delle tribù del sudest, così come tra gli esquimesi, si ricorre
all’oscurità e all’immobilità forzata. In molti di questi casi il confine tra rituale religioso e
curativo non è facilmente riconoscibile, né particolarmente significativo. In genere, il ricorso
alla riduzione degli stimoli appare correlato all’aumento della suscettibilità del paziente alla
persuasione e a importanti mutamenti di personalità, piuttosto che al conseguimento di uno stato di
rilassamento che di solito è un obiettivo primario del REST (Restricted Environmental Stimulation
Technique) nella prassi clinica formale.

Il trattamento del malato di mente mediante l’uso del “buio [che] calma lo spirito” è già stato
ascritto agli antichi in un trattato medico scritto da un romano del primo secolo, Aulus Cornelius
Celsus, ed era ancora in uso nel Medioevo, insieme alla riduzione degli stimoli sociali e sensoriali
(Bromberg, 1975). Come chiarisce molto bene l’analisi della storia della psichiatria di Bromberg, la
solitudine, l’oscurità, il silenzio, l’immobilità e altre forme di REST erano frequentemente
raccomandate e utilizzate durante il Rinascimento, l’Illuminismo, la Rivoluzione Industriale e
ancora, senza interruzione, fino ai giorni nostri. Talvolta se ne è fatto un uso eccessivo, anche in
condizioni psichiche in cui era chiaro che lo scopo fosse quello di controllare e non di curare; a
volte, come nel caso del “tranquillizzatore” inventato da Benjamin Rush (1806), il fondatore della
psichiatria americana e uno dei firmatari della Dichiarazione di Indipendenza, la procedura poteva
essere spiacevole e abbinata a tecniche mediche, allora invalse, che oggi non sarebbero più
accettabili. Nella tecnica di Rush, il paziente era legato a una sedia con la testa chiusa in una
scatola, in modo che gli stimoli luminosi e sonori fossero drasticamente ridotti (Reidman e Green,
1964). In altri casi il trattamento era meno violento. Nella cura Rest di Mitchell (1877/1905), i
pazienti con sintomi di isteria e nevrastenia venivano isolati, con l’eccezione di una persona che
prestava loro assistenza, in un luogo silenzioso e in penombra, e indotti a riposare a lungo.
L’approccio di Mitchell era innovativo e lungimirante: riconosceva la necessità di un trattamento
multimodale e prescriveva direttive procedurali piuttosto caute per garantire che l’isolamento e il
REST fossero condotti rispettando i limiti umani e che gli effetti negativi fossero evitati (Dercum,
1917). Dercum, un discepolo di Mitchell, affrontò molto dettagliatamente diverse forme di cura Rest
e descrisse la loro applicabilità alle diverse categorie di malattia mentale. Il suo sommario
evidenzia la grande utilità che egli riconosceva alla tecnica, essendo quest’ultima applicabile alle
nevrosi allora comuni quali la nevrastenia, l’isteria e l’ipocondria, nonché a diversi problemi
comportamentali quali la depressione e il delirio, fino a disturbi quali l’epilessia e l’abuso di
alcol e stupefacenti. Egli comprese, infatti, che “nella gestione dell’infermità mentale, il
principio fondamentale è il riposo”. Che questo non fosse un punto di vista unico è dimostrato dal
fatto che anche Janet (1919) fa riferimento al riposo e all’isolamento come a una delle principali
terapie psichiche. Inoltre, prescrive di economizzare lo sforzo, che nella sua enfasi sulla routine,
la stabilità e la monotonia presenta una versione meno drammatica ma comunque riconoscibile del
REST. Guthrie (1938), nel suo capitolo sulla psicoterapia, offre un’idea del ruolo importante che la
riduzione degli stimoli e le tecniche correlate ricoprono nelle rappresentazioni psicoterapeutiche
dei primi anni del ventesimo secolo.

Per converso, l’idea che la stimolazione eccessiva possa provocare disadattamento non è nuova e,
infatti, costituisce la base di alcuni usi pionieristici della riduzione degli stimoli dei primi
psiachiatri. Mitchell, che scrive verso la fine del diciannovesimo secolo, metteva in guardia contro
la “vita priva di riposo”. Il percorso logico che condice da questa idea ai concetti di sovraccarico
di informazioni, “sovraccarico di stimoli attrattivi” (Lipowski, 1970), e “future shock” (Toffler,
1970) è chiaro, e lo è anche il passaggio dalle condizioni parziali e complete di riposo prescritte
da Dercum ai diversi usi attuali del REST.

La vasca di restrizione sensoriale

Sebbene per migliaia di anni siano state utilizzate diverse forme di deprivazione sensoriale da
bambini, artisti, mistici, yogi e monaci, per raggiungere la pace, il piacere, il rilassamento,
l’illuminazione, per meditare o semplicemente per divertirsi, è stato uno studioso del cervello a
sviluppare la vasca di restrizione sensoriale. Il Dott. John C. Lilly, laureato in medicina con una
formazione come psicoanalista e una specializzazione in neurofisiologia sperimentale, non stava
riflettendo sugli stati meditativi di coscienza, la pace o il piacere, ma tentava di creare quello
che definiva “uno strumento di ricerca” con cui potesse studiare alcune aree enigmatiche della
neuropsicologia. Per oltre vent’anni Lilly ha portato avanti i suoi studi sul cervello, in
particolare sulla sua attività elettrica. Affascinato dalla relazione apparentemente inconoscibile
tra il cervello fisico e quello che si definisce comunemente “mente”, Lilly era determinato a
registrare con oggettività l’attività elettrica del cervello e l’attività nonché i cambiamenti di
pensiero, sentimento e idee corrispondenti e simultanei. Dopo anni di esplorazione dell’attività
elettrica del cervello, tuttavia, Lilly concluse con riluttanza che non esisteva alcun modo per
raccogliere e registrare tali attività senza danneggiare e modificare il cervello ed alterare, di
conseguenza, la mente in esso contenuta.

Mentre ricercava un metodo per studiare i processi del cervello/mente senza modificare o danneggiare
il cervello, Lilly fu attratto dalla questione correlata delle origini dell’attività cosciente
all’interno del cervello stesso. Nel 1954, mentre lavorava presso il National Institutes of Mental
Health (NIMH), Lilly capì che il solo modo per affrontare entrambi i problemi, cioè lo studio del
cervello/mente e la questione circa le origini della coscienza, consisteva nell’isolare la mente
dalla stimolazione esterna. Lilly scoprì che presso l’istituto esisteva una struttura ideale per lo
scopo: una camera insonorizzata contenente una vasca costruita durante la seconda guerra mondiale
per gli esperimenti condotti dalla Marina sul metabolismo dei nuotatori subacquei. Nella prima vasca
di Lilly la persona galleggiante era sospesa in posizione eretta, interamente sott’acqua, con la
testa completamente coperta da un impianto e da una maschera di respirazione di gomma modellata in
sospensione all’estremità di un tubo dell’aria. Lilly pensava che la vasca eliminasse di fatto tutti
i principali stimoli esterni. Tra questi, i più importanti erano:
– La presenza di altre persone
– Luce
– Suoni
– Gravità
– Temperatura.
Dopo aver progettato la vasca, occorreva collaudarla e Lilly e il suo collega Jay Shurley non ebbero
esitazioni nel designare se stessi come soggetti dell’esperimento.

A quell’epoca, il 1954, si trattava di compiere un passo nell’ignoto. Lo studio più influente
sull’isolamento condotto fino a quel momento era il lavoro del Dott. Donald Hebb del dipartimento di
psicologia della McGill University. Lo studio del 1953 si era concentrato sulla stimolazione
monotona piuttosto che ridotta, collocando il soggetto immobile in un letto all’interno di una
camera di isolamento con aria condizionata, braccia e mani guantate avvolte in manicotti di cartone,
occhi coperti, la camera immersa in una luce diffusa e rumore bianco. I soggetti erano stati
reclutati per un esperimento di “deprivazione sensoriale” e avevano tutte le ragioni per aspettarsi
l’esperienza negativa evocata dal termine deprivazione. Trovavano difficile pensare in maniera
organizzata o mantenere la concentrazione per prolungati periodi. Divennero molto suggestionabili.
Si accrebbe il nervosismo e l’ansia e i soggetti svilupparono delusioni e bizzarre allucinazioni. Si
verificarono alcune crisi. In generale, gli esperimenti della McGill realizzarono le aspettative
negative dei ricercatori.

Quindi, a metà degli anni 50, si pensava che la deprivazione sensoriale fosse una via che conduceva
alla pazzia. Dati i presupposti della comunità scientifica, Lilly deve aver vissuto con una certa
trepidazione il momento in cui si immerse per la prima volta nella vasca di galleggiamento, entrando
in uno stato di deprivazione che avrebbe potuto farlo impazzire, o, nella migliore delle ipotesi,
spaventarlo e disorientarlo. È facile immaginare la sua sorpresa quando comprese che l’assenza di
stimoli esterni invece di deprivarlo lo proiettava in quelli che definì “stati riccamente elaborati
di esperienza interna”. Con questa prima immersione Lilly fece un’altra sorprendente scoperta:
l’esperienza di isolamento non fu affatto stressante, anzi si rivelò profondamente rilassante. La
comunità scientifica, tuttavia, non era preparata per un atteggiamento così positivo, quasi
evangelico, verso quelli che insisteva nel vedere come “fenomeni psicopatologici”. Incapace di
ottenere approvazione per le sue idee tra i membri della comunità scientifica accademica, Lilly
continuò i suoi esperimenti con il galleggiamento, semplificando e migliorando la struttura generale
della vasca. Comprese che galleggiare in una posizione supina era più rilassante, invece che con i
piedi sospesi verso il basso nell’acqua. Infine, scoprì che il galleggiamento migliore era garantito
da una soluzione satura di sali di Epsom, che consentiva anche ai ricercatori più magri di
galleggiare con l’intero corpo o vicino alla superficie dell’acqua. Negli anni successivi furono
apportati altri miglioramenti, come riscaldatori dell’acqua con termostati sufficientemente
sensibili da mantenere l’acqua alla temperatura perfetta, un sistema di ventilazione per mantenere
fresca l’aria nella vasca e un meccanismo di sanitizzazione per il riutilizzo della soluzione
salina.

Nei primi anni ‘70, Lilly aveva perfezionato la vasca di galleggiamento, arrivando a una struttura
simile a quella attuale. Con l’installazione di diverse vasche nella sua casa di Malibu, Lilly
iniziò a invitare membri influenti del nuovo movimento del “potenziale umano” per provare
l’esperienza del galleggiamento. Leader culturali, artisti e autorità del “gioco della mente” si
denudarono e si immersero nella vasca per un’esperienza di “caduta libera psicologica” in un “buco
nero dello spazio psicologico”. Molte di queste persone avevano una grossa esperienza nel campo
della meditazione. Erano consapevoli del fatto che per raggiungere livelli profondi di meditazione
occorreva molta pratica, sforzi ripetuti e talvolta frustanti di escludere i suoni, la luce e gli
altri stimoli ambientali. Tuttavia, scoprirono che la vasca eliminava tali distrazioni, consentendo
loro di raggiungere quasi immediatamente livelli profondi di meditazione. Per usare le parole di
Lilly, “l’ambiente ristretto della vasca consente di iniziare la meditazione nel punto che,
all’esterno della vasca, è raggiungibile solo dopo alcune operazioni inibitorie che richiedono un
certo periodo di tempo per essere eseguite. In un ambiente privato delle distrazioni esterne, è
possibile concentrarsi immediatamente sulle proprie percezioni interne e immergersi nel proprio
mondo interiore”.

Attualmente esistono migliaia di vasche in uso, con centri di galleggiamento di natura commerciale
in più di un centinaio di città americane nonché in molte città europee e giapponesi. Con
l’esplosione dell’interesse popolare per il galleggiamento, i ricercatori scientifici si contendono
la vasca. Sempre più università e istituti di ricerca hanno acquistato vasche di restrizione
sensoriale e, in questi ultimi anni, si è intensificata la ricerca nei campi della biochimica,
dell’elettromagnetismo, delle onde cerebrali, del sonno, della modifica comportamentale, della
suggestionabilità, della riduzione della pressione sanguigna, dell’autoregolazione e della
guarigione.

L’esperienza della restrizione sensoriale in vasca di galleggiamento

Gli stati modificati di coscienza condividono diverse caratteristiche generali, tra cui alterazioni
del pensiero, cambiamenti nella percezione del tempo, cambiamenti dell’immagine corporea, un senso
dell’ineffabile, il sentimento del ringiovanimento, ipersuggestibilità, cambiamento dell’espressione
emotiva e liberazione temporanea dal controllo dell’io. L’esperienza del galleggiamento rivela
anch’essa caratteristiche simili e può essere divisa in due parti: durante e dopo il galleggiamento.

Nella vasca

In estrema sintesi, quando neutralizziamo o restringiamo gli stimoli ambientali, diventiamo più
consapevoli di ciò che ancora abbiamo a disposizione. Nel caso della restrizione sensoriale, dopo
aver escluso luce, suono, sensazioni tattili, gravità, la presenza di altre persone e movimenti,
quello che resta è il Sè: la realtà fisica dei nostri muscoli scheletrici, dei nostri sistemi
interni, dei nostri cervelli, e la realtà non fisica dei nostri pensieri, emozioni, intuizioni e
immagini mentali. Questa consapevolezza intensificata non è uno stato privo di contenuto, di poca
utilità nel “mondo reale”: diventando più consapevoli dei propri processi interni, si può esercitare
di fatto un controllo cosciente su di essi. La scoperta che gli uomini possono controllare il
proprio corpo prestando attenzione ai sottili segnali interni fu opera di alcuni ricercatori che si
avvalsero di tecniche di biofeedback e rappresenta sicuramente una delle più significative conquiste
degli ultimi decenni. Tuttavia, non si tratta di certo di un’assoluta novità. Mediante tecniche di
deprivazione sensoriale, yogi, monaci e fachiri hanno realizzato questi “miracoli” di autocontrollo
per migliaia di anni, a discapito di quanto hanno affermato, nella loro beata ignoranza, molti
ricercatori occidentali, convinti che tali eventi non potessero verificarsi. Alla base di quello che
si verifica all’interno della vasca risiede un paradosso: restringendo l’input sensoriale, aumenta
la consapevolezza sensoriale, diventando ciechi si impara a vedere in un modo nuovo e più efficace,
abbandonandosi, si guadagna maggiore controllo e potere su se stessi e, in ultima istanza, sul mondo
esterno.

Fuori dalla vasca

Se l’immergersi nella vasca può accrescere la nostra consapevolezza anche dei più impercettibili
processi interni, la crescita di consapevolezza che si realizza dopo esserne usciti non è di minore
entità. Le persone che emergono dalla vasca si sorprendono a riscoprire un mondo che sembra
cambiato. Vedono le cose in modo diverso, descrivono un mondo nuovo, brillante, illuminato,
intensificato, più vivido e luminoso. Quando si esclude l’input proveniente dai sensi, immergendosi
nella vasca, i sensi sembrano rispondere espandendosi, diventando più ricettivi. William Blake ha
descritto il processo come “purificazione delle porte della percezione”. I maestri Zen parlano di un
mondo visto con gli occhi di un novizio. Gesù, invece, di un mondo esperito con le percezioni
fresche di un bambino. Gli psicologi hanno definito il fenomeno “deautomatizzazione”. Qualunque sia
la terminologia, dopo una sessione nella vasca si percepisce il mondo con immediatezza, ricchezza e
chiarezza sorprendenti, e qualunque sia il valore spirituale assegnato a questo tipo di percezione,
è immediatamente certo che si tratti di un’esperienza degna di essere vissuta semplicemente perché
genera sensazioni piacevoli.

Effetti psicofisiologici della restrizione sensoriale

La terapia REST (Restricted Environmental Stimulation Therapy) ha affascinato numerosi ricercatori,
medici ed esploratori della coscienza, promettendo loro un’esperienza veramente speciale: una
potente trasformazione, un’esperienza di portata mistica, un cambiamento intenso nei processi
biochimici, prestazioni migliorate o la guarigione dalle malattie. Al di là del fascino che tale
terapia esercita, il galleggiamento REST si è attestato come metodo unico al mondo nel campo della
psicofisiologia applicata e si è rivelato essere una tecnica con effetti psicofisiologici
prevedibili e applicazioni mediche e pratiche di ampia portata. Nella scelta dei parametri
fisiologici dell’effetto del REST sul rilassamento, sono stati esaminati i cambiamenti fisiologici e
biochimici di base associati allo stress. I parametri fisiologici misurati includevano la pressione
sanguigna (BP), la tensione muscolare (EMG) e la frequenza cardiaca (HR). I parametri ormonali
includevano sia gli ormoni dell’asse surrenale, quali ACTH, epinefrina, norepinefrina, cortisolo e
aldosterone, sia gli ormoni non direttamente associati alla risposta allo stress (progesterone e
testosterone). Per quanto riguarda diversi ormoni sono state osservate riduzioni sia durante una
singola sessione di galleggiamento, sia tra diverse sessioni. Gli ormoni direttamente associati alla
risposta allo stress, quali il cortisolo, l’ACTH e l’epinefrina mostrano riduzioni durante le
sessioni, mentre il progesterone, non direttamente associato alla risposta allo stress, non mostrava
mutamenti (Turner e Fine 1983). Allo stesso modo, furono osservate riduzioni tra le sessioni negli
ormoni associati all’asse surrenale (cortisolo, aldosterone, attività renina), mentre un ormone non
collegato alla risposta allo stress, il testosterone, non rivelava mutamenti tra le sessioni (Turner
e Fine, 1990a). In uno studio separato, si è esaminato l’effetto tra le sessioni sui valori del
cortisolo e sulla loro variabilità, osservando una riduzione in entrambi i parametri (Turner e Fine,
1991). Questo suggerisce la possibilità di una reimpostazione del meccanismo di regolazione del
cortisolo tra le sessioni. Inoltre si è scoperto che il cortisolo, a cui è stata prestata una
maggiore attenzione, e la pressione sanguigna conservano l’effetto del REST al termine di sessioni
REST ripetute (Turner e Fine, 1983). Il fenomeno rivela che l’effetto del REST è molto di più di una
semplice risposta immediatamente reversibile. Se si confrontano le modifiche ormonali e della
pressione sanguigna durante il REST con quelle che si verificano durante altre condizioni di
rilassamento (es. biofeedback), risulta evidente che gli effetti ormonali sono maggiori durante il
REST, mentre si rivelano sostanzialmente simili i cambiamenti della pressione sanguigna (McGrady,
Turner, Fine e Higgins. 1987). Questi risultati ci inducono a pensare che il REST incida su
meccanismi diversi da quelli coinvolti nel biofeedback (dal momento che influenza i livelli di
cortisolo più di altri metodi) o che sia semplicemente più efficace (in altre parole, il REST ha
raggiunto la soglia di modifica del cortisolo mentre il biofeedback non ci è riuscito).

Applicazioni cliniche del galleggiamento REST

Tali risultati supportano in modo significativo l’ipotesi che il galleggiamento REST rappresenti un
efficace strumento per l’induzione di rilassamento e sia dotato di un cospicuo potenziale clinico
nella cura dei pazienti che soffrono di disordini legati allo stress. Sono numerosi gli studi
clinici in cui il REST è stato impiegato come trattamento terapeutico nella cura di un’ampia gamma
di patologie, tra cui ipertensione essenziale, cefalea da tensione muscolare, disturbi d’ansia,
dolore cronico, insonnia psicofisiologica, PMS e artrite reumatoide (Fine e Turner, 1985; Rzewnicki,
Alistair, Wallbaum, Steel, Suedfeld, 1990; Fine e Tumer, 1985; Goldstein e Jessen, 1990; Turner,
DeLeon, Gibson, Fine, 1993). I paradigmi terapeutici utilizzati nei suddetti studi erano simili e
prevedevano l’impiego del REST come metodo principale per l’induzione di rilassamento e il training.
I risultati conseguenti all’uso del REST si sono rivelati positivi. Uno degli effetti più
straordinari prodotti dal REST e rilevati nel corso di tali studi è stato la sperimentazione
ricorrente da parte di pazienti affetti da dolore cronico di una totale assenza di dolore durante il
galleggiamento; l’anestesia spontanea poteva protrarsi anche per diverse ore successivamente al
termine della sessione. Purtroppo, come nel caso di molti approcci terapeutici biocomportamentali,
non sono ancora stati effettuati esperimenti controllati su larga scala.

Galleggiamento REST e peak performance

Un settore completamente diverso ed estremamente interessante è rappresentato dall’utilizzo del
galleggiamento REST per il miglioramento delle prestazioni umane. Da numerosi studi, condotti
principalmente nell’ambito dei programmi di ricerca di Peter Suedfeld della University of British
Columbia e di Arreed Barabasz della Washington State University, è emerso un considerevole
incremento della creatività scientifica, delle prestazioni relative al volo cieco e dell’abilità
pianistica. Altre analisi effettuate in merito alle prestazioni sportive (basket, tennis, sci) hanno
avuto esiti positivi. In diversi studi la condizione del galleggiamento REST è stata modificata con
tecniche di rilassamento e training mediante immagini, producendo sempre un effetto potenziato. Il
galleggiamento REST è stato utilizzato con o senza il supporto di immagini, senza riscontrare alcuna
differenza di rilievo. Il galleggiamento REST si è dimostrato sufficientemente potente da produrre
un miglioramento delle prestazioni. Barabasz sostiene che, trattandosi di una tecnica in grado di
accrescere la capacità immaginativa distruggendo al contempo processi psicologici già strutturati,
il REST è particolarmente adatto non solo per l’acquisizione di nuove capacità potenziate ma anche
per la rimozione di capacità meno adattive.

Galleggiamento Rest e gestione del dolore

Un esame accurato del ruolo del galleggiamento REST nella gestione del dolore consentirà di
comprendere appieno la natura psicofisiologica del trattamento. Le terapie del dolore sono
generalmente utilizzate come estremo rimedio per i pazienti refrattari ai trattamenti medici
tradizionali. La gestione del dolore su base biocomportamentale prevede l’impiego di tecniche di
medicina comportamentale e di consueling quali, ad esempio, training autogeno, meditazione,
biofeedback, immaginazione guidata e autoipnosi. Gli obiettivi di tale trattamento consistono nello
sviluppo di capacità specifiche di elusione del dolore, nella definizione di abitudini quotidiane
per uno stato di salute ottimale entro i limiti di una condizione di invalidità, nella riduzione o,
se possibile, nell’eliminazione del dolore e/o nell’accettazione da parte dei pazienti di un certo
livello di dolore.

Il galleggiamento REST può giocare un ruolo significativo in diverse fasi del processo di gestione
del dolore. Riducendo la tensione muscolare e la sensazione di dolore in un periodo di tempo
relativamente breve e senza alcuno sforzo da parte del paziente, tale tecnica offre una prova
evidente dei vantaggi del rilassamento. Il sollievo è immediato e, sebbene temporaneo, promette
ulteriori miglioramenti con l’adozione del REST e di altre strategie basate sul rilassamento. La
riduzione dei sintomi che si ottiene mediante il galleggiamento può accrescere la motivazione del
paziente e il suo interesse per le fasi successive del programma terapeutico. I pazienti sono in
genere sospettosi e scettici nell’iniziare il trattamento e desiderano una dimostrazione chiara e
concreta della possibilità di essere aiutati. Il galleggiamento è in grado di fornirla. Lo stato di
relax che segue il galleggiamento può essere utilizzato per agevolare il training. Nel trattamento
qui analizzato, il training nel rilassamento e in altre strategie psicologiche per il controllo del
dolore è stato impiegato durante le sessioni di galleggiamento REST e durante le sedute di
consueling. Mediante programmi di ascolto mirati, i pazienti sono stati preparati all’uso, durante
il galleggiamento, di particolari tecniche respiratorie, al rilassamento progressivo dei muscoli, al
training autogeno, all’immaginazione guidata e alle suggestioni ipnotiche per la riduzione del
dolore.

Le più comuni eziologie del dolore in questo gruppo di pazienti erano legate a incidenti
automobilistici, incidenti sul lavoro e malattia cronica. La maggior parte dei pazienti aveva
sopportato il dolore per oltre sei mesi, sperimentando anche diversi livelli di ansietà, rabbia e
depressione. Tali problemi emotivi devono essere attentamente considerati nel trattamento dei
pazienti affetti da dolore cronico. I primi dati corrispondono a valutazioni “pre-post” del dolore
relative a 16 pazienti che hanno effettuato da una a 16 sessioni di galleggiamento. Per ogni
paziente sono state analizzate fino a quattro aree del corpo, per un totale di 253 misurazioni
pre-post. La percentuale media di sollievo, misurata rispetto al valore antecedente alla sessione, è
stata del 31,3% per tutte le sessioni e le misurazioni. Per stabilire se il galleggiamento REST è in
grado di fornire maggiore sollievo dal dolore ad alcune parti del corpo piuttosto che ad altre, le
misurazioni eseguite sono state suddivise ed esaminate in relazione alle diverse aree del corpo di
riferimento. La media della riduzione del dolore nella maggior parte delle aree del corpo è stata
del 31% circa, fatta eccezione per la parte superiore della schiena (63,6%), le braccia (48,2%) e le
gambe (15,3%). La durata del sollievo variava da un minimo di due ore a un massimo di sette giorni.
Una seconda serie di dati è stata raccolta in seguito ad un sondaggio inviato ad alcuni pazienti che
avevano completato il programma. Nel questionario veniva chiesto ai pazienti di esprimere una
valutazione del livello di sollievo dal dolore ricevuto dai vari componenti del programma
(galleggiamento, training e consueling) e da altri trattamenti praticati, farmacologici,
chiropratici, chirurgici o di terapia fisica. Sollievo temporaneo o a lungo termine dal dolore,
liberazione da ansia o da stress e sollievo da stati depressivi sono stati indicati separatamente.
Ai pazienti è stato inoltre chiesto se i vari trattamenti avessero migliorato il loro approccio alla
realtà e/o li avessero aiutati a gestire in modo adeguato il proprio dolore.

Tutti e 27 i pazienti che hanno completato il questionario si erano sottoposti ad altri trattamenti
oltre che a questo programma per la cura del dolore: l’81% aveva fatto ricorso a farmaci specifici
contro il dolore, il 56% a infiltrazioni antidolorifiche, il 70% a terapie fisiche, il 59% a
trattamenti chiropratici e il 22% a interventi chirurgici. I suddetti pazienti hanno dichiarato di
aver ricevuto dalle sessioni di galleggiamento un sollievo dal dolore, temporaneo o a lungo termine,
maggiore che da altre modalità terapeutiche. Per i sintomi non legati al dolore fisico, i confronti
hanno prodotto risultati ancor più sorprendenti. I pazienti hanno riferito che la pratica del
galleggiamento li ha aiutati a combattere stati di ansia e di stress molto più di altre tecniche
terapeutiche. Per la cura della depressione, il galleggiamento e il consueling si sono classificati
allo stesso posto, con una percentuale di riduzione del dolore pari al 70% circa, per il training si
è invece registrato un sollievo del 53% e per la terapia fisica e farmacologia del 20%. I pazienti
hanno dichiarato di aver ricevuto anche numerosi altri vantaggi dal galleggiamento, ad esempio
miglioramenti nella qualità del sonno (65%), nella concentrazione mentale (77%), nella carica
energetica (46%), nei rapporti interpersonali (54%), nelle capacità lavorative (35%) e nella
capacità di gestire il dolore (88%) e di affrontare lo stress (92%), nonché una sensazione di
benessere generale (65%) derivante dalla pratica del REST. Alla domanda “Questo trattamento ha
migliorato il suo approccio al dolore?”, il 96% dei pazienti sottoposti al sondaggio ha risposto
positivamente riguardo al galleggiamento, il 100% riguardo al consueling, il 100% riguardo al
training, il 50% alla terapia fisica, il 24% alle pillole contro il dolore, il 17% alle iniezioni
antidolorifiche e il 15% ai trattamenti chiropratici. Alla domanda, invece, “Questo trattamento l’ha
aiutata a gestire in modo efficace il suo dolore?”, la risposta del 96% dei pazienti è stata
positiva per il galleggiamento, del 92% per il training e la consultazione, del 50% per le iniezioni
antidolorifiche, del 44% per le infiltrazioni antidolorifiche, del 38% per la terapia fisica e del
17% per i trattamenti chiropratici. Risulta evidente, dunque, che il galleggiamento si è rivelato in
media più efficace di altri trattamenti per la cura del dolore, dell’ansia e della depressione.

Galleggiamento REST e malattie croniche

Oltre a pazienti affetti da dolore cronico, sono stati oggetto di ricerca anche pazienti afflitti da
malattie fisiche croniche. La maggior parte dei malati cronici soffriva di malattie autoimmuni, tra
cui artritre reumatoide, lupus, scleroderma e sindrome di Reiter. Per questi pazienti la scoperta
del rilassamento ha significato una considerevole riduzione di sintomi quali dolori articolari, mal
di testa, affaticamento e depressione. Numerosi pazienti affetti da lupus hanno dichiarato che la
pratica regolare del galleggiamento ha permesso loro di ridurre il dosaggio di prednisone
sperimentando una minore frequenza e gravità dei sintomi. Due pazienti che soffrivano di scleroderma
hanno affermato di trarre notevole sollievo dal galleggiamento. Una, in particolare, ha riscontrato
una significativa diminuzione del dolore che si è protratta per quasi una settimana dopo la terza
sessione di galleggiamento. La donna ha proseguito il trattamento ricavandone diversi altri
vantaggi: sollievo dalla depressione causata dalla malattia, drastica riduzione dell’uso di steroidi
e altri farmaci, diminuzione dei dolori articolari e del gonfiore e attacchi meno frequenti di mal
di testa e dolori di stomaco. Dopo tre mesi di trattamento a base di consueling e galleggiamento la
donna ha potuto riprendere il suo lavoro.

Galleggiamento REST e depressione

Quando lo stato depressivo si sviluppa come reazione a una malattia o a un’infermità fisica, il
galleggiamento REST è in grado di provocare un immediato innalzamento del tono dell’umore,
probabilmente a causa degli effetti positivi prodotti da uno stato di rilassamento profondo nonché
dell’ottimismo indotto dall’esperienza del sollievo fisico. Se la depressione è invece la diagnosi
principale, è più opportuno utilizzare il galleggiamento in combinazione con il consueling e solo
dopo che il paziente ha acquisito un minimo di controllo sulle proprie emozioni. È necessaria una
certa cautela nell’impiego del metodo REST con i pazienti depressi a causa della natura spesso
ossessiva del pensiero negativo che perdurerà nel corso della sessione REST. Una volta che questi
pazienti abbiano sviluppato una migliore comprensione del proprio disturbo, il galleggiamento REST
consente di innalzare il tono dell’umore accelerando così il corso della terapia, soprattutto se
combinato con un’immaginazione guidata positiva durante le sessioni.

REST e fisiopsicologia applicata

L’ambiente REST è un ambiente ideale per un apprendimento basato sul biofeedback. Diversi anni fa
Lloyd e Shurley hanno pubblicato un documento in cui si dimotrava l’effetto del REST
sull’acquisizione del controllo di singole unità motorie. Tale acquisizione risultava superiore
nella camera REST (Lloyd e Shurley, 1976), e da recenti ricerche è emerso lo stesso tipo di
vantaggio per il controllo della frequenza cardiaca.

Bibliografia

Fine T.H. e Turner J.W. (a cura di), 1983, First international conference on REST self regulation,
Toledo, Ohio, IRIS Publications
Fine T.H. e Turner J.W. (a cura di), 1985, Second international conference on REST, Toledo, Ohio,
IRIS Publications
Fine T.H. e Turner J.W. (a cura di), 1990, Restricted invironmental stimulation: research and
commentary, Toledo, Ohio, Medical College of Ohio Press
Suefeld P., Turner J.W. e Fine T.H. (a cura di), 1990, Restricted invironmental stimulation:
theoretical and empirical developments in floatation REST, New York, Springer-Verlag
Barabasz A.F. e Barabasz M. (a cura di), 1993, Clinical and experimental restricted invironmental
stimulation, New York, Springer-Verlag
Hutchison M., (1984), The book of floating, Quill, New York

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