La Percezione Ciclica

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La Percezione Ciclica

di Giuseppe Bonaccorso

La percezione è l’attività attraverso la quale gli esseri viventi (che, per comodità e
generalizzazione, chiameremo agenti) acquisiscono informazioni dall’ambiente esterno; a partire da
un’analisi relativamente superficiale, si potrebbe quindi pensare che l’intero processo sia regolato
da un meccanismo feed-forward, cioè che esista un unico flusso di dati proveniente dal contesto in
cui è situato l’agente e direzionato verso lo stesso. In tal senso ciò che noi definiamo “attività”
perde ogni caratteristica intrinseca per dar luogo ad un meccanismo completamente passivo; l’agente
riceve informazioni senza che la volontà possa intervenire e non vi è alcuna possibilità di
selezionare le sorgenti. Questo tipo di approccio si accorda perfettamente con la teoria della
comunicazione formulata da Claude Shannon e prevede l’esistenza di un mittente, di un canale e di un
ricevente; naturalmente quest’ultimo conosce solo le caratteristiche strutturali del messaggio che
transita attraverso il canale, ma non è in grado di prevederne in modo esatto l’andamento.
Applicando questi principi alla percezione si è tentati di attribuire il ruolo di mittente al
contesto e quello di ricevente all’agente che, tramite gli organi preposti alla cattura delle
informazioni, ha solo il compito di decodificare ed elebarare i flussi in ingresso per soddisfare
determinati obiettivi.

Ad esempio, se consideriamo un messaggio sonoro, potremmo dire che l’orecchio è l’organo
funzionalmente idoneo per trasformare le variazioni di pressione in segnali elettrici che, una volta
convogliati dal nervo acustico al cervello, divengono oggetto di una serie di processamenti che
culminano nella piena consapevolezza di ciò che si sta udendo. In realtà la questione è ben diversa
e ci se ne può rendere facilmente conto innanzi tutto considerando i diversi tipi di messaggi
sonori: rumore di fondo, suoni particolari, musica, linguaggio parlato, liguaggi incomprensibili,
ecc. Se la percezione fosse basata esclusivamente su un’analisi seriale, ciascuna delle suddette
alternative dovrebbe seguire i medesimi procedimenti ed eventualmente solo nella fase finale
dell’elaborazione essa potrebbe, senza alcuna garanzia che lo faccia, essere incanalata verso
percorsi differenti i quali avrebbero come destinazione particolari aree cerebrali atte ad una
precisa azione sul percetto. Nel caso del linguaggio naturale ci si potrebbe aspettare che il
percorso orecchio – cervello termini nell’area di Wernicke (responsabile della comprensione
semantica), mentre l’ascolto consapevole di un brano musicale che susciti particolari emozioni
faccia riferimento ad aree situate prevalentemente nell’emisfero destro.

Ma quali criteri vengono utilizzati affinchè possa avere luogo una tale differenziazione ? Un
percorso lineare dei flussi informativi ha come caratteristica fondamentale il trattamento
isomorfico dei dati: in altre parole, i segnali elettrici che viaggiano lungo i nervi, secondo
questa visione, vengono accolti dal cervello prescindendo sempre dal contenuto e dalla forma; il
percetto, quindi, deve nascere come entità autonoma, solo alla fine della catena di processamenti.
Tale approccio, valido per i sistemi di comunicazione, è stato tuttavia mostrato fallace e
inadeguato alla percezione cosciente caratteristica dell’uomo; in particolare Ulric Neisser [2] ha
messo in evidenza svariati dati di fatto emersi attraverso esperimenti di laboratorio che mostrano
un’indubbia “attività” del soggetto (intesa come contrario logico di passività) nei confronti degli
stessi flussi in ingresso. Per capire meglio questo punto facciamo l’esempio di una conversazione
tra due persone e supponiamo che entrambe siano della stessa madrelingua ma nessuna delle due ne è
inizialmente consapevole: quando il soggetto A comincia a parlare, un flusso di informazioni – sotto
forma di segnali acustici – giunge all’apparato uditivo del soggetto B che inizia la decodificazione
col fine ultimo di comprendere il significato delle parole (naturalmente le prime fasi del processo
servono ad identificare il tipo di messaggio ricevuto, solo dopo l’acquisizione della consapevolezza
avviene la decodifica vera e propria).

A questo punto mi sembra evidente che, qualora si accettasse la visione punto-punto feedforward, non
avrebbe alcuna rilevanza il fatto che i due interlocutori parlino la stessa lingua poichè ciò che
conterebbe veramente sarebbe solo il flusso di dati. Ci si dovrebbe preoccupare al massimo della sua
intelligibilità e dell’eventuale rumore di fondo che potrebbe alterarne il contenuto informativo e
quindi, ad esempio per un italiano ascoltare un connazionale o un arabo sarebbe percettivamente la
stessa cosa. Ovviamente chiunque non sarebbe d’accordo con questa opinione porterebbe come esempio
proprio l’apprendimento delle lingue straniere, non basta infatti conoscere la grammatica e un
insieme di parole per riuscire a capire perfettamente un inglese o un tedesco: è necessario
padroneggiare anche le inflessioni, riuscire a separare termini che sembrano apparentemente uniti
(pensate alla liason francese), ecc. In altre parole è assolutamente indispensabile che il ricevente
sia capace di “formattare” i dati in ingresso ed operare delle anticipazioni percettive sugli stessi
[1].

A questo punto ci si dovrebbe chiedere come sia possibile questo tipo di discriminazione all’interno
di uno schema del tutto passivo: la risposta è chiaramente negativa, è infatti logicamente
impensabile una qualsiasi azione che avvenga prima delle elaborazioni. Affinchè si possa dare forma
ai dati è necessario che la raccolta degli stessi avvenga secondo un criterio (o, per usare le
parole di Neisser, uno schema) particolare che deve guidare l’esplorazione dei dati e che viene, nel
contempo, modificato dagli stessi. In altre parole le variazioni degli schemi equivalgono al
continuo cambiamento del modus percipiendi in quanto essi rappresentano non tanto il tipo di forma
assunta dalle informazioni ma piuttosto il processo stesso di acquisizione; in seguito avremo modo
di chiarire questo particolare punto di vista.

Tornando al nostro esempio sorge una domanda: quando l’interlocutore B si accorge che A parla la sua
stessa lingua ? L’udito è governato percettivamente da svariati schemi che servono ad affrontare
positivamente tutte le diverse situazioni di cui abbiamo accennato sopra e senza dubbio possiamo
dire che l’apprendimento di una lingua ha come risultato ultimo (e ottimale) proprio la creazione di
uno schema principale idoneo alla raccolta di informazioni codificate in quel particolare idioma;
per meglio dire, la nostra abilità nel comprendere un dialogo si sviluppa partendo da
un’esplorazione iniziale molto grezza e procedendo attraverso raffinamenti che devono culminare
nella scelta dello schema percettivo più appropriato. Il soggetto B sente dei suoni e la sua
coscienza lo spinge all’analisi degli stessi, dopo pochissimi istanti egli avrà modificato lo schema
base perchè a partire dalle prime informazioni si è reso conto che il messaggio è di tipo
linguistico; se A è in grado di comprenderlo (cioè se possiede le strutture di decodificazione
specifiche), il processo guiderà l’interlocutore verso l’acquisizione dello schema finale (perlomeno
per quanto riguarda la comprensione delle parole) che dovrà permettere di dare una forma opportuna
al flusso informe che giunge al suo cervello. Possiamo dire che la comprensione è accettabile quando
B si troverà nelle condizioni di poter anticipare le informazioni provenienti da A, ovvero quando lo
schema permetterà non soltanto un’esplorazione corretta, ma anche la consapevolezza del contenuto
semantico del discorso.

Il processo percettivo non è più quindi governato da un andamento lineare, ma piuttosto da quello
che tecnicamente viene chiamato anello di retroazione o feedback: le informazioni vengono raccolte
grazie ad uno schema (azione in avanti), ma quest’ultimo viene continuamente modificato dalle stesse
(azione di ritorno, all’indietro) e condiziona le successive acquisizioni. Il ruolo giocato dalle
anticipazioni sta proprio nella fase di ritorno, quando cioè è necessario adattare lo schema ad una
possibile variazione nel tipo di dato che sta per essere catturato. Per esempio se noi ci troviamo
in macchina e osserviamo, in vicinanza di un semaforo, un rallentamento delle vetture che ci
precedono, siamo tendenzialmente portati a pensare che i primi automobilisti abbiano iniziato a
frenare perchè il semaforo era diventato arancione (e successivamente rosso) e quindi freniamo anche
noi. Pur non avendo ancora avuto la possibilità di appurare se la nostra previsione è corretta,
siamo tuttavia in grado di “pronosticare” ciò che i sensi potrebbero avvertire sulla base di uno
schema percettivo futuro. L’adattamento anticipatorio è fondamentale e senza una ciclicità nella
decodifica dei flussi informativi esso non potrebbe mai aver luogo in modo consapevole: per predire
una sequenza di valori è necessario infatti un contino monitoraggio dell’errore tra il dato predetto
e quello reale(1), solo in questo modo è possibile mantenere la stima entro limiti di validità
accettabili. Nel caso del linguaggio naturale, la comprensione semantica di un testo o di un
discorso è fortemente vincolata alla velocità con cui si è capaci di anticipare e modificare i
propri schemi sulla base dei percetti reali: un buon interprete deve riuscire in questo compito
molto più celermente di una persona che conosce solo qualche vocabolo di una determinata lingua
straniera e, analogamente, un pilota automobilistico è costretto ad anticipare le percezioni
relative al collocamento spaziale delle altre vetture con molta più celerità rispetto ad un
conducente che guida a velocità molto basse.

La ciclicità dei flussi non è soltanto relativa alle anticipazioni, ma soprattutto essa è
responsabile della modifica degli schemi al fine di conseguire un determinato risultato percettivo;
a dire il vero questo concetto non è di immediata comprensione e, a mio parere, richiede alcuni
chiarimenti che permettano di identificare propriamente la natura del processo in questione. Secondo
me è corretto affermare che il ciclo si basa su una continua estrazione di informazioni dai flussi
in ingresso allo scopo di specializzare maggiormente la decodifica: nell’esempio del dialogo
l’ascoltatore, dopo aver udito qualche parola, è in grado di comprendere che i segnali acustici sono
relativi ad un linguaggio naturale che egli conosce e quindi è cosciente della possibilità di
comprenderne il significato. La modificazione dello schema realizza proprio questo stato di
coscienza (di possibilità) poichè non è assolutamente certo che la persona lo utilizzerà, ma
perlomeno si ha la sicurezza che potenzialmente potrà farlo.

Più alta diventa la specializzazione dello schema (come ad esempio l’identificazione di un brano di
poesia), maggiore è il contributo della volontà per estrarre informazioni: le percezioni elementari
sono spesso caratterizzate da un contenuto “grezzo” che può essere percepito senza molta difficoltà,
al contrario i processi più raffinati richiedono un impegno intellettivo abbastanza alto che, in un
certo senso, può essere correlato con il carico computazionale della capacità di anticipare. In
fondo l’anticipazione nasce proprio dall’azione dello schema, quindi non è fuorviante pensare che
qualora questa dovesse risultare particolarmente impegnativa, il motivo andrebbe ricercato nel
livello di astrazione a cui opera lo schema stesso; ad esempio, mentre è banale la comprensione di
una frase pronunciata nella lingua madre, non si può dire lo stesso nel caso in cui si sceglie una
lingua conosciuta, ma acquisita solo superficialmente. Nel primo caso il soggetto è capace di
estrarre l’informazione anche se il rumore di fondo (ovvero l’insieme dei disturbi interni o esterni
che minano l’intelligibilità) è molto alto, invece nel secondo è necessario un notevole livello di
attenzione che ha lo scopo di minimizzare le “perdite” dovute proprio alle interferenze. E’ chiaro
che l’anticipazione percettiva può essere semplice o complicata e la ragione di ciò sta nel fatto
che determinati schemi vengono usati molto frequentemente e quindi mobilitano un numero maggiore di
risorse, mentre altri giocano un ruolo molto secondario nella nostra vita e perciò al momento
dell’utilizzo rendono molto più faticoso il processo percettivo.

In sintesi possiamo dire che la percezione cosciente richiede una partecipazione attiva del soggetto
al fine di operare una selezione delle informazioni e tale procedimento necessita di un continuo
adattamento dello schema utilizzato; rifacendoci a quanto affermato da Neisser in [2], lo schema può
essere pensato come l’insieme di un algoritmo adattativo e una struttura dei dati: il primo ha il
compito di dirigere opportunamente l’esplorazione dello spazio percettivo mentre la seconda è la
base di riferimento per la formattazione dei dati. Quanto affermato è di fondamentale importanza sia
per lo sviluppo delle scienze cognitive che per l’intelligenza artificiale: è proprio quest’ultima,
infatti, la disciplina che fornisce il miglior territorio per la sperimentazione di ogni teoria ed è
grazie ad essa che è possibile verificare se agenti robotici possano comportarsi in modo simile
all’uomo attraverso l’implementazione di strutture funzionalmente analoghe agli schemi percettivi.

NOTE:

(1) Esiste un forte parallelismo tra questo meccanismo e il controllo automatico in retroazione,
infatti in quest’ultimo avviene la regolazione di una data grandezza (come la temperatura di un
serbatoio o la velocità di un veicolo) attraverso il continuo confronto tra il valore reale –
affetto da disturbi – e quello desiderato. La percezione ciclica permette un adattamento costante
degli schemi in modo da far fronte alle variazioni del contenuto informativo dei flussi, in questo
modo, analogamente al controllo, si riesce a mantenere un costante rapporto con la realtà evitando
che le anticipazioni degenerino in una sequenza del tutto scorrelata.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] Manzelli P., Cervello e Anticipazione Percettiva, Articolo pubblicato su www.neuroscienze.net
(URL: www.neuroscienze.net/index.asp?cat=idart&arid=416)
[2] Neisser U., Conoscenza e Realtà, Edizioni il Mulino

www.neuroingegneria.com

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