La filosofia vaishnava

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Il Vaishnavismo

da “Filosofie dell’India”
di Manonath Prabhu

tratto dal sito dell’Accademia Vaishnava
www.isvara.org

1) la filosofia

Senza ombra di dubbio, la Vaishnava è la tradizione spirituale più ricca di letteratura, di
filosofia, di religione e di straordinari momenti storici.

Il vaishnavismo è la dottrina della devozione a Vishnu, il Dio Ultimo e Assoluto. La supremazia di
Vishnu su tutti gli altri dei del pantheon vedico è proclamato dai Veda stessi; è infatti dai pori
della Sua pelle che emanano gli universi materiali, da Lui proviene Brahma, dal quale viene poi
generato Shiva, ed è da una delle Sue espansioni che scaturiscono poi tutti gli Avatara divini. Ma
il fatto che Vishnu sia la Persona Suprema non proibisce di provare un qualsiasi sentimento di
devozione, talvolta persino superiore, per una delle tante divinità di cui i Veda parlano. Il
sentimento è soggettivo e quindi si può essere devoti di Shiva, di Brahma, di Indra, delle Shakti,
di Varuna o di Ganesha, sempre che si sia coscienti che il Dio Supremo è Vishnu. Om tad vishnu
paramam padam, afferma il Rig-Veda: nulla è più elevato che prendere rifugio ai Suoi piedi.

La dottrina della devozione a Vishnu, la Vishnu-bhakti, è straordinariamente variegata e
complessa, in quanto Egli ama assumere un numero praticamente illimitato di aspetti. In altre
parole, Vishnu si espande in personalità diverse con le quali svolge particolari funzioni. Basti
leggere il Primo Canto della Srimad-Bhagavatam per rendersene conto.

Si dice che Vishnu assuma soltanto dieci forme (Dashavatara), ma questo è vero solo parzialmente.
In realtà quelle dieci sono solo alcune, da una certa prospettiva forse le principali, ma certamente
non le uniche. Infatti nelle Scritture è detto che “le Sue incarnazioni sono tanto numerose quanto
le onde dell’oceano”. Tra i Dashavatara troviamo i celeberrimi Krishna e Buddha; il primo in India è
il più celebre tra gli Avatara.

Perciò ognuno, in accordo ai propri gusti spirituali, può scegliere di essere un devoto di Vishnu
(diventando così un Vaishnava) venerando una qualsiasi delle personalità divine con le quali
periodicamente Egli scende in questo universo materiale. Così abbiamo devoti di Krishna, di Rama, di
Nrishinga, di Kurma, di Varaha, di Matsya e di tanti altri. Nel corso dei millenni queste tradizioni
hanno sviluppato una letteratura propria, generalmente molto vasta, una propria dottrina, una
particolare pratica devozionale spesso anche diversa dalle altre, pur rimanendo tutte tradizioni
Vaishnava. Si può così immaginare quale vastità abbia l’argomento che andiamo a trattare.

L’accusa di politeismo che gli studiosi occidentali muovono alle religioni di origine vedica
scaturisce dalla profonda ignoranza di questi, i quali forse non si sono mai accorti che nessun
testo vedico ha mai celebrato l’esistenza di diversi Dei Supremi. C’è un Dio solo, tutti gli altri
Gli sono subordinati. I Vaishnava venerano e amano forme diverse dello stesso Dio, a seconda del
loro sentimento naturale.

Generalmente nelle università occidentali il vaishnavismo storico viene presentato come diviso in
due movimenti distinti: il Bhagavata e il Pancaratra. Tale divisione viene presentata come una sorta
di scissione ideologica interna. Ma anche questo non è esatto. Infatti le Pancaratra sono
particolari scritture che indicano i canoni di comportamento a quei Vaishnava che provano una
particolare attrazione verso la vaidhi-bhakti (cioè la devozione caratterizzata dallo spirito di
sottomissione). A chi si sente attratto all’idea di Vishnu visto come il Creatore di tutto, il
Signore immenso e opulento, la Divinità dei pianeti Vaikuntha, studieranno le Pancaratra e
praticheranno le loro regole.

I Bhagavata, invece, amano quelle scritture che indicano i modi grazie ai quali è possibile
sviluppare la raganuga-bhakti, cioè il servizio devozionale in un sentimento diverso, certamente più
intimo, in cui si può vedere Vishnu come amico, come amante, come parente.

Dunque i Pancaratra accettano Vishnu come origine di tutto e studiano in modo particolare il
Vishnu Purana, mentre i Bhagavata venerano Krishna come l’origine di ogni cosa, Vishnu compreso.
Questi ultimi accettano come massima autorità filosofica la Bhagavad-gita e la Srimad-Bhagavatam.

In realtà, dal punto di vista dottrinale, non c’è contesa tra di loro, ma un rapporto di
compenetrazione reciproca.

Procediamo ora a discutere i punti salienti della filosofia Vaishnava.

Sistemi atei come il Karma-mimamsa e il Sankhya-nirishvara considerano gli dei come esseri
generati dal karma e ritengono che il cosmo sia retto da una legge impersonale. I Vaishnava, invece,
in perfetta sintonia con il Vedanta, affermano che l’Essere Supremo non può essere soggetto a
nessuna legge.

Dio esiste, ed è Vishnu, o Krishna. Per quanto riguarda la precisa identificazione di questo
Essere Supremo, se è l’uno o l’altro, alcuni sostengono che Krishna sia una delle incarnazioni di
Vishnu, mentre altri affermano il contrario, e cioè che il Supremo sia Krishna e che Vishnu è una
delle Sue espansioni plenarie. Dopo discussioni che per la verità non sembrano ancora esaurite, pare
certo che tutte le scritture accettate come autentiche siano concordi nel sostenere la seconda
ipotesi (krsnas tu bhagavan svayam, isvara paramah krsna). Krishna è dunque l’origine di tutto ciò
che esiste, sia del mondo materiale che del mondo spirituale. Una delle ragioni del suo “espandersi”
in forme secondarie (come per l’appunto Vishnu), è che Egli non vuole mai venire in contatto con la
Sua creazione materiale, per cui preferisce far assolvere ai Suoi diversi e numerosi Avatara i
compiti necessari al mantenimento degli universi e alla salvezza delle anime cadute.

In accordo al Bhagavatam ci sono sei tipi di Avatara.

Ora, cosa è Dio? E’ personale o impersonale? I Vaishnava si considerano i veri rappresentanti
della filosofia Vedanta, e non quella falsata di Shankara, bensì quella insegnata da Vyasa, l’autore
del Brahma-sutra (chiamato anche Vedanta-sutra).

Dio non è affatto impersonale, bensì è una eterna Persona Trascendentale. L’energia impersonale
(brahma-jyoti) è una delle Sue tante energie e caratteristiche. Affermare che Krishna sia una
persona non significa affatto porgli dei limiti, al contrario lo comporterebbe la negazione. L’idea
dell’impersonalismo è alla base della mayavada (o advaita-vada), teoria aspramente combattuta dai
maestri Vaishnava come Ramanuja, Madhva, Nimbarka, Caitanya, Bhaktivedanta Svami Prabhupada e da
tutti gli altri.

Quando i Veda dicono che Krishna è una Individualità Unica, un Uno-Tutto, non vogliono intendere
che Egli sia un monolito energetico: al contrario la Sua personalità divina è eccezionalmente
variegata. Il Supremo Vishnu possiede numerose energie. Le tre principali sono l’energia spirituale
(con i quali crea il mondo spirituale), l’energia materiale (con la quale genera il cosmo) e
l’energia marginale (le anime individuali).

Questa energia marginale è la nostra culla. Noi siamo jiva, parti di Dio, della Sua energia. Come
tali, la nostra uguaglianza con il Supremo consiste in qualità, ma certamente non in quantità.
Poiché siamo fatti di natura divina, senza tuttavia essere Dio, possiamo cadere vittime di maya,
dell’energia inferiore; ciò a causa dell’attrazione che subiamo nei confronti delle idee di potenza
e di indipendenza. Per questa ragione entriamo in diversi corpi materiali, nei quali ci
identifichiamo.

Il contatto con quegli elementi di natura tanto diversa dalla nostra ci inebria di sensazioni, che
proviamo grazie ai sensi che continuamente “toccano” i rispettivi oggetti. E l’anima tende a
sprofondare sempre più nell’avidya, nell’ignoranza esistenziale che ci porta a dimenticare chi
veramente siamo e da dove realmente veniamo.

Tutta quella pirotecnica serie di azioni causa karma, cioè delle reazioni che generano ulteriori
azioni, e così via, in una ruota viziosa che sembra non poter avere mai fine. Tutto ciò fa sì che
vediamo costruirsi attorno a noi una coscienza di un certo tipo, che è del tutto simile a una
seconda personalità. Questo “falso senso di essere” ci conduce in corpi sempre diversi, in accordo
allo stato di coscienza che abbiamo al momento della morte di un particolare corpo. Ci ritroviamo di
nuovo in un altro anello della ruota chiamata samsara, il ciclo delle nascite e delle morti, per cui
mai cessiamo di prendere nuovi involucri fisici nelle numerose specie viventi.

La sofferenza che si prova in una vita fatta di dimenticanza di Dio e a contatto con una natura
opposta alla nostra, è difficilmente descrivibile. E, per la maggior parte dei casi, è proprio
questo disagio che, a un certo momento, ci porta a desiderare di conoscere ciò che è sempre stato
nostro ma che abbiamo dimenticato. Questo anelito è percepito da Paramatma, una delle forme di
Vishnu presente nel nostro cuore, che ci ha accompagnato nel tragico viaggio lungo le vie del mondo
materiale. Lui ci suggerisce di andare alla ricerca della Verità. Questa voce interiore ci conduce a
cercare qualcuno in grado di illuminarci, di dirci come stanno veramente le cose. Chi è sincero e
determinato nella sua ricerca trova un vero Vaishnava, un maestro spirituale autentico (un guru), il
quale ci dà tutte le istruzioni necessarie per percorrere la strada che conduce alla perfezione.

Due sono i doni fondamentali che il guru offre: diksha e shiksha. Il primo è l’iniziazione
formale, in cui il discepolo viene ufficialmente ammesso nella tradizione spirituale (sampradaya).
Il secondo è la conoscenza, l’educazione alla teoria, che non è solo strumentale ma anche un
elemento di purificazione sostanziale.

I principi basilari della disciplina Vaishnava possono essere divisi in ciò che deve essere fatto
(le ingiunzioni positive, le vidhi) e ciò che non deve essere fatto (le proibizioni, le nisheda). I
primi riguardano elementi come la recitazione dei mantra, l’adorazione delle Murti, la venerazione e
l’obbedienza al maestro spirituale, il vivere in luoghi sacri (siano essi in India, come Vrindavana
o Mayapura, ma anche dovunque si svolgano attività di natura spirituale). Un verso importante della
Srimad-Bhagavatam (7.5.23 e 24) afferma:

“Prahlada Maharaja disse: (1) Ascoltare e (2) cantare del Santo Nome, della forma, delle qualità,
di tutto ciò che Lo circonda, dei divertimenti trascendentali del Signore Vishnu, (3) ricordarli,
(4) servire i piedi di loto, (5) offrire al Signore adorazione rispettosa usando sedici tipi di
strumenti, (6) offrire preghiere al signore, (7) diventare i Suoi servitori, (8) considerarlo come
il proprio migliore amico e (9) sottomettere ogni cosa a Lui (e cioè servirlo con tutto il proprio
corpo, la mente e le parole), questi nove processi sono accettati come puro servizio devozionale.

Chi ha dedicato la sua vita al servizio di Krishna e che sempre si impegna in queste nove
discipline devozionali è la persona più erudita, perché (grazie ad esse) acquisisce conoscenza
completa.”

Per quanto riguarda le proibizioni, anche queste sono numerose. Le principali riguardano il
mangiare la carne (il pesce compreso), le uova, le sostanze intossicanti e la vita sessuale
sregolata. Si dovrebbe anche evitare di intrattenere stretta compagnia con persone materialistiche,
parlare di futilità, mangiare cibo non offerto in sacrificio a Vishnu. Ma fra le tante discipline
spirituali spicca la meditazione sul Santo Nome di Krishna (il famoso mantra Hare Krishna). Secondo
Sri Caitanya nulla è tanto importante quanto cantare il mantra.

In questo modo, il devoto purifica il proprio cuore da ogni attaccamento alla materia e ricomincia
ad avvertire il fascino così naturale nei confronti del Signore Supremo, Sri Krishna. A seconda del
tipo di relazione (rasa) che fa parte della sua natura, riprende a servire il Signore nel modo che
gli è eternamente congeniale e spontaneo. Alla fine della vita ritorna nei pianeti spirituali, dove
per l’eternità gode di una vita eterna, caratterizzata da una piena conoscenza e beatitudine
(sat-cit-ananda).

Siamo coscienti che queste poche parole certamente non rendono piena giustizia alla vastità e alla
bellezza della filosofia Vaishnava, ma siamo fiduciosi che tutti ne avranno compreso la profondità e
la purezza.

10) Il vaishnavismo moderno in occidente

Non solo il vaishnavismo esiste ancora, ma è vivo e attivo anche in occidente, sotto forma di
organizzazioni spirituali di varia natura. Il più celebre e autentico di tutti è il Movimento Hare
Krishna, fondato da Bhaktivedanta Svami Prabhupada, un discepolo di Bhaktisiddhanta Sarasvati.
Certamente rappresenta in modo straordinariamente fedele quel vaishnavismo ortodosso che fu fondato
da Vyasa e continuato da Ramanuja, da Madhva, da Caitanya e da Baladeva Vidyabhushana.

I primi cenni del travaso culturale li abbiamo nei primi anni del nostro secolo, con un testo in
lingua inglese di Bhaktivinoda Thakura, (Sri Caitanya Mahaprabhu: His Life and Precepts). Egli era
un importante magistrato originario del Bengala e grande devoto di Krishna. Spinto dal desiderio di
far conoscere il Signore e la sua filosofia agli occidentali, spedì uno dei suoi libri
all’università di McGill, in Canada.

Suo figlio, Bhaktisiddhanta Sarasvati, fondò la Gaudiya Math, un movimento che avrebbe aperto
numerosi centri in tutta l’India, predicando la Krishna-bhakti proprio come viene insegnata nelle
scritture vediche. Egli tentò di far aprire ai suoi discepoli anche dei templi in Occidente. In
effetti alcuni di loro tentarono l’impresa, trasferendosi in alcune grandi città europee, come
Londra e Berlino. Ma non riuscirono nell’impresa.

Solo uno dei suoi più cari studenti, che poi sarebbe stato conosciuto come Bhaktivedanta Svami
Prabhupada, riuscì pienamente nell’impresa. Nel 1965, anziano, da solo, e con pochi mezzi si
trasferì in America, dove fondò il Movimento Hare Krishna. Fino al giorno della sua scomparsa, il 14
novembre 1977, egli scrisse e insegnò senza soste. Ha compilato una settantina di libri, tra cui la
traduzione e la spiegazione della Bhagavad-gita, un commento purtroppo incompleto dei Dodici Canti
che compongono lo Srimad-Bhagavatam, i diciassette volumi del Caitanya-Caritamrita, e altri.

Ma non soltanto ha pubblicato libri di valore eccezionale, ma è anche riuscito a convertire al
puro vaishnavismo migliaia di giovani occidentali di tutte le nazionalità, viaggiando per tutto il
mondo. La sua filosofia è quella di Vyasa, di Caitanya, ma allo stesso momento ha cercato di mediare
con gli usi e i costumi degli occidentale. Ma non ha compromesso sui principi di base: il suo scopo
era di creare una classe di santi ed eruditi devoti che potessero infondere istruzioni sacre per il
benessere della società.

Anche dopo la sua scomparsa, il movimento di Prabhupada ha continuato ad esistere ed ancora oggi i
suoi libri sono studiati con grande interesse e rispetto.

approfondimento su < Isvara Network > www.isvara.org

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