LA DIPENDENZA DEL XXI SECOLO: INTERNET ADDICTION DISORDER

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LA DIPENDENZA DEL XXI SECOLO: INTERNET ADDICTION DISORDER

di Tania Zakharova

La tecnologia modifica le nostre abitudini e la nostra vita, ma di fronte agli innumerevoli vantaggi
apportati dall’applicazione di queste nuove tecniche, iniziano a manifestarsi “situazioni
particolari” definite da alcuni autori come psicotecnologie. La mancanza di punti di riferimento nei
confronti dei problemi esistenziali, il facile accesso all’informazione di qualsiasi tipo senza
nessun criterio etico-morale e l’ininterrotto bombardamento dei mass media con i messaggi mirati
alla creazione di condizionamenti sempre crescenti, hanno contribuito alla creazione del fenomeno
che secondo la terminologia in lingua inglese oggi in uso, viene definito come cyber-dipendenza o
virtual life addiction. L’utilizzo del personal computer richiede un reale adattamento mentale alle
sue funzioni e di conseguenza spinge il soggetto ad adeguare le proprie capacità cognitive al
funzionamento della macchina; in questo modo si crea un’interazione fra le nuove apparecchiature e
il nostro apparato psichico. Come evidenziano diversi studi psicologici, nel videogioco e nel gioco
on-line (nel quale possono collegarsi in rete diversi utenti per interagire mediante personaggi
virtuali) il dispositivo tecnologico è in grado, con raffinate simulazioni, di gestire un essere
umano come una tastiera sulla quale premere i tasti giusti perché in risposta il suo organismo
produca i neurotrasmettitori e le secrezioni ormonali relative alle emozioni e alle reazioni volute
dal gioco: paura, allarme, umiliazione, depressione, rabbia, aggressività, ossessione, eccitazione,
esultanza.

Second Life, World of Warcraft e prima Dark Age Of Camelot sono esempi di mondi virtuali online dove
migliaia di giocatori si riuniscono per giocare. La dipendenza da Internet ha stimolato numerose
ricerche e studi in ambito internazionale negli ultimi dieci anni. Un’analisi accurata di queste
dipendenze ha mostrato quanto le tecno-illusioni siano funzionali a scaricare la frustrazione di un
mancato contatto con la realtà pratica e a mettere questa frustrazione «a profitto», rendendola
vantaggiosa per la grande industria dell’intrattenimento. Alcune ricerche hanno evidenziato nelle
persone con dipendenze da internet problemi come alterazioni dell’umore e dello stato di coscienza,
ansia, difficoltà di gestione degli impulsi e disistima. Nei soggetti, che arrivano a stare on-line
40 e più ore a settimana, la dipendenza da Internet comporta problemi fisici come mal di testa,
disturbi del sonno, stanchezza degli occhi, irregolarità nell’alimentazione, ma le conseguenze
maggiori e più gravi sono quelle psicologiche, familiari, lavorative ed economiche. L’abuso di
Internet compromette la vita relazionale e affettiva del soggetto e spesso on-line nascono relazioni
facilitate dall’anonimato, dalla semplicità del contatto virtuale. L’impossibilità di poter accedere
a tutta una serie di messaggi non verbali ai quali siamo abituati nelle relazioni interpersonali
diminuisce la possibilità di accesso ad informazioni fondamentali nell’interazione tra individui.
L’anonimato e l’assenza di vincoli spazio-temporali possono porsi come fattori di rischio creando
sensazioni d’onnipotenza legate all’uso di Internet e ai disturbi di personalità spesso descritti
nelle situazioni di grave intossicazione. Alcuni studiosi statunitensi hanno evidenziato un
cambiamento nelle modalità di comunicazione del linguaggio parlato degli adolescenti in relazione
all’uso dell’informatica.

Sempre più spesso questi adolescenti terminano le frasi in tono crescente e lievemente dubitativo,
come per suggerire che tutto ciò che dicono sia una domanda più che un’affermazione (fenomeno di
upspeak). La natura condizionale e aperta di questo nuovo modo di parlare sembra suggerire che i
pensieri di ciascuno, per avere un senso ed essere convalidati, devono essere sempre collegati alle
reazioni altrui. Un intervento condotto dal Prof. M. Marcucci e dal Dott. G. Lavenia della Cattedra
di Psicologia delle Dipendenze Patologiche, Università degli Studi di Urbino, parte da una
valutazione clinica del livello di coinvolgimento raggiunto con la rete, da una attenta analisi
della qualità della vita affettiva del soggetto e dalla sua integrazione sociale precedente allo
sviluppo del quadro psicopatologico. Alcuni casi hanno evidenziato come l’aumento del tempo
trascorso in rete sia aumentato in maniera eccessiva, tanto da produrre un danno nella qualità della
vita del soggetto in rapporto ad un precedente evento traumatico che l’individuo ha vissuto e che
non è stato in grado di “rielaborare” per la sua importanza. Adottando tale metodologia sono stati
valutati 500 soggetti italiani, 350 uomini e 150 donne, d’età compresa tra i 15 e i 44 anni sparsi
in tutto il territorio nazionale e reperiti grazie alla collaborazione di Internet Point e
Biblioteche Multimediali. L’analisi qualitativa dei risultati evidenzia differenze significative nei
processi psicologici messi in atto da tre gruppi problematici:

Il gruppo degli utenti a rischio (22%) presenta un vissuto di curiosità nei confronti delle
opportunità offerte dalla rete. Questo stadio porta a vedere solo gli aspetti positivi del mezzo
tecnologico incoraggiandone l’utilizzo. Tendono ad apprendere come muoversi in questo nuovo mondo e
si costruiscono una specie di nuova identità. I soggetti appartenenti a questo gruppo evidenziano
gravi sentimenti di frustrazione e inutilità in ambito lavorativo e/o familiare tendendo ad
utilizzare internet per “scaricare” la propria insoddisfazione e costruire il proprio mondo mentale,
mondo dove finalmente si sentono accettati e compresi.

Il gruppo degli utenti “abusatori” (29%) manifesta caratteristiche simili ai soggetti che
frequentemente utilizzano gli oppiacei: gravi problemi nelle relazioni affettive, importanti
problematiche lavorative legate all’utilizzo della rete, problematiche psicofisiche. Questa
peculiarità “amplifica” il senso d’isolamento nella vita reale ma permette ai soggetti, nascosti
dietro lo schermo del computer, di controllare nel “loro nuovo mondo virtuale” le relazioni sociali
che tanto li preoccupavano in passato. Una sorta di meccanismo di difesa che, come spesso accade,
porta ad un peggioramento e ad una cronicizzazione dei sintomi trascinando in breve tempo questi
soggetti nella categoria “addicted”.

Il gruppo degli utenti dipendenti (11%) presenta aspetti psicopatologici più gravi; in alcuni casi
disturbi dissociativi, allucinazioni semplici visive, tremori. I soggetti valutati come dipendenti
tendono a prolungare i tempi di collegamento prefissati, spendono grandi quantità di tempo nella
ricerca del materiale da utilizzare in rete, interrompono o riducono importanti attività sociali,
lavorative o ricreative a causa dell’utilizzo d’internet; utilizzano in maniera continua il “net”
nonostante la consapevolezza di avere un problema sociale, psichico o fisico collegato ad esso.

Non è un segreto che le persone che vivono in società avanzate stanno attraversando un momento di
crisi – una crisi basata sull’avere a disposizione tutti i mezzi economici ed informatici ma
contemporaneamente un vuoto interiore, la crisi di vivere con simboli che non rappresentano più
valori reali. Internet rappresenta uno strumento utile e potente, multidimensionale, ormai
indispensabile per il lavoro, per lo studio, per il gioco, per le indagini. Le opportunità che offre
sono molteplici ma, come tutti gli strumenti, può apportare benefici solo se è utilizzato da chi
possiede retta conoscenza, discernimento e una buona motivazione. La realtà virtuale può anche
contribuire al bene dell’uomo, ad esempio, se utilizzata a scopo terapeutico, può essere un valido
aiuto per limitare la percezione del dolore psicofisico. Non sentire il dolore delle ustioni grazie
ad un ghiacciaio virtuale, camminare con la leggerezza di una persona magrissima anche se il corpo è
obeso, avere l’impressione di muovere un braccio paralizzato: la ricostruzione della realtà tramite
computer può aiutare chi soffre a guarire. Negli ultimi anni Hunter Hoffman, psicologo del Medical
Center di Seattle, ha messo a punto degli strumenti appositamente studiati per raggiungere lo scopo.
Lo studioso, ha infatti creato, tramite la tecnologia virtuale, alcuni mondi fantastici con funzione
“analgesica”. Una delle realtà virtuali più efficaci è lo “SnowWorld”, mondo costruito tra i ghiacci
utilizzato per ridurre la sofferenza degli ustionati durante il cambio delle fasciature. Il
principio di funzionamento dei “mondi virtuali” si basa sul fatto che per provare dolore è
necessaria una certa concentrazione sulle sensazioni dolorose. D
al momento che le facoltà collegate all’attenzione umana sono limitate, se la propria attenzione
viene dedicata a qualcosa di molto coinvolgente, viene contemporaneamente sottratta alla percezione
del dolore. L’applicazione della realtà virtuale facilita la visualizzazione ma, come è già stato
appurato scientificamente, l’essere umano, tramite la meditazione, è in grado di produrre nel corpo
e nella mente lo stesso effetto dei tranquillanti ed altre sostanze, come l’endorfina. Uno dei
ricercatori più attivi degli ultimi anni, Richard Davidson dell’Università di Wisconsin, Stati
Uniti, nei suoi lavori svela dati interessanti e sorprendenti su questa pratica millenaria. “I
nostri risultati indicano che la meditazione produce effetti biologici, ovvero modificazioni nel
cervello associate ad emozioni più positive, migliorando anche la funzione immunitaria”. La
visualizzazione meditativa costituisce una pratica fondamentale che si collega a molti metodi già
consolidati e accettati in ambito psicologico e psicoterapeutico, con studi scientifici che ne
attestano efficacia. Come spiega nei suoi lavori il fondatore dell’Accademia delle Scienze
Tradizionali dell’India, Marco Ferrini, Ph.D.Psychology, grazie alla visualizzazione meditativa noi
possiamo creare gli effetti che desideriamo in quanto il sistema nervoso non ha nessuna capacità di
distinguere tra l’immaginario e il reale.

Nella tradizione Bhakti-Vedantica, la visualizzazione (darshana) è uno dei più antichi ed efficaci
metodi per la gestione dei contenuti psichici. Possiamo infatti imparare a trasformare le
convinzioni che sono la causa di gravi squilibri emotivi e di sofferenze, rafforzando la nostra
capacità di affrontare crisi e traumi ed apportando così miglioramenti concreti nella nostra vita
psichica. Attraverso la concentrazione e la visualizzazione, si ottiene una presa di consapevolezza
dei meccanismi inconsci, di memorie emotive perdute, di rapporti che sfuggono, e di tutti quegli
oggetti psichici che possono essere rievocati, illuminati, corretti, recuperati per ristabilire un
maggior equilibrio e rafforzare nel soggetto la capacità di gestione dell’emotività. Nella pratica
di visualizzazione, alla mente affiorano suoni, immagini, impressioni, e su questi prodotti psichici
individuali si può portare avanti un lavoro di elaborazione e sublimazione. L’esperienza della
visualizzazione meditativa nell’ambito della disciplina Bhakti-Vedantica, ha portato in molti
soggetti miglioramenti consistenti, perfino la remissione completa di sintomi quali angoscia,
depressione o alienazione, attraverso lo sviluppo di una percezione più profonda della propria
identità, un crescente senso di progettualità ed una applicazione pianificata e consapevole delle
scelte di vita.

Bibliografia:
“Modulation of thermal pain-related brain activity with virtual reality: evidence from fMRI”.
Hunter G. Hoffman; Todd L. Richards; Barbara Coda; Aric R. Bills; David Blough; Anne L. Richards;
Sam R. Sharar. Neuroreport, June 7, 2004, Volume 15, Issue 8.

da psicologiaespiritualita.blogspot.com/

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