Intelligenza collettiva 2

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Intelligenza collettiva 2

redazione ECplanet.net

Fonti: Space Daily, Apogeo News, Weblogs vari / febbraio 2007

I ricercatori del Technion, l’Istituto di Tecnologia israeliano, hanno deciso di sfruttare le
conoscenze condivise di Wikipedia, progettando un sistema che permette di utilizzare l’enciclopedica
mole di wiki-informazioni per fare connessioni logiche tra argomenti proprio come la mente umana.
Questo nuovo metodo dovrebbe – secondo le intenzioni dei progettisti Evgeniy Gabrilovich e Shaul
Markovitch del Technion, Department of Computer Science – aiutare le macchine a “ragionare” su
compiti basilari come, per esempio, filtrare le e-mail dallo spam, effettuare ricerche Web più
veloci ed affidabili e, in generale, elevare il livello dell’intelligenza elettronica collettiva
molto al di sopra di quello attuale. I primi risultati sono stati presentati a Hyderabad, in India,
durante il ventesimo Congresso Internazionale sull’Intelligenza Artificiale, svoltosi dal 6 al 7
gennaio.

Il progetto prevede la creazione di un software che esegua una mappatura di singole parole e
frammenti di testi più lunghi in un database “semantico” – un archivio di concetti essenziali –
costruiti sulla base di Wikipedia – che, ricordiamo, conta ormai più di un milione di articoli nella
sola lingua inglese – costituendo una sorta di conoscenza basilare per comprendere il testo. La
maggior parte dei motori di ricerca Web e filtri e-mail applicano già un principio simile,
calcolando il numero di volte che una determinata parola compare in due testi a confronto; ma si
tratta di un mero calcolo probabilistico, in quanto l’elaboratore non comprende il reale senso della
frase, limitandosi ad una stima matematica. Con questa tecnologia invece un computer potrà inserire
la singola parola in un contesto e verificarne l’attinenza.

Questa metodologia dovrebbe aiutare anche a compiere scelte decisionali basandosi su termini
ambigui, ad esempio decidendo se la parola “mouse” si riferisce al dispositivo per computer o alla
forma animale. In futuro, i ricercatori contano di espandere il livello di conoscenza assimilabile
anche ai collegamenti Web all’interno delle singole pagine di Wikipedia, aumentando esponenzialmente
la base di conoscenza. Il Technion, la punta di diamante in fatto di scienza e tecnologia in
Israele, fabbrica di premi Nobel, gode di fama mondiale per i risultati ottenuti negli studi di
nanotecnologia, biotecnologia, utilizzo delle risorse idriche, ingegneria dei materiali, scienza
aerospaziale e informatica, medicina.

SEARCH WARS REVISITED 2

Non sono però tutte rose e fiori. Il Lowell Sun, un giornale del Massachusetts, ha denunciato ad
esempio che lo staff di Marty Meehan, ha modificato la voce del parlamentare USA su Wikipedia.
Meehan, nato proprio a Lowell, è stato dal 1993 eletto rappresentante nella camera bassa del
parlamento USA: su Wikipedia erano riportate molte notizie sui suoi fondi per la campagna
elettorale, la cifra più alta di ogni rappresentante, che ammontano a 4.8 milioni di dollari. La
voce su Wikipedia è stata poi bloccata. Ma non è certamente il primo caso: in sei mesi, sono state
effettuate oltre un migliaio di modifiche alle voci di parlamentari USA. Nel frattempo, il
principale rivale di Explorer, Mozilla Firefox, ha rilasciato una estensione chiamata “GooglePedia”
che integra in una sola pagina il motore di ricerca di Google e le pagine interne di Wikipedia. In
particolare, l’estensione converte i link di ricerca in Wikipedia in link di ricerca all’interno di
Google e Wikipedia va a “sistermarsi” nella zona che solitamente è occupata dagli AdWords di Google.
Googlepedia, inoltre, permette di ricercare in Wikipedia utilizzando il noto bottone “mi sento
fortunato” di Google.

Mentre “WikiSeek” è un nuovo motore di ricerca che indicizza solamente le pagine di Wikipedia (in
qualunque lingua) e i siti che sono linkati da Wikipedia stessa. L’obiettivo è di sostituirsi al
motore di ricerca interno di Wikipedia, garantendo la qualità dei risultati ed eliminando lo spam. A
lanciarlo ci ha pensato SearchMe, start-up californiana intenzionata a sviluppare di qui a poco
tutta una serie di strumenti di nicchia adatti al web. Attenzione a non confonderlo con “Wikiasari”,
il nuovo motore di ricerca con cui Jimmy “Jimbo” Wales, il fondatore di Wikipedia, ha dichiarato
guerra a Google. Wales ha lanciato ufficialmente la sua sfida a Google e Yahoo, promettendo per i
primi mesi del 2007 il lancio di un nuovo motore basato sulla stessa natura aperta e condivisa di
Wikipedia. Wikiasari, dalla fusione del termine hawaiano “wiki” (“velocemente”) con quello
giapponese “asari” (“ricerca accurata”), si sosterrà grazie ai soldi che Amazon e altri grandi
investitori hanno pompato nelle casse di Wikia, la società fondata da Wales che gestisce gli aspetti
for-profit e commerciali delle sue innumerevoli iniziative.

Wales ha definito la ricerca online “guasta”: “Per le stesse ragioni che hanno guastato il software
proprietario: mancanza di libertà, di comunità, di credibilità, di trasparenza. Noi cambieremo tutto
questo”. L’idea, è di usare l’intelligenza e la razionalità umana, al posto dei sofisticati
algoritmi di Google. Lanciata a gennaio del 2001, Wikipedia è cresciuta vertiginosamente tra il 2002
e il 2003, dando luogo ad una rivoluzione: dagli scontri dialettici e generazionali con
l’Enciclopedia Britannica ai politici americani che “ritoccavano” ad arte le proprie voci; dagli
innumerevoli atti di vandalismo alle accuse rivolte a Wales di gestire l’enciclopedia in modo
tutt’altro che democratico, ma tramite un ristretto numero di “editors”. Fino alla critica più
comune e forse più fastidiosa per un’enciclopedia, quella della mancanza di credibilità, legata
proprio alla sua natura specifica: chiunque può intervenire e cambiare le voci, anche chi manca
della necessaria competenza e autorevolezza.

In certi casi, Wales ha ammesso i difetti della sua creatura. In altri, ha difeso a spada tratta il
concetto di “auto-coscienza” del Web che Wikipedia vuole incarnare. Il lancio di Wikiasari, secondo
Wales confermerà il ruolo prioritario che l’intelligenza umana collettiva potrà svolgere rispetto
alle macchine e ai computer. La sfida di Wales a Google arriva in un momento in cui la società di
Mountain View, che è già stata indicata, con circa dodici mesi d’anticipo, come il sito più visitato
del 2007, sta investendo in Cina, si prepara a gestire le inserzioni pubblicitarie anche sulla carta
stampata e vede allargarsi sempre più il divario nei confronti del rivale storico Yahoo. Mentre,
dall’Europa, arrivano notizie poco confortanti su “Quaero”, che era stato presentato in pompa magna
come la risposta del Vecchio Continente a Google: i due paesi promotori dell’iniziativa, Francia e
Germania, non sono riusciti a mettersi d’accordo e il sottosegretario al Ministero dell’Economia e
della Tecnologia di Berlino Hartmut Schauerte ha ufficializzato l’uscita della Germania dal
progetto. Quaero sopravviverà, dicono a Parigi, mentre la Germania si imbarcherà in una nuova realtà
nazionale: “Theseus”.

WEB 3.0

Il paradigma del Web 2.0 sembrava ormai pienamente affermatosi, grazie a dinamismo e interazione,
social network e condivisione, alla riconversione degli utenti da fruitori passivi in attivi
«creatori-miscelatori-aggregatori-condivisori» di contenuti, come sostenuto da il creatore di
“del.icios.us”. Eppure, all’indomani del Web 2.0 Summit, organizzato da O’Reilly a San Francisco,
qualcuno ha sentenziato che il «Web 2.0 è finito». Il paradigma del Web 2.0 – dinamismo e
interazione, social networking e condivisione – và sfociando nel “Web 3.0”, noto anche come “Web
semantico”. Il Sacro Graal per gli sviluppatori del Web semantico sarà la realizzazione di sistemi
capaci di estrarre maggiori significato dall’attuale ragnatela di informazioni (info-caos)», e in
grado di rispondere a richieste complesse, come ad esempio organizzare una vacanza a puntino entro
un certo budget. Il Web dovrà assomigliare meno ad un catalogo e più a guida ragionata (queste
definizioni sono apparse su un recente articolo New York Times).

Google, in proposito, stà finanziando il progetto “KnowItAll” all’Università di Washington. Una
delle tecnologie allo studio, battezzata “Opine”, si pone come estensione diretta e ragionata
dell’ormai classico “user generated content” (contenuti generati dagli utenti9: estrarre e aggregare
recensioni o consigli per specifici prodotti pubblicati su vari siti dagli stessi utenti. Il sistema
si pone l’obiettivo di interpretare correttamente concetti quali “perfetto”, “gradevole” o “quasi
OK” in giudizi e commenti inseriti dai navigatori sul web. Per poi rispondere nella maniera più
precisa e immediata a chi cerca, ad esempio, un hotel non a cinque stelle ma comunque dignitoso. Un
veterano delle ricerche sull’intelligenza artificiale, Daniel Hillis, lo scorso anno ha fondato la
Metaweb Technologies, una azienda improntata al miglioramento di applicativi già sviluppati per
agenzie militari e di intelligence statunitensi, un po’ come ai tempi del Darpa pre-Internet, e nel
tentativo di fornire un’infrastruttura migliore per il Web. Analogamente, Radar Networks poggia sui
capitali di Paul Allen e di altri visionari, conta di rilasciare il primo pacchetto commerciale nel
2007, adeguato alla «prossima frontiera per la ricerca, la pubblicità, la distribuzione di contenuti
e il commercio». Oltre a Google, a dar man forte a simili start-up c’è anche Big Blue, il cui centro
ricerche nella Silicon Valley si concentra su sofisticati sistemi di data-mining; uno di questo, il
famoso “Web Fountain”, ha consentito di determinare in anticipo i brani musicali più venduti
studiando l’andamento di vari social network affollati da giovani e studenti di college.

Un editoriale online di Technology Review, del MIT, chiedendosi cosa verrà dopo il Web 2.0, sostiene
che «una Internet intelligente è ancora assai lontana». Il problema sarebbe dovuto alla mancanza di
tool per non-programmatori o l’eccessiva artificialità di certe applicazioni centrate proprio
sull’intelligenza artificiale.

FOLKSONOMIA

Thomas Vander Wal, architetto dell’informazione, mettendo insieme le parole «folks» (gente) e
«taxonomy» (tassonomia), ha coniato un fortunato neologismo: “folksonomy”, che vorrebbe intendere
una filosofia, una metodologia e una tecnologia per riorientare il Web sui progetti, le vite
individuali e le diverse esigenze conoscitive degli utenti. In alternativa alla classificazione
tradizionale, tassonomica, basata su un «linguaggio controllato» (standard internazionali,
thesaurus, ontologie), la “folksonomia” propone una classificazione sociale, dal basso, un
linguaggio «vivo» creato dagli stessi utilizzatori che attribuiscono parole chiave alle risorse via
via incontrate o messe sul Web allo scopo di condividerle. La metodologia è quella di gruppi di
persone che collaborano per organizzare le informazioni disponibili su Internet. La tecnologia,
invece, è quella del «tagging», dell’etichettatura delle informazioni in Rete (un post-blog, una
url, un video, un link) mediante attribuzione di «tag» che generano classificazioni rapide,
distribuite e scalabili, alimentando l’universo informativo chiamato «tagosfera». Le informazioni
così indicizzate rappresentano anche un’alternativa ai motori di ricerca classici, perché permettono
il recupero dei contenuti più nascosti del Web conosciuti solo da appassionati e addetti ai lavori.

Un esempio è “Technorati”, il primo motore di ricerca dedicato al mondo dei blog, giunto al terzo
anno di attività, che consente di navigare tra i post di 50 milioni di blog. Il mondo della
«folksonomia» ha dato vita al «social software», con siti basati sulla condivisione. Oltre a
“del.icio.us”, specializzato in “social bookmarking2, “YouTube” per la gestione dei video e “Flickr”
per le immagini, con un archivio di cinque milioni di foto. L’Università di Roma La Sapienza ha
messo in cantiere il progetto «Tagora» allo scopo di studiare le dinamiche del Web del futuro. Come
sostiene il sociologo dei media Derrick De Kerckhove, occorre capire se veramente la «tagosfera»
diventerà una costruzione collettiva e libera del sapere, espressione di una vera intelligenza.
Sarebbe meglio, forse, parlare chiaramente, e chiamarla per quello che è: una guerra di
informazione. Come quella descritta da Vernon Vinge nel suo ultimo romanzo “Raibows End”.

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