Il potere dell’incontro umano

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Il potere dell’incontro umano

(di Marcella Danon)

Si sta diffondendo sempre di più in Italia il counseling, una nuova
professione che insegna a valorizzare e potenziare le proprie capacità di
ascolto ed empatia per metterle al servizio della crescita personale altrui,
in tanti ambiti diversi.

E’ un atteggiamento professionale peculiare quello con cui counselor si
rivolge al cliente, a metà strada tra il rituale distacco del medico e il
caldo coinvolgimento dell’amico del cuore, tra l’aritmetica competenza del
commercialista e quella carismatica di un maestro. Carl Rogers stesso, in
Psicoterapia di consultazione (ed. Astrolabio), definisce il counseling come
“un legame sociale diverso da tutti quelli che l’individuo può aver
sperimentato fino a quel momento”. Che cosa caratterizza questa relazione,
la cui specificità ha portato alla decisione di non italianizzare il nome
della professione ma di mantenerne la dizione originaria – counseling – dal
significato così insostituibile?

Proprio il fatto che, prima ancora di essere un rapporto professionale, il
counseling è un rapporto umano. E’ un momento privilegiato di interazione in
cui il counselor crea le condizioni per una comunicazione autentica, in cui
il cliente si senta accolto, ascoltato, accettato, compreso. In un tipo di
società dallo stile di vita sempre più frenetico, anonimo e automatizzato
nelle relazioni interpersonali, diventa sempre più difficile per le persone
crearsi situazioni in cui potersi aprire con un interlocutore senza doverne
temere il giudizio, la considerazione superficiale, il disinteresse o
addirittura il rifiuto.

Il counseling risponde a questa profonda necessità di incontro autentico e
di condivisione di riflessioni inascoltate che spesso, una volta accolte da
un orecchio attento, da sole si incanalano verso una possibile risoluzione
adatta alla persona. Anche in questo il counseling si distingue da altre
relazioni professionali, nel suo accompagnare dolcemente l’interlocutore
verso l’esplorazione della sua situazione sostenuto dal sottinteso che sarà
lui stesso a poter trovare la soluzione di volta in volta necessaria, che è
lui – il cliente – l'”esperto”, l’unico possibile esperto nell’arte di
comprendere e dirigere la sua stessa vita.

Al di là della metodologia e delle tecniche usate dai diversi approcci nel
counseling, questa priorità dell’incontro umano accomuna tutte le scuole, è
l’essenza stessa della relazione di counseling. E’ qualcosa che non si
impara sui libri ma che è la vita stessa a insegnare, è un atteggiamento
interiore di profondo rispetto e accettazione di sé e dell’altro, che può
solo nascere da un lavoro di crescita personale, da un aver sviluppato in
prima persona quello che Adrian Van Kaam definisce “impegno esistenziale”:
la consapevolezza della propria fondamentale libertà di fronte alle
sollecitazioni della vita, della potenziale creatività di dare direzione e
qualità alle relazioni e della responsabilità conseguente nei confronti
della propria esistenza.

La formazione al counseling, ai futuri professionisti in questa nuova
professione destinata a diffondersi sempre di più, passa necessariamente per
un percorso di scoperta, riconoscimento e consolidamento delle qualità umane
presenti in ogni persona che abbia affrontato in prima persona un percorso
di conoscenza, accettazione e integrazione personale. Un percorso che
sviluppa, a sua volta, la sicurezza interiore necessaria per accompagnare un
altro essere umano alla ricerca di sé, con la stessa tranquilla fiducia con
cui una guida di montagna accompagna un escursionista sul suo percorso:
fornendo stimoli ma sapendo attendere che l’altro sia pronto a coglierli,
incoraggiando senza forzare, mettendo in guardia senza invadere, guidando,
passo per passo, verso una crescente autonomia e una maggior fiducia in se
stessi.

Il counseling è basato su una profonda fiducia nell’essere umano, nella sue
capacità di autodeterminazione e nei suoi valori più alti potenzialmente
presenti in ognuno. E’ questa fiducia che deve impregnare l’atteggiamento di
ogni counselor, deve essere il messaggio subliminale che viene passato nella
relazione per sostenere la persona nella sua ricerca di sé, con la
tranquilla certezza che non spetterà mai al counselor dirle dovere deve
andare e cosa deve fare.

Chi conduce l’incontro dovrà “soltanto” essere lì per l’altro, esserci
davvero, con tutto se stesso con tutta l’attenzione, l’empatia, la
partecipazione di cui è capace chi ha già fatto quella strada in prima
persona e decide di intraprendere la professione del “facilitatore” del
processo di crescita, della guida di montagna verso tra vette e abissi
dell’animo umano, di catalizzatore di un ampliamento di punti di vista e di
orizzonti.

Questa presenza, questa capacità di mettere a disposizione la propria
umanità, questa autentica premura dimostrata nei confronti del proprio
interlocutore, prima ancora di qualsiasi tecnica o strategia pianificata a
tavolino, sono gli elementi fondanti, peculiari e vincenti di questa nuova
professione di aiuto, del counseling.

Marcella Danon

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