Il Karma Yoga

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– IL KARMA YOGA –

di Guido Da Todi

Vivekananda considerava l’essenza del Karma Yoga la piu’ nobile delle Vie
Spirituali.

La Bagavadh Gita e’ un compendio praticamente esclusivo di questo Yoga.
Perche’?

In effetti, una delle caratteristiche fondamentali degli insegnamenti indu’
e’ il buon senso e la praticita’ immediata, anche se cio’ non invalida l’
altissima natura delle loro tradizioni.

Non e’ possibile afferrare il significato della legge del karma, se almeno
non si e’ – in misura bastevole – intuita la natura delle cose universali:
che e’ unita’ fondamentale, olismo ininterrotto, identificazione totale dell
‘apparente frammento con il tutto.

La ripercussione di ogni atto e di ogni pensiero prodotti da noi avviene e
si risolve, alla fine, in noi stessi solo per il fatto che non esiste
soluzione di continuita’ fra l’illusione di una vita distaccata dal resto
dell’esistenza e quest’ultima.

Il gioco sottile e complesso della legge del karma, tuttavia, non
costituisce lo scopo principale del presente articolo; dovra’, forse, venire
rimandata ad uno dei prossimi.

Uno degli aspetti del buon senso della filosofia indiana si riferisce al suo
modo di interpretare la celata fisionomia del presente ambientale d’ognuno
di noi.

La legge della reincarnazione costituisce il formidabile serbatoio di una
totale fecondazione di cause, da parte dell’individuo, che si annodano agli
effetti evidenti di questo suo presente ambientale.

In poche parole, l’io e’ il motore di ogni propria azione; ma, una volta
data la spinta che la produce, l’azione stessa diviene il motore dell’io.
Si tratta di un gioco delle parti assolutamente irrinunciabile.

Ecco, se potessimo scattare l’istantanea della vita di uno qualsiasi tra di
noi, quanto verrebbe alla luce – esotericamente parlando – sarebbe un
prodotto complesso e molto difficile da scomporre, nei suoi elementi
costituenti.

Immaginate una pesca acerba, e supponete di volere distaccare con le vostre
stesse mani il suo nocciolo dalla polpa ancora verde.

Il risultato di questo atto mostrerebbe la parte dura e centrale del frutto,
ma con massicci frammenti di polpa che fanno un tutt’uno con esso; tanto e’
praticamente impossibile separare il centro dalla periferia, quando i tempi
non sono quelli giusti.

L’esempio – evidentemente grossolano – indica, con una certa precisione, il
rapporto che ognuno di noi ha con il suo attuale karma.

Volere rinunciare ad esso, in modo inconsulto, violento ed irrazionale
costituirebbe un’azione simile a quella che abbiamo appena immaginato, in
riferimento alla pesca acerba.

Il nostro karma attuale costituisce il baricentro ultimo delle forze e delle
azioni emesse in un passato, piu’ o meno lontano, e la spinta trainante che
conduce gran parte della nostra esistenza.

Il dharma, invece, e’ l’atto mentale che ne riconosce la fisionomia e si
adatta ad essa, con il proprio comportamento quotidiano.

In effetti, questa e’ gia’ una notevole indicazione per l’individuo che
voglia intervenire nel proprio destino.

Qualunque malumore, generato dalla nostra insoddisfazione per la vita che
conduciamo, per il lavoro che facciamo, per l’ambiente in cui viviamo
rappresenta un’energia inutilmente sprecata.

In modo giusto, o errato, siamo stati noi gli unici responsabili di quella
soluzione latente di forze, che stanno rapprendendosi attorno a noi ed in
noi.
Non e’ possibile liberarcene, almeno in modo violento.

A questo punto non risulta inutile un cenno a quelle azioni ribelli, che
molti commettono sovente. Essi abbandonano, all’improvviso, la compagna, o
il compagno; i figli; il lavoro che li delude. Insomma, staccano il
contatto con la ruota che gira in una determinata direzione, e – come un
elettrone che cambia orbita – si incasellano in un altro vortice di vita;
nella creazione di nuove abitudini, di una nuova esistenza.

Ma, la ruota continua a girare. Essi non hanno il potere di interrompere
quel flusso di energia in cristallizzazione operativa di quanto hanno creato
nel loro passato.

In tal modo, provocano altro karma; ma, non eludono quello antico; che si
ripresentera’, prima o poi. E la loro fuga si sara’ risolta in un bel nulla
di fatto.

Cosa dice, allora, in proposito, la filosofia indiana del Karma Yoga? Cosa
dice Vivekananda? E cosa insegna la Gita?

Intanto – e cio’ e’ un fondamento di altissima rilevanza spirituale – che
non importa, nella vita, desiderare disperatamente un destino di suprema
nobilta’ formale; e neppure temere di esprimerci in azioni che consideriamo
mediocri e prive di smalto e di significati profondi.

Nella vita importa solo capire e compiere cio’ che e’ giusto fare, in quel
momento.

La suprema nobilta’ formale, lo smalto e cos’altro si possa desiderare,
magari, diverranno una conseguenza di quanto e’ opportuno, per il momento,
realizzare, nella giusta direzione, ora e adesso.

Solo in tal modo riusciremo a costruire quel canale in cui rotolera’ e si
consumera’ la pietra da macina che portiamo appesa al collo: il nostro
karma pesante e, spesso, doloroso..

Attenzione, cio’ non vuol dire accettare e subire passivamente, ed in modo
beota, qualunque costrizione la vita ci stia imponendo. Indica solo la
saggezza e l’abilità di saperci svincolare, nell’unico modo armonico e sano,
da una stretta soffocante, che rischia, spesso, di annientarci, nel corso di
questa nostra esistenza.

Tuttavia, abbiamo parlato di unita’ del tutto.

Il Karma Yoga afferma che ognuno di noi rappresenta una tessera parziale di
un universo illimitato.

Chi si oppone a questo dato di fatto, oppure non lo conosce, e’ destinato ad
una espressione tronca del Se’: in poche parole, all’infelicita’.
L’intera tradizione del vero spiritualismo tende alla sperimentazione della
Vita Totale.

Aderire al nostro dharma, ed accettarlo con cristallina consapevolezza delle
motivazioni cosmiche che si trovano dietro ad esso, per incanto ci unifica
alla Vita Totale; verso la quale non opponiamo più, di conseguenza, alcuna
resistenza attiva, o passiva.

Ogni senso delle dimensioni, allora, risulta impossibile a comporsi. Non
esiste, qui, un piu’ grande, o un piu’ piccolo. Esiste solo quel componente
che, saldandosi con l’intero, fa confluire in esso ogni tensione ed ogni
opposizione personale.

La parte si accorge di essere divenuta un del
tutto.

Di essere il tutto. E di gioire, tramite l’esecuzione di un agire personale,
della gioia impersonale, che possiede delle risonanze prive di limite e di
estensione.

Il karma yoghi vive in discesa ogni suo atto quotidiano; ossia, senza
opporsi ai doveri che incombono sulla propria vita, e che egli ha tutti
riconosciuti, nell’attimo della sua originaria espansione di coscienza.
In tal modo, non soltanto esaurisce e scioglie tutti i legami reincarnativi
che lo avvincevano ai tre mondi dell’illusione formale, ma, pure, salda ed
unisce la tessera che rappresenta il frammento personale del mosaico al
grande affresco cosmico, di cui quella e’ parte costituente.

Potrei esprimervi la mia personale esperienza, in proposito. Non credo possa
esistere gioia piu’ acuta e indicibile del sentimento che invade l’animo,
quando si osserva il proprio io, mentre, con la massima partecipazione,
aderisce all’intero dharma della sua vita: dalle minime incombenze, all’arco
totale del proprio complesso ciclo reincarnativo.

Si narra di un giovane yoghi indu’, il quale passo’ degli anni in
meditazione, nel folto di una foresta.

Un bel giorno, egli guardo’ con fastidio un uccello, che lo disturbava con
il suo canto. Ed il volatile cadde a terra fulminato.

Lo yoghi stabili’, allora, di aver raggiunto dei poteri straordinari, e che
era giunto il momento di tornarsene fra gli uomini.

A sera, giunto ai limitare di un paese, busso’ ad una casa modesta, per
chiedere da mangiare. La donna anziana che gli apri’ gli disse subito:”
Attendete, sadhu, che io mi occupi dei bisogni del mio sposo. Tra poco
tornero’ a voi, e vi offriro’ la cena.”

La risposta parve poco rispettosa allo yoghi, che, evidentemente, si
attendeva la priorita’ su tutto e tutti, visto il rango spirituale che
riteneva di essersi guadagnato. E, senza accorgersene, guardo’ con sguardo
seccato la donna.

“Non crediate che io sia un uccello, per potermi fulminare, sadhu! – gli
ribatte’ quella – “Ho dei doveri da compiere. Ma state pur tranquillo, che
immediatamente dopo tocchera’ a voi.”

L’uomo rimase folgorato. Come sapeva quella anziana signora la storia dell’
uccello?

A cena, con cautela, glielo domando’.

“Vedete, sadhu, il mio maestro mi ha insegnato che, compiendo esattamente
tutti i miei doveri con gioia e con dedizione, mi sarei fusa con l’
universale. Questa e’ la ragione per cui ho raggiunto la luce e l’unione con
Dio.”

La storia continua, ma voglio interromperla per indicare che l’essenza del
Karma Yoga e’ tutta qui.

Quando se n’e’ afferrato lo spirito, ognuno di noi diviene consapevole del
canotto minuscolo che rappresenta il suo io, circoscritto dal proprio
karma reincarnativo. Egli sente e vede i confini di questo karma, con una
vivezza incredibile.

Aderendo al suo dharma, con gioia e distacco, vive, allora, una tra le
massime esperienze metafisiche. Pur se ancora stretto ai legami dei tre
mondi, prova gia’ intensamente la completa liberazione da essi e da tutto
cio’ che e’ relativo.

Ogni minuto della sua giornata e’, in lui, un atto sacro di meditazione, di
congiungimento a Dio, di eucaristico rapporto con la Realta’ Una.
Egli e’ oramai un karma yoghi.

Egli e’ un liberato!

tratto da lista Sadhana > it.groups.yahoo.com/group/lista_sadhana

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