Gioseffo Zarlino: scienza e musica 1

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Gioseffo Zarlino: scienza e musica 1
alla ricerca delle passioni nell’autunno del Rinascimento

Stefano A.E. Leoni

in “Nuova Civiltà delle Macchine”, Nuova Eri, Roma, n. 2-3, dic. 1994

Risulta particolarmente arduo sintetizzare il contributo della trattatistica musicale rinascimentale
allo sviluppo della storia delle idee, della scienza e della tecnica del periodo, né sarebbe
produttivo focalizzare l’attenzione su di un solo autore, per quanto nodale, senza prima delineare
alcuni tratti di riferimento generali che possano agevolare la ricostruzione di una mappa – seppur
vaga – delle interferenze tra la musicografia e quelle discipline filosofico-scientifiche che
andavano sotto il nome di magia naturale.

Nel corso di un lavoro di ricerca condotto presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di
Genova (cattedra di Storia del pensiero scientifico) in collaborazione con il Conservatorio Statale
di Musica “A.Vivaldi” di Alessandria (Cattedra di Storia della Musica e Storia ed Estetica
Musicale), si sono messe a confronto competenze epistemologiche e competenze storico-musicologiche
in relazione a problematiche che riguardano le “interferenze” tra musica, scienza e filosofia nel
periodo rinascimentale. Anche grazie all’apporto di un certo numero di giovani laureati (tra gli
altri Paolo Raffo, Carlo Benzi e Paola Lanzola) si son potuti chiarire almeno alcuni punti fermi di
partenza per indagini che coinvolgano la Musica e la Storia delle Idee tra XV e XVII secolo.

In particolare è da notare che tra la seconda metà del XVI secolo e gli inizi del XVII, in maniera
assai evidente, intorno a personaggi quali Gioseffo Zarlino, Marin Mersenne, René Descartes,
Johannes Kepler, Pierre Gassendi, ma anche Johannes Reuchlin, Robert Fludd, Michael Maier,
Athanasius Kircher, Heinrich Khunrath e tanti altri, ruota una fitta serie di interferenze tra
pensiero musicale, elaborazione filosofica, tematiche magico-ermetiche, tradizione cabbalistica,
ipotesi retorico-musicali, problematiche che oggi definiremo di “mente/corpo” e nascita del pensiero
scientifico moderno.

Si è perciò iniziato a mettere a fuoco l’ importanza della trattatistica teorico-musicale e/o
“para-musicografica” nell’affermarsi della scienza e della metodologia scientifica moderne.Vediamo
fondarsi così, dopo un periodo ricco di forti stimoli (il XVI secolo, soprattutto la seconda metà
del secolo), le basi del meccanicismo, della scienza moderna e, per “conseguenza” di una nuova
gnoseologia.Da un lato assistiamo alla strutturazione di una tendenza a porre in primo piano
concettualizzazioni di tipo proporzionale/armonico che utilizzano le straordinarie capacità
mitopoietiche della musica e del suo linguaggio – nel solco della consolidata tradizione medioevale
– , legittimando , per esempio, il titolo di Harmonie Universelle che il Padre Marin Mersenne darà
ad una serie di propri scritti; d’altro lato notiamo la progressiva crescita di interesse per la
neonata scienza acustica, utilizzata anche in chiave di Filosofia della Conoscenza in polemica con
l’animismo ed il pensiero cabbalistico-simbolico di marca fluddiana.

Il ruolo qui giocato dalla teoria musicale è eccezionalmente importante e legittima una analisi
odierna che ne precisi l’ambito di storicizzazione dei fondamenti ed altresì consenta la costruzione
di una epistemologia musicale, quantomeno di matrice storica: un bisogno assai sentito dall’attuale
ricerca. Metodologicamente si può inoltre affermare che la necessità di tale indagine, squisitamente
legata alla storia della scienza sta, tra l’altro, nella del tutto evidente considerazione che la
storia della scienza stessa debba considerarsi elemento essenziale per fare scienza; e ciò vale
indubbiamente anche per la musicografia.

Del resto la bibliografia (metodologicamente aggiornata) italiana sull’argomento si rivela ancora
carente e non organica e lo stato delle ricerche intorno agli aspetti storico-metodologici nell’
ispezione interdisciplinare dei legami tra musica, scienza, retorica e filosofia è, a dir poco,
“ambiguo”, essendo stato per troppo tempo appannaggio di una musicologia preoccupata maggiormente
degli esiti musicali della trattatistica, quando non di ricerche microstoriche, piuttosto che della
storia culturale dell’Europa del Cinque e Seicento, della Storia delle Idee, insomma.

Le recenti ricerche di storia della scienza hanno evidenziato i nessi sottili e profondi che
collegano, agli inizi dell’età moderna, la speculazione filosofica e religiosa allo studio del mondo
naturale ed ai progressi dell’indagine scientifica attraverso un atteggiamento mentale che appare
come tipico dell’età Rinascimentale. Ancora una volta il ruolo giocato dalla speculazione musicale
si evidenzia come fondamentale: diversi studiosi hanno provveduto a sottolinearlo, Frances Yates,
D.P. Walker e, ultimamente, Don Harrán ed altri ancora; in Italia soprattutto Paolo Gozza.1

Pare interessante, a questo punto, proporre le valutazioni sulla musica di uno dei “maghi” più noti
del XVI secolo, Cornelio Agrippa, per poter esemplificando evidenziare l’utilizzazione della musica
postquadriviale nell’ambito della cultura magico-simbolica rinascimentale: cito di seguito buona
parte di due capitoli dal De occulta Philosophia.

CAPITOLO XXIV

Dell’armonia musicale, delle sue forze e del suo potere.

“L’armonia musicale non è orbata dei doni siderali, poiché è una potentissima imitatrice di tutte le
cose. Seguendo opportunamente i corpi celesti, provoca mirificamente il celeste influsso, agendo
sulle passioni, gli atteggiamenti, i gesti, i movimenti, le azioni e i costumi e disponendo l’anima
secondo le sue proprietà, gioia o tristezza, audacia o tranquillità e simili. […] La musica molce
l’anima, eleva il pensiero, eccita il soldato alla pugna, allevia le pene e la fatica, conforta i
disperati, ripristina le forze del viaggiatore. […] il canto rallieta, placa le ire, scaccia le
tristezze e le inquietudini, dissipa i malumori, modera la rabbia dei frenetici, fuga i vani
pensieri.

Democrito e Teofrasto assicurano che con l’impiego della musica è possibile guarire o procurare
certe malattie del corpo e dello spirito e in tal modo Terpandro e Arione Metimneo hanno curato i
Lesbiani e gli Ionici e Ismenio il Tebano s’è servito della musica per combattere non pochi morbi
crudeli. Di più Orfeo, Anfione, David, Pitagora, Empedocle, Asclepiade, Timoteo, realizzavano
prodigi con l’impiego dei suoni e degli accordi, ora risvegliando i sensi addormentati, ora con
tonalità più gravi, raffreddando le passioni violente degli impudichi, il furore dei dementi, i
trasporti degli iracondi. David chetò l’ira di Saul col suono dell’arpa, Pitagora guarì un
voluttuoso da una passione sregolata, Timoteo mise in furore Alessandro e poi lo placò. Sassone il
Grammatico fa menzione nell’istoria dei Danesi d’un certo musicista che si vantava di potere colla
modulazione dei suoni indurre con tanta forza al furore della pazia, che nessuno degli ascoltatori
poteva restare padrone della sua mente; e spinto dall’ordine del re alla prova, cominciò a piegare
le consuetudini dell’animo con la varietà dei suoni e per prima cosa, con un concerto d’inusitata
severità, riempì gli ascoltatori di mestizia e stupore; poi con suoni più vivaci, cambiata la
severità in plauso, piegò gli animi a più allegro stato ed il corpo a movimenti e gesti più
petulanti; ed infine con suoni più aspri concitò lo spirito a tal punto di pazzia, che il furore
divampò in rabbia e tenacità.

Si trova anche scritto che coloro che sieno stati morsicati dalla tarantola in Puglia, cadano in
sopore, da cui vengono tratti mercè determinati suoni che li sospingono a ballare in cadenza. Sulla
fede di Gellio, si è creduto che il suono d’un flauto valga a calmare i più violenti accessi di
gotta e di sciatica e lo stesso autore dice avere appreso da Teofrasto che sia possibile combattere
gli effetti delle morsicature delle vipere col suono del flauto. E Democrito conferma che tale
istrumento abbia servito di rimedio a non poche malattie.”

CAPITOLO XXV

Del suono e dell’accordo e delle cause della loro meravigliosa efficacia

“Se conveniamo con Pitagora e con Platone che il cielo è composto armonicamente e ch’esso governa e
crea tutte le cose con moti armonici, bisogna ammettere anche che il suono abbia la virtù di
ricevere i doni delle influenze celesti.

Il canto ha maggiore efficacia del suono degli istrumenti, provenendo dalla concezione spirituale e
dal desiderio imperioso della fantasia e del cuore e penetrando facilmente, insieme all’aria rimossa
e temperata, nello spirito aereo dell’ascoltatore, che è il legame tra l’anima e il corpo, portando
con sé l’affetto e l’animo di chi canta, muovendo con l’affetto di chi ascolta, eccitando la
fantasia con la fantasia, lospirito con lo spirito, commuove il cuore, penetra sino in fondo al
pensiero, s’insinua poco a poco nei costumi e pone in moto le membra e le arresta, così come gli
umori del corpo. Perciò l’armonia può suscitare tante passioni, naturali e artificiali, e quella
prodotta dalla voce rinvigorisce gli spiriti e i corpi. Ma è necessario che i suoni provengano da
basi concordanti, sieno esse corde, o tubi di strumenti, o voci. Né sarà possibile ad alcuno far
concordare il ruggire dei leoni, il muggire dei buoi, il nitrire dei cavalli, il ragliare degli
asini, il grugnire dei maiali, ovvero le corde d’uno strumento miste di budella di lupo e d’agnello,
che hanno basi dissonanti. Le voci umane invece, quantunque differenti, s’accordano perché non hanno
che una base unica secondo la specie. Anche parecchi uccelli s’accordano tra loro e gl’istrumenti
artificiali s’accordano con le voci naturali, perché dall’una e dall’altra parte v’ha una
simiglianza reale o espressa, ovvero alcuna analogia.

Ogni concetto è composto di suoni o di voci. Il suono è lo spirito e la voce è il suono e lo spirito
animato. Il discorso è lo spirito profferito col suono e con la voce improntata di significato ed
esso si sprigiona dalla bocca col suono e con la voce. Calcidio dice che la voce è sospinta dal
fondo del petto e del cuore con uno sforzo del respiro, che si produce in quella cavità del petto in
cui il mediastino ricco di nervi separa il cuore dai polmoni e, mercè l’uno e gli altri, unitamente
alle altre parti vitali e non esclusa la lingua e la gola, produce i suoni articolati, che sono il
principio della parola, interprete dello spirito, di cui manifesta i movimenti interiori.” 2

Sono messi in campo stimoli di vario genere; vedremo peraltro che l’elemento musicale che collega
spirito e parola diverrà uno dei punti nodali intorno cui si svilupperà la trattazione dei teorici
della musica tra Cinque e Seicento.

Non a caso si è scelto di citare una ‘mago’: magia ermetica e tradizione cabbalistica sono gli
elementi originali su cui s’innesta un audace tentativo di rinnovamento culturale e morale che trova
uno dei suoi centri primari di elaborazione nella Germania del primo Seicento, intorno ad un
avventuroso disegno politico e culturale che, puntando sulle forze protestanti e “liberali” d’
Europa, si propone di lottare contro l’egemonia catto-asburgica e l’offensiva restauratrice della
Controriforma.

Codesta operazione politica viene sconfitta nelle drammatiche vicende che danno inizio alla guerra
dei Trent’anni, le correnti intellettuali che hanno formulato i primi testi di rinnovamento della
tradizione ermetica dando vita al movimento rosacrociano, riescono tuttavia a resistere alla
repressione talora feroce scatenata contro di esse ed ad influire grandemente su un vasto movimento
di pensiero che circola per tutta l’ Europa del secolo XVII, dalla Francia all’ Italia, dalla
Germania all’Inghilterra, dando tra l’altro vita a polemiche per nulla aride che sovente utilizzano
argomentazioni di carattere musicale o, più latamente, di carattere armonico. Ecco che ancora una
volta la trattatistica “musicale” assume un’ importanza notevolissima nello sviluppo della storia
culturale dell’ Occidente; quasi un canto di cigno, ché il grande progetto panarmonico che collegava
sapienza orientale ed occidentale, antichità preclassica e classica attraverso il Medioevo, all’
umanesimo rinascimentale, andrà a morire, lentamente, ed “a testa alta”, proprio in questo
tormentato XVII secolo, servendo però da spunto polemico, appunto, per l’affermarsi del moderno
pensiero scientifico e dei suoi costrutti fondamentali.

Del resto la Controriforma italiana, prima ancora che del suo divenire europea, ha saputo cogliere,
fin dai primi momenti del Concilio di Trento, quegli aspetti cattolicamente panarmonici da un lato,
e precettisticamente retorici dall’altro, che hanno accompagnato, come nel caso dell’ambiente romano
post-palestriniano, gli esiti pratico-musicali oltreché normativi nella definizione di un linguaggio
musicale “armonico” quale superamento della concordia discors della polifonia
quattro-cinquecentesca.

Non è neppure il caso di ricordare in questa sede l’intreccio che unisce monodia accompagnata,
armonia (basso continuo), tonalità, e ridefinizione della Affektenlehre , giova però richiamare alla
mente la funzione definitoria, la sintesi di formalizzazione che la trattatistica, a partire dal
secondo Cinquecento, ha comunque avuto.

Tale sintesi parte dalla definizione di musica reservata basata anche sugli Affetti attuata in
Italia nel corso del XVI secolo in un momento storico che precede le istanze della rivoluzione
scientifica seicentesca, per giungere alla foltissima produzione intorno alla retorica musicale
(musica poetica) proprio negli anni della rivoluzione scientifica e dell’affermarsi del
meccanicismo. L’indirizzo retorico potrebbe peraltro anche esser letto quale riconduzione ad ambiti
logico-poietici di un’Armonia disvelata3 e quindi utilizzata, nel bene e nel male, in chiave di
decoratio di un discorso poetico-musicale che vuole comunque influenzare l’animo dell’ascoltatore
fino a che esiste un reale parallelismo, una convergenza culturale, sociale ed estetica tra
compositore-esecutore e pubblico.

Con il passaggio dal XVI al XVII secolo, la centralità della elaborazione del pensiero musicale (ma
pure scientifico, teologico, morale, simbolico e filosofico) si sposta al nord, verso i paesi di
lingua tedesca, verso la Francia e l’Inghilterra a seguire le sorti di potenze e potentati in
qualche modo legati anche alle sorti dell’Impero; pure la contrapposizione politico-religiosa,
sfociata nella tragedia della Guerra dei Trent’anni, rinvigorirà con le polemiche gli studi e la
ricerca: così la trattatistica musicale, col finire del XVI secolo, tende a svilupparsi
particolarmente nella mittel-Europa, coinvolgendo pure gli studi di carattere retorico-musicale ed
impiantandosi su un fecondo terreno di ridefinizione della lingua volgare tedesca che segue le
riforme italiane e pone in primo piano la retorica.

Si tratta di una tradizione solida che a questo punto conta più di due secoli di vita; infatti la
riscoperta nel 1416 dell’Institutio oratoria di Quintiliano ha già fornito una delle fonti
principali sulle quali verrà in seguito basato, soprattutto a partire dal secolo successivo, il
legame sempre più stretto tra retorica e musica.

Con l’umanesimo rinascimentale si avrà un impatto sempre più evidente del pensiero retorico sulla
musica; è in questo momento che i testi di retorica, classici o contemporanei, divengono la base di
un’importante parte del curriculum studi dell’intellettuale europeo cinquecentesco.

Questo sviluppo generalizzato di studi ha un profondo impatto sulle abitudini dei compositori nel
musicare i testi, sia sacri come profani, conduce a nuovi stili musicali e a nuove forme delle
quali, per dirla con Buelow, il madrigale prima e l’opera in seguito, “furono solo i prodotti più
ovvi”.4

“Divenuta perfetta expressio verborum , la musica del periodo barocco raggiunse tale completezza ed
unità stilistica da riuscire a rappresentare ogni tipo di emozione, non già tramite mezzi espressivi
psicologici bensì per moduli figurativi e intellettuali, vera e propria rappresentazione della
parola. Tenendo costantemente presenti le possibili reazioni emotive dell’ascoltatore, tutti gli
elementi della musica – ritmo, armonia, tonalità, melodia – sono impiegati all’unico fine di
suscitarle. Sentimenti ed emozioni via via più lontani dalla semplicità lineare del periodo
rinascimentale e più esagerati, in una lettura sopra le righe di cui l’Opera sarà rappresentazione
esemplare; e non, come detto, in chiave psicologica, ma schedati e classificati come ‘stereotipi’,
in una serie di ‘affetti’ dei quali ognuno riproduce un preciso stato mentale ed emozionale.”5.

Un dotto letterato del Cinquecento, Lorenzo Giacomini, definisce dal più al meno un’affetto come ‘un
moto spirituale od operazione della mente in cui essa è attratta o respinta da un oggetto con cui è
venuta a contatto’. Egli lo descrive come uno squilibrio negli spiriti animali e nei vapori che
continuamente fluiscono attraverso il corpo. Un’abbondanza di spiriti snelli e vivaci dispone una
persona ad affetti gioiosi, mentre vapori torbidi ed impuri spianano la strada alla tristezza ed al
timore. Le sensazioni interne ed esterne stimolano il meccanismo corporale ad alterare lo stato
degli “spiriti”. Quest’attività è sentita come un “movimento degli affetti”, ed il risultante stato
di squilibrio è l’Affetto, appunto. Una volta raggiunto questo stato, il corpo e la mente tendono a
restare nella stessa “affezione” fino a che nuovi stimoli conducano ad un’alterazione della
combinazione dei vapori. Affetto e passione sono allora due termini che indicano il medesimo
processo, il primo lo descrive dal punto di vista del corpo, il secondo da quello della mente.
L’alterazione del sangue e gli spiriti danno affetto-effetto sul corpo, mentre la mente passivamente
ne soffre i disturbi. Viene così perpetuata l’opinione, proposta per primo da Aristotele nella sua
Retorica , che esistano stati, modi di “sentire” differenziati, come “timore”, “amore”, “odio”,
“collera”, “gioia”, e così via.6 A far data dagli ultimi decenni del XVI secolo lo stimolo degli
affetti viene considerato il principale obiettivo della poesia e della musica. Ecco dunque molte
teorizzazioni sulle passioni che prendono qui il via e continuano lungo i due secoli successivi.
Giovi qui ricordare che lo studio più completo sugli affetti nella prima metà del Seicento è il
trattato cartesiano Le passioni dell’Anima (1649), in cui si propone una spiegazione razionale e
“scientifica” per la fisiologia delle passioni e la natura oggettiva delle emozioni.

La musica dell’antichità, legata al Quadrivio (con astronomia, artimetica e geometria) ora ammicca –
nella precettistica – ad una pratica lungamente attuata nel corso dei secoli XVI e XVII, al Trivio
(grammatica, dialettica e retorica) in un’intesa più stretta tra le sette Arti Liberali che attesta
la sostanziale inattualità di una classificazione-spartizione sicuramente ormai obsoleta.

Il pensiero dell’umanesimo giunge fin qui: la connessione delle teorie affettive con l’antico
concetto dei quattro temperamenti o umori non va sottovalutata. Abbiamo testimoniata una sostanziale
convergenza della filosofia attica dell’Ethos, la teoria degli umori e quella degli Affetti, che
dall’ambito modale, nel corso del Seicento troverà una definizione nell’ambito tonale, larvatamente
già con Keplero, ed in maniera conclusiva col Mattheson all’inizio del secolo successivo. Questo,
della monodia accompagnata (nei vari “Stili”: luxurians comicus, communis, theatralis ed oratorius)
e dell’armonia tonale, sembra essere davvero il punto di volta del discorso intorno alla retorica
musicale, la reale conditio sine qua non.

Per ciò che attiene più strettamente la teoria umorale ed uno stato tipico dell’artista, quello
saturnale-melanconico nel periodo umanistico-rinascimentale, non posso che rimandare al magnifico
saggio di Klibansky, Panofsky e Saxl Saturno e la melanconia o ad altri testi specifici7.

Quanto ai rapporti tra mondo musicale e mondo della ‘passione’ e della sua formalizzazione, mi si
consenta di focalizzare l’attenzione sul maggiore teorico musicale del Rinascimento italiano,
Gioseffo Zarlino,8 il quale, nel Capitolo 7 della Seconda Parte delle Institutioni Harmoniche,
intitolato “Quali cose nella Musica habbiano possanza da indurre l’huomo in diverse passioni”, così
scrive:

“… Ne meno si ode, che la Musica ai nostri tempi habbia costretto alcuno a pigliar le arme, come
si legge appresso molti, et spetialmente appresso di Basilio Magno del Grande Alessandro, il quale
da Timotheo musico fu col mezo della Musica sospinto ad operare un tale effetto. Non si ode ancora,
che col canto loro habbiano fatto divenire alcun furioso mansueto, come mostra Ammonio di un giovane
Taurominitano, che dall’ accorgimento di Pithagora, et dalla virtù del Musico, di furioso che era,
diventò humano et piacevole: Ma ben si ode il contrario, che le vituperose et sporche parole,
contenute nelle lor cantilene, corrompeno spesse volte gli animi casti de gli uditori […] grandemente dovemo lodare et riverire i Musici antichi: conciosiache per la loro virtù, col mezo
della Musica, essercitata nel mostrato modo, succedevano tali et tanti effetti maravigliosi, che il
voler raccontarli sarebbe incredibile: Ma a fine che queste cose non parino favolose, et strane da
udire, vederemo quello, che poteva esser la cagione de tali movimenti. Onde se noi vorremo
essaminare il tutto, ritrovaremo, che Quattro sono state le cose, le quali sono sempre concorse
insieme in simili effetti; delle quali mancandone alcuna, nulla, o poco si haverebbe potuto vedere.
Era adunque la prima l’Harmonia, che nasce dalli suoni, o dalle voci; La seconda il Numero
determinato contenuto nel Verso; il qual nominavano Metro; La terza la Narrazione di alcuna cosa, la
quale contenesse alcuno costume, et questa era la Oratione, overo il Parlare; La quarta et ultima
poi era un Soggetto ben disposto, atto a ricevere alcuna passione. Et questo ho detto: percioche se
noi pigliaremo la semplice Harmonia, senza aggiungerle alcuna altra cosa, non haverà possanza alcuna
di fare alcuno effetto estrinseco delli sopranarrati; ancora che havesse possanza ad un certo modo,
di dispor l’animo intrinsecamente, ad esprimere più facilmente alcune passioni, overo effetti; si
come ridere, o piangere. […] Se a tale harmonia (id est: semplice, senza altro che melodia ndr) si
aggiunge poi il Numero determinato et proportionato, subito piglia gran forza, et muove l’animo;
come si scorge ne i Balli, i quali spesso ne inducono ad accompagnar seco alcuni movimenti
estrinsechi col corpo, et a mostrare il piacere, che pigliamo di tale aggiunto proportionato.
Aggiungendo poi a queste due cose la Oratione, cioè il Parlare, il quale esprima costumi col mezo
della narrazione di alcuna historia, o favola; è impossibile di poter dire quanta sia la forza di
queste tre cose aggiunte insieme. E’ ben vero, che se non vi si trovasse il Soggetto disposto, cioè
l’Uditore, il quale udissi volentieri queste cose, et in esse si dilettasse, non si potrebbe vedere
alcuno effetto; et nulla o poco farebbe il Musico…” 9

Zarlino prosegue poi delineando varie figura di Soggetto percipiente la musica che risponde
diversamente agli stimoli di essa:

“…Percioche si come aviene al Soldato, che per esser naturalmente inchinato alle cose della
guerra, è poco mosso da quelle, che trattato di pace et quiete; et alcune volte è alterato dalli
ragionamenti di arme et di cose campestri, che molto li dilettano; così il ragionar delle arme nulla
o poco diletto porge all’huomo, che sia per natura pacifico, quieto, et religioso, et il ragionar
delle cose di pace, et della gloria celeste molte volte li moveranno l’animo, et lo costringeranno a
piangere. Et si come poco muoveno i casti ragionamenti il Lussurioso; così gli altri che sono
lascivi et sporchi annogliano il temperato e casto: Imperoché ogn’uno volentieri ode ragionare di
quella cosa, della quale maggiormente si diletta; et da simili ragionamenti è sommamente mosso
[…]”;

citando poi il caso notissimo, e più volte riportato da vari scrittori, di Alessandro, indotto
all’ira e da questa poi riportato alla quiete da Timotheo (o Senofanto).

“…Si ricerca adunque un Soggetto tale: conciosia che senza esso… nulla o poco si vederebbe. Et
benche in simili movimenti fatti per la Musica, vi concorrino le nominate cose; nondimeno il preggio
et l’honore si da al composto delle tre prime, che si chiama Melodia: Percioche se bene l’Harmonia
sola ha una certa possanza di dispor l’animo, et di farlo allegro, o mesto; et che dal Numero posto
in atto le siano raddoppiate le forze; non sono però potenti queste due cose poste insieme, di
generare alcuna passione estrinseca in alcun soggetto, al modo detto:…” 10

Di grande interesse è il successivo Capitolo 8 il cui titolo suona: “In qual modo la Melodia, & il
Numero possino muover l’animo, disponendolo a varij affetti; & indur nell’huomo varij costumi”:

“[…] Essendo adunque le passioni, che predominano ne i corpi, per virtù delle nominate qualità,
simili … alle complessioni, che si ritrovano nelle Harmonie, facilmente potemo conoscere, in qual
modo le Harmonie possino muover l’animo, et disporlo a varie passioni: Percioche se alcuno è
sottoposto ad alcuna passione con diletto, over con tristezza; et ode un’harmonia, la quale sia
simile in proportione, tal passione piglia aumento; conciosia che la Similitudine … ad ogn’uno è
amica…[…]” 11

da varazze.net/stefanoleoni/pagina_zarlino.htm

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