Esicasmo: uno “Yoga cristiano”

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Esicasmo: uno “Yoga cristiano”

LA MEDITAZIONE DEL CUORE
L’esicasmo: un’antichissima tradizione spirituale cristiana
la cui tecnica si avvicina sotto molti aspetti allo yoga.

Di Simona Lucchini

L’esicasmo è un sistema di spiritualità che ha alla base l’esychía, parola greca che significa «pace
interiore, silenzio». Le sue origini sono antichissime, anche se generalmente viene associato ai
mistici bizantini del XIV secolo e al Monte Athos. Questa tradizione spirituale inizia nel IV secolo
d.C. con i primi monaci cristiani, i cosiddetti Padri del deserto e prosegue ininterrotta fino ai
nostri giorni.

Nel cristianesimo l’esychía significava soprattutto una vita di preghiera e di solitudine: i monaci
si ritiravano nelle zone più remote del deserto egiziano e ricercavano la comunione con Dio
attraverso una rigida pratica ascetica e meditativa. Già allora grande importanza era data alla
ripetizione, verbale o silenziosa, della preghiera del pubblicano: «Signore Gesù, abbi pietà di me»
o «Kyrie eleison» nella sua forma più breve, quale mezzo per raggiungere l’esychía, la tranquillità
dell’ anima. S. Cassiano (V sec. d.C.) scrive a proposito di questa preghiera continua:

«è un segreto che ci è stato insegnato dai pochi sopravvissuti fra i Padri dei primi tempi, e che
noi affidiamo a quel piccolo numero di anime veramente assetate di conoscerlo. Al fine dunque di
tenere sempre il pensiero fisso in Dio, dovrete proporvi continuamente questa formula di pietà».

A partire dal VI secolo d.C. la tradizione esicastica si diffonde nei monasteri del Sinai e infine
sul Monte Athos. La preghiera del cuore, o preghiera di Gesù, continua a mantenere una posizione
centrale. Simeone il Nuovo Teologo ricorda che

«invocato per mezzo della preghiera del cuore, Cristo invia nel cuore una forza spirituale chiamata
pace di Cristo, che l’intelligenza non può comprendere, che la parola non può esprimere, che può
essere raggiunta in modo perfettamente comprensibile solo attraverso una forte esperienza».

L’esicasmo si diffonde poi anche fuori dai monasteri grazie a due opere: la Filocalia, importante
collezione di antichi scritti cristiani, che è pubblicata nel 1782 da Nicodemo Aghiorita e da
Macario di Corinto, e i Racconti di un pellegrino russo, pubblicato nel 1884 da autore anonimo. La
versione che oggi è più diffusa, al di fuori dell’ambito strettamente religioso, è probabilmente Il
metodo di orazione esicastica secondo l’insegnamento di Padre Serafino, che è raccolta da J. Y.
Leloup nel libro L’esicasmo (Gribaudi, 1992): Si tratta di un racconto apparentemente ingenuo e
semplice, che in realtà illustra in maniera precisa e accurata le caratteristiche di questa pratica
meditativa.

Padre Serafino accoglie nel suo eremitaggio di S. Panteleimon (Monte Athos) un giovane filosofo
francese, che desidera essere iniziato al «metodo dell’orazione esicastica». Per prima cosa gli
viene insegnato a «meditare come una montagna», che è il sedersi a terra immobile con le gambe
incrociate, alla ricerca di stabilità e di presenza.

Il primo consiglio da darsi a chi vuole meditare non è di ordine spirituale, ma fisico: siediti. Il
giovane impara a sentirsi come una montagna, «sapeva prendere tempo, accogliere le stagioni,
mantenersi tranquillo e silenzioso» e anche il ritmo dei suoi pensieri si modifica: «Aveva imparato
a “vedere”senza giudicare, come se avesse dato a tutto ciò che cresce sulla montagna il “diritto di
esistere”».

Poi gli viene insegnato a «meditare come un papavero», ad orientare la propria meditazione verso la
luce, raddrizzando la colonna vertebrale: «Se osservi bene il papavero, esso ti insegnerà non
soltanto la dirittura dello stelo, ma anche una certa flessibilità sotto le ispirazioni del vento e
poi anche una certa umiltà». Dalla montagna aveva imparato il senso dell’eternità, il papavero gli
indicava la fragilità: «Meditare è conoscere l’Eterno nella fugacità dell’istante, un istante
diritto, ben orientato».

L’insegnamento successivo è il «meditare come l’oceano»: Il giovane aveva già passato lunghe ore in
riva all’Atlantico e conosceva l’arte di accordare il proprio respiro al grande respiro delle onde,
ma adesso aveva acquisito radicamento e stabilità e si sentiva come una goccia d’ acqua che
conservava la propria identità e tuttavia sapeva di «essere una» con l’oceano: «Imparò che meditare
è respirare profondamente, è abbandonare al suo corso il flusso e riflusso del respiro» e «apprese
ugualmente che, se vi erano delle onde in superficie, il fondo dell’oceano rimaneva tranquillo. I
pensieri vanno e vengono come schiuma, ma il fondo dell’essere rimane immobile».

Gli viene poi insegnato a «meditare come un uccello»: «Meditare è mormorare come la tortora, lasciar
salire in te quel canto che viene dal cuore… Meditare è respirare cantando». Padre Serafino gli
propone di ripetere, mormorare, canticchiare ciò che è nel cuore di tutti i monaci dell’Athos: Kyrie
eleison, Kyrie eleison, e aggiunge: «Quando i pensieri ti tormentano, ritorna dolcemente a
quell’invocazione, respira più profondamente, tieniti diritto e immobile e incomincerai a conoscere
un inizio di esychía».

Quest’invocazione lo conduce gradualmente verso un profondo rispetto nei confronti di tutto ciò che
esiste e per ciò che è nascosto e si trova alla radice di ogni esistenza. Padre Serafino gli insegna
allora «la meditazione di Abramo», con la quale «noi entriamo in una nuova e più alta coscienza che
si chiama fede, ossia l’adesione dell’intelligenza e del cuore a quel “Tu” che è, che traspare nella
molteplice intimità di tutti gli esseri».

Il giovane viene iniziato ad «un risveglio del cuore»: meditare come Abramo significa infatti
«aderire con la fede a Colui che trascende l’ universo, è praticare l’ospitalità, è intercedere per
la salvezza di tutti gli uomini. è dimenticare se stessi…». L’ultimo insegnamento di Padre Serafino
è «meditare come Gesù»: «Meditare come Gesù è ricapitolare tutte le forme di meditazione che ti ho
insegnato fino ad ora. Gesù è l’uomo cosmico. Sapeva meditare come la montagna, come il papavero,
come l’oceano, come la tortora. Sapeva anche meditare come Abramo».

Il giovane filosofo si ferma sul monte Athos ancora per alcuni mesi e infine ritorna in città, alla
vita di tutti i giorni: «Esteriormente, era un uomo come tutti gli altri. Non cercava di avere
l’aria di un santo. Aveva perfino dimenticato di praticare il metodo d’orazione esicastica,
semplicemente cercava di amare Dio, istante per istante, e di camminare alla sua Presenza».

Questo racconto ha il pregio di raccogliere in poche pagine i grandi temi della tradizione
esicastica: il ritiro dal mondo, l’attenzione al respiro, la ripetizione della preghiera e
l’apertura del cuore.

– Il tema del ritiro ci riconduce ai Padri del deserto, che vivevano in perfetta solitudine e
silenzio, lontani dalla confusione e dalle distrazioni, e utilizzavano la fuga dal mondo come punto
di partenza verso la salvezza: nel deserto il silenzio esteriore diventava gradualmente silenzio
interiore, lo stato mentale che apriva la porta all’esychía, alla pace di Dio.

– Il tema del respiro è particolarmente approfondito dai monaci bizantini, che consideravano
indispensabile la partecipazione del corpo alla preghiera:

«Seduto in un angolo, in disparte, in una cella tranquilla, fai ciò che ti dico: chiudi la porta ed
eleva la mente al di sopra di ogni cosa vana ed effimera, poi, appoggiando la barba sul petto e
volgendo l’occhio del corpo e quello della mente al centro del ventre, altrimenti detto ombelico,
comprimi l’aspirazione d’aria che passa per il naso in modo da sospendere la respirazione ed esplora
mentalmente l’interno delle tue viscere per trovarvi l’ anima» (Niceforo l’Eremita, Monte Athos)

e ancora, nella Filocalia:

«Per mezzo di questo trattenere misurato del respiro anche tutte le altre potenze dell’ anima si
congiungono e ritornano all’intelletto e con l’intelletto a Dio, il che è davvero mirabile».

– Il tema della ripetizione del Nome, della preghiera del cuore, percorre tutta la tradizione
esicastica, dai Padri del deserto ai giorni nostri: esiste qualche variante nelle tecnica, ma lo
spirito rimane lo stesso. Gli esicasti si inseriscono nella tradizione cristiana secondo la quale
ripetere il nome di Gesù significa essere alla sua Presenza: il fine della preghiera del cuore è lo
stato di preghiera continua, che corrisponde all’unione con Dio: San Cassiano ricorda che

«il fine che il monaco si propone e la perfezione del cuore consistono in una ininterrotta
perseveranza della preghiera. Per quanto è dato alla fragilità umana, si tratta di una tensione
verso la tranquillità immobile dell’ anima e verso una purezza eterna»

e Gregorio Palamas scrive:

«Pregare incessantemente, invocare il nome di colui che è nostra Salvezza e nostra Luce, e diventare
partecipi della sua natura divina: questo in breve il fine della preghiera del cuore».

Il cuore è per gli esicasti il luogo privilegiato, che accoglie la presenza di Dio: il respiro e la
preghiera lo risvegliano e lo rendono capace di sensibilità e di amore nei confronti di tutto il
mondo: «Domanda: quand’è che l’uomo conosce che il suo cuore è giunto alla purezza? Risposta: quando
considera buoni tutti gli uomini, e quando nessun uomo gli sembra impuro e sudicio. Allora egli è
veramente puro di cuore» (Isacco il Siro, Trattati ascetici).

A conclusione di questa breve esposizione, mi sembra interessante considerare le affinità che
esistono tra la meditazione esicastica e quella yoga, non solo nei mezzi utilizzati, ma anche nello
spirito stesso che le anima e le sostiene. La forte somiglianza tra le tecniche psico-fisiche
dell’esicasmo e quelle dello yoga è riconosciuta da Mircea Eliade, che arriva a stabilire
l’esistenza di un problema vero e proprio; gli studiosi sono infatti incerti se proporre
un’influenza diretta dell’antico Oriente sull’esicasmo o ipotizzare una riscoperta spontanea di
preliminari ascetici e modi di preghiera.

Le analogie sono evidenti. Il ritirarsi seduti, in una cella tranquilla, come raccomandano i monaci
del Monte Athos, richiama facilmente il celebre versetto della Hathayoga-pradîpikâ:

«Chi si accinge a praticare lo Yoga deve porsi al centro di una piccola cella solitaria, libera da
rocce, acqua e fuoco»

L’attenzione al controllo del respiro e ai suoi effetti sul piano mentale ci riporta al prânâyâma,
mentre la ripetizione del Nome corrisponde alla ripetizione del mantra nella tradizione orientale;
il tema del cuore, fondamentale nell’esicasmo, è ben presente anche nella fisiologia mistica
indiana, quale anâhata- chakra, il centro psico-fisico, il cui risveglio è caratterizzato da un
sentimento di amore universale per tutti gli esseri..

Su un piano meno tecnico possiamo infine notare come entrambe le tradizioni spirituali si presentano
come vie di salvezza per liberare l’uomo dalla sofferenza: guidano il praticante attraverso un
cammino ascetico graduale e articolato, che utilizza il corpo come strumento di trasformazione
interiore, e permette di raggiungere l’unione con il Divino, l’estasi.

Simona Lucchini pratica yoga da vent’anni e lo insegna dal 1994. Da tempo è impegnata ad
approfondire l’integrazione fra le tecniche yoga e la psicanalisi.

digilander.libero.it/esicasmo/ESICASM/lucchini.htm

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