Cosmologia vedica e Bhagavatam

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Cosmologia vedica e Bhagavatam
TOVP Temple of the Vedic Planetarium - Mayapur, India
TOVP Temple of the Vedic Planetarium – Mayapur, India
Cosmologia e Astronomia vedica del Bhagavata Purana


compilazione di Marco Stefanelli, Ph.D. Indovedic Psychology

traduzione e impaginazione di Alan Perz

altri autori e fonti varie in fondo alla pagina

 

Mappa globale dei “Cieli” Materiali e Spirituali


La Cosmologia del Bhagavata Purana

by Richard L. Thompson

 

Panoramica

La mente umana anela naturalmente a curiosare e capire l’universo e la posizione dell’uomo in esso. Oggi gli scienziati si basano su potenti telescopi e computer sofisticati per formulare teorie cosmologiche. In passato la gente traeva le proprie informazioni dai tradizionali libri di saggezza. I seguaci dell’antica cultura indiana, per esempio, hanno imparato a conoscere il cosmo dalle Scritture come il Bhagavatamdetto anche Srimad Bhagavatam o Bhagavata Purana. Ma le descrizioni dell’universo del Bhagavatam spesso vengono confuse o male interpretate dai moderni studenti della letteratura vedica. Qui lo scienziato del Bhaktivedanta Institute, Dr. Richard Thompson, suggerisce un quadro di riferimento per comprendere le descrizioni del Bhagavatam comparabili con le nostre esperienze e le moderne scoperte.

Jambudvipa e la base del Monte Meru


Jambudvipa
: Il Bhagavatam narra che l’universo materiale si trova all’interno di una serie di gusci sferici e che è diviso in due da un piano terreno chiamato Bhu-mandala. Una serie di dvipas, o “isole” e gli oceani costituiscono Bhu-mandala. Nel centro di Bhu-mandala c’è l’isola circolare di Jambudvipa (nella figura), la cui caratteristica più importante è la forma a cono del Monte Meru.

La figura mostra una visione ravvicinata di Jambudvipa e la base del Monte Meru.

Il Bhagavatam presenta una concezione geocentrica del cosmo. A prima vista questa cosmologia può sembrare strana, ma uno sguardo più attento rivela che non solo la cosmologia del Bhagavatam descrive il mondo della nostra esperienza, ma presenta anche una fotografia cosmologica molto più grande e più completa. Mi spiego meglio.

La modalità di rappresentazione del Bhagavatam è molto diversa rispetto ai familiari metodi moderni. Anche se la “Terra” del Bhagavatam (a forma di disco Bhu-mandala) può sembrare irrealistica, dopo un attento studio mostra che il Bhagavatam usa Bhu-mandala per rappresentare almeno quattro modelliragionevoli e coerenti:

(1) una mappa polare di proiezione del globo terrestre,
(2) una mappa del sistema solare,
(3) una mappa topografica dell’Asia centro-meridionale, e

(4) una mappa del regno celeste, degli esseri celesti.

Caitanya Mahaprabhu osserva: “In ogni versetto del Bhagavatam e in ogni sillaba, ci sono vari significati.” (Caitanya-caritamrita, Madhya 24,318)

Questo sembra essere vero, in particolare, nella sezione cosmologica del Bhagavatam, ed è interessante vedere come possiamo far emergere e chiarire alcuni dei significati con riferimenti alla moderna astronomia.

Figura 1

 

Quando una struttura viene utilizzata per rappresentare diversi elementi in una mappa composita può presentare delle contraddizioni. Ma queste non causano difficoltà se si capisce l’intento sottostante. Possiamo fare un parallelo con alcuni dipinti medievali raffiguranti varie parti di una storia in una composizione. Ad esempio, la pittura di Masaccio “Il Tributo” (Figura 1) mostra San Pietro in tre parti di una storia biblica. Lo vediamo prendere una moneta da un pesce, parlare a Gesù, e pagare un esattore delle tasse. Dal punto di vista letterale risulta contraddittorio avere San Pietro a fare tre cose in una sola volta, ma ogni fase del racconto biblico ha un senso nel proprio contesto.

Figura 2

 

Un dipinto simile dell’India (Figura 2) mostra tre parti di una storia di Krishna. Tali dipinti contengono apparenti contraddizioni, come le immagini di un personaggio in diversi posti, ma una persona che capisce la trama intrinseca non verra’ disturbata da ciò. Lo stesso vale per il Bhagavatam, che utilizza un modello per rappresentare diverse caratteristiche del cosmo.

 

Il Bhagavatam Immagine a prima vista

 

Il Quinto Canto del Bhagavatam racconta di innumerevoli universi. Ognuno è contenuto in un guscio sferico circondato da strati di materia elementare che segnano il confine tra lo spazio materiale e il mondo spirituale illimitato.

 

Figura 3

 

La regione all’interno del guscio (Figura 3) si chiama Brahmanda, o “Uovo di Brahma”. Esso contiene un disco di terra o piano chiamato Bhu-mandala che la divide in una metà superiore celeste e una metà inferiore sotterranea, riempita di acqua. Bhu-mandala è diviso secondo una serie di caratteristiche geografiche, tradizionalmente chiamate dvipas, o “isole” varshas, o “regioni”, e oceani.

 

Figura 4

 

Nel centro di Bhu-mandala (Figura 4) c’è l’isola circolare di Jambudvipa, con nove suddivisioniVarsha. Queste includono Bharata-Varsha, che può essere inteso in un certo senso, come l’India e in un altro, la superficie complessiva abitata dagli esseri umani. Nel centro di Jambudvipa si trova la forma conica del Monte Sumeru che rappresenta l’asse del mondo ed è sormontato dalla città diBrahma, il creatore universale.
Per qualsiasi persona colta e moderna ciò può sembrare fantascienza. Ma è così?
Prendiamo in considerazione i quattro modi di interpretare le descrizioni del Bhu-mandala nel Bhagavatam.

 

Figura 5

 

Iniziamo a considerare l’interpretazione di Bhu mandala come un planisfero o una proiezione della mappa polare del globo terrestre. Questo è il primo modello del Bhagavatam. Una proiezione stereografica è un antico metodo di mappatura a punti di una superficie sferica su un piano. Possiamo usare questo metodo per mappare un moderno globo terrestre su un piano, la conseguente proiezione piana viene chiamata planisfero (Figura 5).

 

Figura 6

 

Allo stesso modo possiamo visualizzare Bhu mandala come una proiezione stereografica di un globo (Figura 6).

 

In India tali globi esistono. Nell’esempio qui illustrato (figura 7) la superficie tra l’equatore e l’arco montuoso è Bharata-varsha, corrispondente alla grande India. L’India è ben rappresentata, ma a parte un paio di riferimenti a luoghi limitrofi, questo globo non dà una mappa realistica della Terra. Il suo scopo era soprattutto astronomico piuttosto che geografico.

 

Figura 7

 

Anche se il Bhagavatam non descrive esplicitamente la terra come un globo, lo fa indirettamente. Ad esempio si osserva che la notte prevale diametralmente opposta ad un punto in cui è giorno. Analogamente il sole tramonta in un punto opposto a dove sorge. Pertanto, il Bhagavatam non presenta l’ingenua visione della Terra piatta.

 

Possiamo comparare Bhu-mandala con uno strumento astronomico chiamato astrolabio, molto popolare nel Medioevo. Sull’astrolabio, un cerchio decentrato rappresenta l’orbita dell’eclittica del sole. La Terra è rappresentata in proiezione stereografica su un piano piatto, denominato mater. Il cerchio dell’eclittica e di importanti stelle sono rappresentati su un altro piano, chiamato rete. Diverse orbite planetarie possono essere anche rappresentate da diversi piani, e queste sarebbero visualizzate proiettate sul piano Terra guardando verso il basso sullo strumento.
Il Bhagavatam presenta allo stesso modo le orbite del Sole, della Luna, dei pianeti, e di altre importanti stelle su una serie di piani paralleli al Bhu-mandala.
Vedendo Bhu-mandala come proiezione polare si ha un esempio di come la Terra non sia rappresentata piatta.

 

Figura 8

 

Bhu-mandala come una mappa del sistema solare

 

Ecco un altro modo di osservare Bhu-mandala che dimostra anche di non essere un modello di Terra piatta.
Le descrizioni di Bhu-mandala hanno caratteristiche che la identificano come un modello di sistema solare. Nella sezione precedente abbiamo interpretato Bhu mandala come mappa planisferica. Ma ora lo interpreteremo come letteralmente piano. Quando facciamo questo, sembra in un primo momento che siamo di nuovo alla ingenua Terra piatta, con la volta celeste sopra e i mondi infernali sotto.

 

Gli studiosi Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend hanno effettuato uno studio approfondito dei miti e delle tradizioni ed hanno concluso che la cosiddetta Terra piatta dei tempi antichi in origine rappresentava il piano dell’eclittica (l’orbita del sole) e non la Terra su cui ci troviamo. Successivamente, secondo de Santillana e la Von Dechend, l’originale comprensione cosmica della Terra fu apparentemente perduta, e la Terra sotto i nostri piedi fu considerata come una lastra piana. Anche in India, la terra dei Purana è stata spesso considerata come letteralmente piatta. Ma le indicazioni fornite nella Bhagavatam dimostrano che la sua cosmologia è molto più sofisticata.

 

Non solo il Bhagavatam utilizza il modello dell’eclittica, ma si scopre che il disco di Bhu-mandala corrisponde in dettaglio al sistema solare (Figura 8). Il sistema solare è quasi piatto. Il Sole, la Luna e i cinque tradizionali pianeti da Mercurio a Saturno attraversano tutti un’orbita quasi sul piano dell’eclittica. Così Bhu-mandala si riferisce a qualcosa di piatto, ma che non è la Terra.

 

Figura 9

 

Una caratteristica sorprendente delle descrizioni del Bhagavatam ha a che fare con la dimensione. Se confrontiamo Bhu-mandala con la Terra, il sistema solare fino a Saturno, e la Via Lattea, Bhu-mandala corrisponde esattamente al sistema solare, sebbene radicalmente diverso nelle dimensioni dalla Terra e la galassia. Inoltre, le strutture di Bhu-mandala corrispondono alle orbite planetarie del sistema solare (Figura 9).

 

Figura 10

 

Se confrontiamo gli anelli di Bhu-mandala con le orbite di Mercurio, Venere (Figura 10), Marte, Giove e Saturno, troviamo diversi allineamenti stretti che danno peso all’ipotesi che Bhu-mandala sia stato deliberatamente concepito come una mappa del sistema solare.
Fino a tempi recenti, gli astronomi generalmente hanno sottovalutato la distanza dalla Terra al Sole. In particolare, Claudio Tolomeo, il più grande astronomo dell’antichità classica, ha sottovalutato seriamente la distanza Terra-Sole e le dimensioni del sistema solare. È evidente, quindi, che le dimensioni di Bhu-mandala nel Bhagavatam siano coerenti con quelle moderne sulle dimensioni dell’orbita del Sole e il sistema solare nel suo complesso.
[Cfr BTG, novembre / dicembre 1997.]

 

Jambudvipa come una mappa topografica dell’Asia centro meridionale

 

Jambudvipa, il fulcro centrale di Bhu-mandala, può essere inteso come una mappa topografica della zona di parte dell’Asia centro-meridionale. Questa è la terza delle quattro interpretazioni di Bhu-mandala. Nell’interpretazione planisferica, Jambudvipa rappresenta l’emisfero settentrionale del globo terrestre. Ma le caratteristiche geografiche dettagliate di Jambudvipa non corrispondono alla geografia dell’emisfero settentrionale. Essi, tuttavia, corrispondono a una parte della Terra.

 

Figura 11

 

Sei catene montuose orizzontali e due dividono Jambudvipa in nove regioni, o varshas (Figura 11). La regione più meridionale è chiamata Bharata-Varsha. Studi accurati hanno dimostrato che questa mappa corrisponde all’India più alcune aree contigue dell’Asia centro-meridionale. Il primo passo di questa interpretazione è quello di osservare che il Bhagavatam assegna molti fiumi dell’India al Bharata-Varsha. Così il Bharata-Varsha rappresenta l’India. Lo stesso si può dire di molte montagne del Bharata-Varsha. In particolare, il Bhagavatam pone l’Himalaya a nord di Bharata-Varsha in Jambudvipa (Figura 11).

 

Uno studio dettagliato di fonti puraniche permette alle altre catene montuose di Jambudvipa di essere identificate con le catene montuose della regione nord dell’India. Anche se questa regione comprende alcuni dei paesi più desolati e montuosi nel mondo, è stata comunque molto importante nei tempi antichi. Per esempio, la famosa Via della Seta attraversa questa regione. Le montagne del Pamir possono essere identificate con il Monte Meru e Ilavrita-Varsha, la regione piatta nel centro di Jambudvipa. (Si noti che il Monte Meru non rappresenta l’asse polare in questa interpretazione.)
Altri Purana danno maggiori dettagli geografici che supportano questa interpretazione.

 

Bhu-mandala come mappa del Regno Celeste dei Deva

 

Possiamo anche interpretare Bhu mandala come una mappa del regno celeste, degli esseri celesti, o deva. Una caratteristica curiosa di Jambudvipa è che il Bhagavatam descrive tutte le altre varshas del Bharata-varsha come regni celesti, dove gli abitanti vivono per diecimila anni senza soffrire. Ciò ha indotto alcuni studiosi a pensare che gli indiani le utilizzino per immaginare le terre straniere come paradisi celesti. Ma il Bhagavatam si riferisce ai popoli barbari di fuori dell’India, come Unni, Greci, Turchi e Mongoli, che si pensava vivessero come in paradiso. Un modo per aggirare la questione è quello di supporre che Bharata-Varsha includa l’intero globo terrestre, mentre gli altri otto varshas si riferiscano a regni celesti al di fuori della Terra. Si tratta di una comprensione comune in India.

 

Ma la spiegazione più semplice, per le caratteristiche celesti di Jambudvipa, è che Bhu-mandala sia stato destinato anche a rappresentare il regno dei deva. Come per le altre interpretazioni che abbiamo considerato, anche questa si basa su un insieme di punti reciprocamente coerenti nella cosmologia del Bhagavatam.

 

Prima di tutto, prendiamo in considerazione le grandi dimensioni delle montagne e delle aree territoriali in Jambudvipa. Ad esempio, l’India si dice che sia 72.000 miglia (9.000 yojana) da nord a sud, o quasi tre volte la circonferenza della Terra. Allo stesso modo, l’Himalaya si dice che sia alta 80.000 miglia.

 

Figura 12

 

La popolazione indiana dei tempi antichi usava andare in pellegrinaggio a piedi da un capo all’altro dell’India, quindi sapeva quanto era grande. Perché allora il Bhagavatam dà tali distanze non realistiche? La risposta è che in Jambudvipa tutto viene moltiplicato come in un modello di regno celeste, in cui tutto è rappresentato in scala sovrumana. Il Bhagavatam ritrae gli esseri celesti e altri esseri divini che abitano questo regno come altrettanto grandi. Figura 12 mostra Siva in proporzione all’Europa, secondo un testo del Bhagavatam.

 

Figura 13

 

Perché il Bhagavatam descrive Jambudvipa sia come parte della Terra che parte del Regno celeste? Perché c’è una connessione tra i due. Per capire meglio consideriamo l’idea di mondi paralleli. Con siddhi, o poteri e perfezioni mistici, si possono prendere scorciatoie attraverso lo spazio. Questo è illustrato da una storia dal Bhagavatam in cui il mistico yogini Citralekha rapisce Aniruddha dal suo letto in Dvaraka e lo trasporta misticamente ad una città lontana (Figura 13).

 

Oltre che per spostarsi da un luogo ad un altro nello spazio ordinario, le siddhi mistiche consentono di viaggiare nell’etere onnipervadente o per entrare in un altro continuum. L’esempio classico di un continuum parallelo è il Regno trascendentale di Krishna in Vrindavana, definito illimitatamente espansivo e di esistere in parallelo alle terre di Vrindavana in India.

 

Figura 14

 

La letteratura sanscrita abbonda di storie di mondi paralleli. Ad esempio il Mahabharata racconta la storia di come la principessa Naga Ulupi rapì Arjuna mentre faceva il bagno nel fiume Gange (Figura 14). Ulupi non affondò Arjuna nel letto del fiume, come ci aspetteremmo, ma nel regno dei Naga (esseri simili a serpenti celesti), che esiste in un’altra dimensione.

 

Il viaggio mistico spiega come il mondo dei deva sia collegato con il nostro mondo. In particolare spiega come Jambudvipa, il regno celeste deva, sia connesso con il Jambudvipa della Terra o parte della Terra. Così il duplice modello di Jambudvipa ha senso nei termini di comprensione puranica dei siddhi.

 

 

Osservazioni conclusive:

 

La dimensione verticale nel Bhagavata Cosmologia

 

Per secoli la cosmologia del Bhagavatam è sembrata incomprensibile alla maggior parte degli osservatori, incoraggiando molte persone a respingerla sommariamente o accettarla letteralmente con fede cieca. Se prendiamo alla lettera la cosmologia del Bhagavatam non solo si differenzia dalla moderna astronomia, ma ancora più si rilevano contraddizioni interiori e violazioni del buon senso comune. Proprio queste contraddizioni, tuttavia, indicano la via per una diversa comprensione della cosmologia Bhagavata in cui emerge un sistema profondo e scientificamente sofisticato di pensiero. Le contraddizioni sono causate dalla sovrapposizione di interpretazioni auto-consistenti che utilizzano gli stessi elementi testuali per esporre idee diverse.

 

Ognuna delle quattro interpretazioni che ho presentato merita di essere presa in considerazione perché ognuna è supportata da molte parti dei testi che sono coerenti tra loro e in accordo con l’astronomia moderna. Ho applicato l’approccio sensibile al contesto o multi-aspetto, in cui lo stesso soggetto ha significati diversi in contesti diversi. Questo approccio consente di memorizzate una grande quantità di informazioni in un’immagine o un testo e ridurre il lavoro richiesto all’artista o allo scrittore. Allo stesso tempo ciò significa che questo lavoro non può essere preso alla lettera come modello di realtà uno-ad-uno e richiede allo spettatore o al lettore di comprendere le diverse pertinenze dei contesti. Tutto ciò può risultare difficoltoso quando la conoscenza del contesto viene dimenticata per lungo tempo.

 

Nel Bhavagatam l’approccio sensibile al contesto è stato reso particolarmente appropriato dalla convinzione che la realtà, in ultima analisi, sia avak-manasam o al di là della portata della mente condizionata o delle semplici parole. Questo implica l’irraggiungibilità di un modello letterale uno-ad-uno della realtà ma che però permette di descrivere i vari significati possibili all’interno di una descrizione necessariamente incompleta dell’universo. La cosmologia del Bhagavata Purana è un sofisticato sistema di pensiero, con più livelli di significato, sia fisici che metafisici. Esso combina comprensione pratica dell’astronomia con le concezioni spirituali per produrre un quadro significativo dell’universo e della realtà.

 

Richard L. Thompson ha conseguito il dottorato di ricerca in matematica presso la Cornell University. È autore di diversi libri, di cui Misteri del Sacro universo è il più recente.

 

 

“O Brahma, Io sono questa Persona Suprema, che esisteva prima della creazione, quando nient’altro esisteva eccetto Me stesso, e quando la causa della creazione, la natura materiale, non era ancora manifestata. Io sono Colui che tu vedi ora, Dio, la Persona Suprema, e sono anche Colui che continuerà ad esistere dopo la distruzione.”
(SB. 2.9.33)

 

 

L’Universo di Krishna

 

di T. Valentinuzzi

I Veda sono un’eredità preziosa dell’India. Il termine “Veda” significa “conoscenza” e include anche la conoscenza astronomica. In molte fonti vediche si può notare l’importanza attribuita all’osservazione del cielo e al calcolo delle posizioni del Sole e della Luna, dei principali pianeti e delle stelle.

Ma nella storia dell’astronomia occidentale è stato quasi del tutto trascurato il contributo indovedico, spesso ignorato perché considerato ascientifico e mitologico o postulando che attingesse alla tradizione greco-babilonese e che, quindi, non costituisse un apporto originale. In realtà ci sono tracce, talvolta evidenti e talvolta nascoste nella poesia, di una profonda conoscenza astronomica racchiusa nei Veda in generale e in alcune loro sezioni in particolare.

 

Secondo l’attuale ricerca scientifica, l’universo è una distesa immensa di milioni di galassie che interagiscono tramite l’attrazione gravitazionale. E’ così vasto che un raggio luminoso lo attraversa tutto in circa tredici miliardi di anni. Alcune cosmologie che si avvalgono della teoria delle superstringhe (un nuovo metodo di concepire l’origine dell’universo) affermano che il nostro non è l’unico universo, ma che esistono “grappoli di universi”. La Terra è un infinitesimale e fragile globo che si muove all’interno di questa vastità senza confini. Ebbene, è ciò che anche i Veda tramandano da millenni. Nel Bhagavata Purana, un’opera vedica risalente a 5.000 anni fa, leggiamo che “tutti gli universi sono raggruppati insieme e sembrano un’enorme agglomerato di particelle” (BP 3.11.41), oppure che “ci sono innumerevoli universi oltre al nostro e, benché siano estremamente estesi, si muovono come atomi in Te” (BP 6.16.37); inoltre in innumerevoli passi si afferma che il pianeta Terra è solo uno dei tanti pianeti, cosa che ipotizzarono anche Democrito, Epicuro e Giordano Bruno. La moderna ricerca sul fondo cosmico di microonde che pervade il nostro universo ha constatato che la formazione delle strutture cosmiche è avvenuta grazie a una serie di note “sonore” armoniche; che siano forse le stesse note del flauto di Krishna, che sono la matrice sonora generatrice di tutta la manifestazione cosmica secondo la tradizione vedica? Ancora più affascinante risulta essere il racconto dei momenti iniziali della vita di Brahma, primo essere creato secondo la cosmogonia vedico-puranica e demiurgo creatore della varietà universale; appena venuto al mondo sopra il fiore di loto che spuntava dall’ombelico di Vishnu (Dio, La Persona Suprema) si guarda intorno e vede l’immensa distesa di un “fluido primordiale” simile ad un oceano (BP 2.9.1-10). Anche questa descrizione è estremamente simile a quella che ci potremmo aspettare nei primi momenti di vita dell’universo secondo la recentissima teoria cosmologica basata sulla materia oscura fredda con costante cosmologica; è solo una coincidenza?

 

Nell’affrontare lo studio delle scritture vediche, e specialmente di quelle parti che presentano contenuti di carattere scientifico, è opportuno liberarsi dai preconcetti di superiorità nei confronti degli antichi, perché potrebbero impoverire un’analisi dalla quale si può attingere grande saggezza e verità . Gli antichi saggi vedici svilupparono le scienze astronomiche, mediche, del linguaggio, dell’architettura e della spiritualità in modo straordinariamente approfondito e preciso, tanto che ancora oggi sono tutt’altro che superati; antichi non è sinonimo di primitivi.

 

 

La scienza del tempo

 

Per millenni l’uomo si è chiesto che cosa sia il tempo e che tipo di influenza abbia sulla vita dell’uomo. Nell’era moderna gli scienziati hanno trattato in profondità l’argomento, ma sono ancora ben lontani dall’afferrare completamente il significato del tempo. Per alcuni è solo una successione di istanti o, in altre parole, un sistema di riferimento, un’illusione; per altri è l’essenza stessa dell’universo. Aristotele affermava che il tempo è lo studio del movimento nella prospettiva “del prima e del poi”; Einstein ha introdotto il concetto di inseparabilità e relatività di spazio e tempo ma diceva che “il tempo non è nella fisica, non può essere oggetto di scienza”; Bergson confermava che il tempo è un soggetto troppo complesso per la scienza. Il grande fisico russo e premio Nobel Ilya Prigogine spiega la natura del tempo introducendo nella fisica il concetto di irreversibilità come indicatore della freccia del tempo, o della sua direzione univoca. In fisica un fenomeno si dice irreversibile quando non è possibile riportare allo stato iniziale un sistema reale senza un intervento energetico dall’esterno. Prigogine commenta: “…per me, l’uomo fa parte di questa corrente di irreversibilità che è uno degli elementi essenziali, costitutivi dell’universo.” Egli considera l’irreversibilità, l’unidirezionalità dei processi fisici e quindi del tempo, come principio creatore od organizzatore delle strutture del macrocosmo e del microcosmo; sostiene infatti che “dobbiamo considerare il tempo ciò che conduce all’uomo e non l’uomo come creatore del tempo”.

 

Negli scritti vedici tali concetti sono trattati in modo piuttosto approfondito. Uno dei risultati della teoria della relatività di Einstein è che il tempo appare essere più lento per corpi che viaggiano a velocità molto elevate, prossime a quella della luce; il tempo non è dunque un’unità di misura fissa, ma è variabile o relativo. Un esempio di questa “dilatazione del tempo” si trova nel Bhagavata Purana (9.3.30-32) quando si narra di un uomo che volle raggiungere i pianeti celesti per porre alcune domande al Creatore; si fermò per venti minuti ma, quando ritornò sulla Terra, erano passati millenni e non vi ritrovò né familiari né amici. Questo Purana ci informa allora che ci sono diverse scale temporali in diversi luoghi dello spazio cosmico e spiega anche che “Il tempo elementare viene misurato secondo lo spazio atomico che copre….” (3.11.4), stabilendo in modo inequivocabile la stessa stretta connessione fra spazio e tempo elaborata dalla teoria di Einstein, oggi formalmente riconosciuta.

 

Nella Bhagavad-Gita (11.32), la più famosa tra le Upanishad vediche, Krishna spiega: “Io sono il Tempo, il grande distruttore dei mondi”; viene qui indicata l’importanza del fattore tempo e del suo ruolo nella creazione. Il Tempo consuma le cose di questo mondo, compresi i nostri corpi che sono inesorabilmente destinati a morire. Il tempo è la sorgente di tutti i movimenti, è il supremo controllore del tri-guna , le tre energie che in-formano l’universo. Il tempo ha quindi vita propria separata dall’universo; anzi ne è all’origine, è la matrice che lo sostiene e che gli dà vita e significato.

 

 

L’Astronomia vedica

 

Gli scritti vedici sono una fonte inesauribile di importanti indicazioni che i grandi saggi del passato hanno elaborato, ma soprattutto, come vuole la tradizione, vissuto e realizzato. La presenza nei Veda di concetti astronomici che sono considerati attualmente di una certa modernità è piuttosto frequente e se ne può dedurre che, nell’antichità vedica, c’era un vivo interesse per la ricerca e l’osservazione scientifica.
Il Bhagavata Purana riporta l’interessante descrizione di una montagna circolare che si trova a 125.000.000 di yojana dalla Terra (circa 1 miliardo e mezzo di chilometri) e che distingue la parte del sistema solare illuminata dal Sole da quella non illuminata. “Poi, oltre l’oceano di acqua dolce, esiste una montagna che lo circonda completamente e che si chiama Lokaloka; essa divide le zone piene di luce da quelle non illuminate dal Sole” (BP 5.20.34); essa si troverebbe proprio tra Saturno e Urano, l’ultimo pianeta del nostro sistema solare a non essere visibile a occhio nudo in cielo e, quindi, “non illuminato dal Sole”.

 

L’Aitareya Brahmana (3.44) dichiara: “In realtà il Sole non sorge e non tramonta mai… poiché quando arriva la fine del giorno produce due effetti opposti, crea la notte per quelli che stanno sotto e il giorno dall’altra parte. Raggiunta la fine della notte crea il giorno per quelli che stanno sotto e la notte dall’altra parte”. Similmente, nella Satapatha Brahmana (1.6.1-3), troviamo: ”…dato che mentre i primi stanno ancora arando e seminando, gli altri stanno già raccogliendo e trebbiando… ”. Questi passi esprimono chiaramente l’idea della rotazione della Terra e, quindi, della sua sfericità e sono confermati anche dal Bhagavata Purana (5.21.9): “La gente che vive in regioni diametralmente opposte a dove il Sole si vede sorgere, vedranno il Sole tramontare, e se si tira una linea diritta in corrispondenza del Sole a mezzogiorno, nelle regioni nella parte opposta della linea sarà mezzanotte”. Il Visnu Purana presenta inoltre una descrizione del funzionamento del fenomeno delle maree: “In tutti gli oceani la quantità totale di acqua rimane la stessa e non cresce né decresce; ma, come l’acqua in un calderone si gonfia per il calore, così le acque dell’oceano crescono al crescere della Luna. Le acque, benché non aumentino né diminuiscano, si dilatano e si contraggono mentre la luna cresce e cala…”.

 

E’ interessante notare che il Markandeya Purana (54.12) descrive la Terra come schiacciata ai poli e rigonfia all’equatore, indicando che essa non possiede una forma perfettamente sferica (nozione astronomica di una certa attualità…); descrive perfino che la causa del colore azzurro del cielo è la dispersione della luce solare (Markandeya Purana, 78.8, 103.9). Similmente è possibile trovare passi in cui si afferma che il Sole si trova al centro del sistema solare (Markandeya Purana, 106.41) e che l’universo ha avuto origine da una sorta di stato condensato ad altissima temperatura, come milioni di soli estremamente brillanti (BP 3.20.16) e che in seguito c’è stata una sorta di esplosione o espansione (BP 3.10.7), descrizione straordinariamente simile alla famosa teoria del Big Bang.
Il Bhagavata Purana (5.22.1-2) illustra poeticamente il moto relativo dei pianeti e delle stelle in cielo con la metafora delle formiche sulla ruota del vasaio. Poiché sembravano contraddittorie le affermazioni secondo cui il Sole gira con l’asse di rotazione alla sua destra (moto orario) e, a volte, alla sua sinistra (moto antiorario), il grande saggio Sukadeva Goswami, narratore del Bhagavata Purana, spiega che dal punto di vista del moto di rotazione giornaliero della Terra il Sole gira in senso orario, mentre dal punto di vista del suo moto di rivoluzione annuo gira in senso antiorario (rispetto alla Terra).

 

 

Conclusioni

 

Un tempo tre uomini ciechi si avvicinarono a un elefante, cominciarono a toccarlo e a congetturare. Il primo toccò una zampa e disse:” Oh, l’elefante è come un pilastro!”, il secondo toccò la proboscide e disse “Oh, l’elefante è come un serpente!”, mentre l’ultimo toccò il fianco e disse: “Oh, l’elefante è come una grossa nave!”. Chiaramente nessuno dei tre fu in grado di dare una descrizione appropriata dell’elefante, in quanto erano tutti e tre ciechi. Ci troviamo in una situazione simile quando studiamo l’universo; da una parte c’è la limitazione dei sensi (la cecità), dall’altra lo stato mentale (i preconcetti) che ci porta a pensare e valutare in base alla nostra limitata esperienza e ai paradigmi personali. Basti considerare che siamo in grado di percepire solo una piccolissima parte dello spettro elettromagnetico; l’occhio umano vede solo tra 400 e 800 micron circa, una frazione infinitesimale dell’insieme delle vibrazioni elettromagnetiche presenti nel nostro universo. Ma anche in questo range di frequenze i nostri occhi e i nostri preconcetti talvolta ci ingannano; infatti, per esempio, gli oggetti lontani ci appaiono piccoli anche se non lo sono.

 

Oggi, per evitare tali errori, si usano apparecchiature scientifiche sempre più sofisticate e potenti che in parte risolvono questi problemi. Eppure i dati da esse prodotti vengono poi comunque analizzati da esseri umani che sono soggetti agli errori di cui sopra. Si potrebbe dunque concludere che qualunque tipo di scienza umana è limitato in qualche modo dagli strumenti che usa. Poiché i sensi sono collegati alla mente e la mente può proiettare immagini nelle percezioni, spesso vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere e non ciò che c’è veramente di fronte a noi. Come gli uomini ciechi della storia.
La saggezza racchiusa nelle scritture vediche indica l’esistenza, in passato, di una civiltà tutt’altro che primitiva, di una società incentrata sulle pratiche spirituali e sulla ricerca scientifica nei vari campi della conoscenza. La tradizione culturale vedica è olistica a tutti gli effetti, comprende e mette in relazione tutti i campi del sapere; ma, soprattutto, sottolinea con grande enfasi l’importanza della ricerca spirituale e dell’affermazione dei valori della vita e li integra in modo sorprendentemente armonico con la vita di tutti i giorni.

 

Circa trent’anni fa il famoso Swami Bhaktivedanta disse: “La moderna civiltà sembrerebbe fare progressi nella conoscenza scientifica, ma che cos’è la conoscenza scientifica? Essa si concentra soprattutto sui comfort del corpo senza comprendere che, per quanto si possa mantenere confortevolmente il corpo, esso è inesorabilmente destinato alla distruzione.” Egli, pur riconoscendo e apprezzando la conoscenza scientifica a cui siamo abituati e il moderno progresso tecnologico, in quanto rappresentante dei saggi della tradizione vedica, alla quale si collegava tramite la successione di maestri, ricordava al mondo che è la dimensione spirituale a caratterizzare il vero progresso di una civiltà; per questo che i Veda presentano all’interno di dialoghi e racconti edificanti e illuminanti le informazioni di carattere scientifico, che ricevono luce e valore se inserite in un contesto di sviluppo globale dell’individuo.

 

Come spiegate questo declino e cosa impedì di progredire e di tramandare tali conoscenze?

 

Eppure nel VI secolo a.C. Pitagora insegnava ai suoi allievi che la Terra era una sfera, Anassagora spiegava che l’eclissi solare era dovuta al fatto che la Luna oscurava il Sole, se non ricordo male Dante parla di “sfere celesti” nella Divina Commedia e c’è la discesa all’inferno, nel II secolo d.C. Chang Heng descriveva la Terra come un uovo che puntava verso la stella polare e nella Kabbalah si legge: “tutta la Terra gira, come una sfera gira su se stessa. Quando una parte è giù, l’altra parte è su. Quando per una parte c’è luce, per l’altra è oscurità.”

 

Per quale motivo 2000 anni dopo i Sumeri, i Greci e i Romani svilupparono l’idea che la Terra fosse piatta e al centro dell’universo? Fino alla scoperta ufficiale di Galileo…

 

 

Fonti:


BG
Bhagavad-Gita – Bhaktivedanta Book Trust

SB Srimad Bhagavatam – Bhaktivedanta Book Trust

BP Bhagavata Purana – Bhaktivedanta Book Trust

CC
Caitanya Caritamrita – Bhaktivedanta Book Trust

BS Brahma-Samhita – Bhaktivedanta Book Trust

BBT www.bbt.info – Bhaktivedanta Book Trust

UI www.unitedindia.com/cosmology.htm

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