BLEEP: una FAVOLA QUANTICA

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BLEEP: una FAVOLA QUANTICA

di Barbara Stahura

Fantasia e fisica nel film What the bleep Do We Know?!

Se esistesse un film – e questo film fosse addirittura divertente – che contenesse il vero segreto
per una vita felice e appagata, lo vedreste? Se questo stesso film comunicasse il suo messaggio
usando una bella animazione, una trama nella quale identificarsi, e le più recenti teorie di fisica
quantistica, biologia molecolare e spiritualità, lo vedreste? Se questo film vi colpisse in mezzo
agli occhi (in senso buono, ovviamente) dimostrandovi che gli esseri umani sono gli artefici della
propria realtà, lo vedreste?

Se la risposta è sì, sareste in buona compagnia. Un film così esiste e sta ottenendo un grandissimo
seguito. Si intitola What the #$*! Do We Know?!, noto anche come What the Bleep. Proiettato per la
prima volta nei cinema USA nella primavera del 2004, si è poi diffuso in tutto il mondo. [Il film è
>>>ora disponibile completamente doppiato in italiano] Per mesi i cinema hanno registrato il tutto
esaurito, cosa assolutamente incredibile, considerando che l’argomento del film è la natura della
percezione, la realtà, la scienza e la spiritualità. Quest’accoglienza entusiastica non ha, però,
colto di sorpresa Will Arntz, la forza che si cela dietro al film.

Arntz è stato ricercatore di fisica, programmatore e proprietario di due società produttrici di
software di grande successo. Nel frattempo insieme a un amico ha realizzato un film breve, vincitore
di un premio, ha studiato il Buddismo, si è ritirato dalle sue società, ottenendo in cambio un bel
po’ di soldi, e ha cominciato a interessarsi ai più recenti interrogativi della scienza e della
spiritualità. Alla fine degli anni ’90 ha iniziato a pensare di realizzare un film che combinasse
scienza e spiritualità. Come lui stesso afferma: «Ho cominciato a sentire che le persone in tutto il
mondo, milioni e milioni, decine di milioni di persone, stanno cercando questo tipo di informazioni.
Dentro di me sapevo che si trattava di una sensazione reale, e intanto mi dicevo, se non io, chi»?
Da qui è nata la sua collaborazione con Betsy Chasse e Mark Vicente che ha portato alla creazione di
What the Bleep, di cui ha finanziato la produzione con i proventi derivati dalla vendita delle sue
due società.

E tuttavia Arntz è rimasto sorpreso dal senso di comunità che pare si stia formando attorno al film.
«È una specie di parafulmine per tutte le persone interessate a questo genere di argomenti –
afferma. La gente mi dice: “Sono seduto insieme ad altre trecento persone, mentre credevo di essere
il solo a pensarla in questo modo” Ricevo e-mail da persone che tornando a casa dopo avere visto il
film sono scoppiate a piangere. Avevano sempre creduto di essere sole, di essere pazze, che non ci
fosse nessun altro come loro. Per poi scoprire tutta quella gente che condivide la stessa passione».

«C’è un crescente senso comunitario di cui la gente ha un disperato bisogno, – prosegue – ed è
assolutamente sorprendente entrarci dentro. Non mi stupisce che alla gente il film piaccia. Quello
che mi sorprende, e che trovo meraviglioso, è ciò che il film sta facendo sul piano culturale».
Girato a Portland, nell’Oregon, il film ruota attorno ad Amanda, interpretata da Marlee Matlin, una
fotografa divorziata, depressa, che affronta la vita ingollando manciate di ansiolitici. La
splendida animazione mostra la storia su un piano microscopico e molecolare, a volte con effetti
comici. Infine, la parte documentaria del film – brillanti interviste con fisici, un biologo
molecolare, medici, un anestesista, mistici, insegnanti e studiosi – fornisce la base scientifica e
spirituale alla storia di Amanda, che è, naturalmente, la storia dell’umanità.

Tutte queste preziose informazioni arrivano precipitosamente al pubblico durante la programmazione
di What the Bleep, che molti hanno già visto più di una volta. Usando le più avanzate teorie della
fisica quantistica, What the Bleep dimostra che l’intenzione umana influenza la realtà fisica – un
concetto non permesso all’interno della visione meccanicistica e newtoniana della realtà, che
l’umanità segue da molte centinaia di anni. Il film utilizza inoltre le nuove ricerche condotte nel
campo delle neuroscienze e della biologia molecolare, che dimostrano come la chimica e la funzione
del cervello possano, fino ad un certo punto almeno, essere guidate dall’intenzione cosciente. Allo
scopo di approfondire questi concetti, ho parlato con tre degli scienziati che compaiono nel film.

L’intenzione crea la realtà
Secondo il fisico materialista William Tiller, Ph.D., dai tempi di Newton il tacito presupposto
della scienza è che “nessuna qualità umana – coscienza, intenzione, emozione, mente o spirito – è in
grado di influenzare in modo significativo un esperimento obiettivo ben progettato nella realtà
fisica.”

Tuttavia, rigorosi esperimenti condotti da Tiller e molti altri negli ultimi decenni hanno
“pesantemente confutato questo presupposto”. In effetti, molti esperimenti di questo tipo dimostrano
chiaramente che noi esseri umani contribuiamo davvero alla creazione della nostra realtà, e non in
un qualche modo strampalato, new-age, ma in un modo serio, concreto, fondato sui più importanti
pilastri della creazione materiale, così come ci è stata rivelata dalla fisica.

«L’intenzionalità è il sentiero che conduce alla creazione – spiega – e il fatto che “la natura
abbia molte più dimensioni di quelle che noi siamo in grado di immaginare, molte di più dei semplici
spazio/tempo, mette in luce la possibilità che è in noi di imparare a creare. Tutto quello che
facciamo nella nostra vita quotidiana, ogni singola cosa, è un atto creativo».

In effetti, come Tiller afferma in What the Bleep: «Io sono molto più di quello che credo di essere.
Posso influire sul mio ambiente, sulle persone, sullo spazio stesso, sul mio futuro».

Esprimendo nel film la sua convinzione che “il nostro scopo, qui, sia quello di imparare il potere
della intenzionalità” aggiunge: «Noi contribuiamo alla creazione del nostro futuro in ogni istante,
insieme, e se davvero riusciremo a comprendere che stiamo influendo sulla nostra realtà e
applicheremo le nostre intenzioni per realizzare un certo cambiamento, e lo faremo insieme, allora,
mi creda, il mondo cambierà. Tutto [lo “status quo” ndr] andrà a rotoli molto velocemente».

Anche Fred Alan Wolf, Ph.D., è un fisico quantico, oltre ad essere scrittore ed ex-docente
dell’Holmes Institute. Il suo interesse per la fisica nacque quando, giovanissimo, vide un
cinegiornale su un esperimento atomico. La sua prima formazione nel campo della fisica lo portò alla
fisica quantistica, che lo ha condotto, egli sostiene: «Nella mente e nella coscienza, di cui la
fisica quantistica è parte integrante, nella trasformazione delle realtà probabili in realtà reali e
l’effetto è molto misterioso e sembra avere un ruolo determinante in ogni cosa, da come ci siamo
evoluti al modo in cui impariamo».

Concorda con Tiller circa l’intenzionalità, basata sulle teorie della fisica quantistica, che, egli
afferma: «Mira a una sottile relazione tra la mente e la materia». Se l’effetto fisico quantistico
sul mondo è, egli afferma: «molto difficile da comprendere nel mondo che noi vediamo normalmente,
sicuramente esso influenza il modo in cui noi lo sperimentiamo, anche se non siamo in grado di
capirlo. Secondo la fisica quantistica, non c’è realtà fino a che quella realtà non viene
percepita». (corsivo mio).

Quest’affermazione evidenzia uno dei punti principali del film. La protagonista, Amanda, subisce una
trasformazione personale a mano a mano che gli eventi le mostrano che è lei a creare la propria
realtà. Inizialmente ostile, e incapace di amarsi, Amanda diventa una persona che si ama e che
comprende di avere un ruolo attivo nella propria esperienza esistenziale, il che la condurrà a
prendere decisioni più amorevoli e positive.

Il film, inoltre, esamina il legame tra la fisica quantistica e la metafisica, un tema cui Wolf si è
dedicato per lungo tempo, e oggetto d’interesse di molti dei seguaci del “New Thought”(Nuovo
Pensiero). Wolf afferma che la fisica quantistica è un modo oggettivo di esplorare il mondo fisico
ai suoi livelli più profondi, attraverso la matematica e la sperimentazione, mentre la metafisica
giunge al significato della realtà nella sua totalità. «In altre parole, la metafisica è la
struttura sovrapposta alla realtà fisica -afferma – Se la fisica è l’ossatura, allora la metafisica
fornisce il tessuto, la carne e il corpo».
E tuttavia nonostante tutto quello che la fisica quantistica ci ha insegnato sull’universo e su noi
stessi, rimane sempre un mistero, e, come afferma nel film: «Il vero trucco del vivere deve essere
in quel mistero».

Cosa significa? Wolf, che ha scritto diversi libri sull’argomento, lo riassume in questo modo:
«Trovarsi nel mistero significa comprendere che viviamo in un mondo che per la limitata intelligenza
umana, se tentiamo di razionalizzare tutte le nostre esperienze, è paradosso e totale confusione.
Perché il mondo è un universo regolato secondo i principi della fisica quantistica, all’interno del
quale una cosa in un determinato momento occupa contemporaneamente un certo luogo e un numero
infinito di luoghi. E tuttavia esiste un ordine esplicito nel paradosso. Il problema è che non ne
possiamo rivelare la totalità. Noi, che esistiamo nel mondo della materia, possiamo soltanto
sovvertire la perfezione di quel paradosso tentando di osservarne lo schema. Paghiamo un caro prezzo
per il nostro mondo materiale. Il prezzo coinvolge la nostra salute mentale. Non siamo in grado di
ordinare completamente le nostre osservazioni. Sembra sempre esserci qualcosa che manca. Questo
sovvertimento dell’ordine di Dio appare ai nostri occhi come il Principio dell’Incertezza. Perciò,
tentando di esistere in ciò che è noto, diventiamo impotenti, ci sentiamo inadeguati, e bramiamo
l’ordine che siamo incapaci di creare nell’universo. Tutto ciò che possiamo fare è andare d’accordo
con le sue regole.

D’altro canto però siamo liberi di decidere cosa fare delle nostre vite. La nostra totale incapacità
di creare un ordine perfetto ci permette di essere creativi. Potremmo dire che il Principio
dell’Incertezza è una lama a doppio taglio. Ci affranca dal passato, poiché nulla può essere
predeterminato. Ci dà la libertà di scegliere come muoverci nell’universo. Ma non possiamo predire i
risultati delle nostre scelte. Possiamo scegliere, ma non possiamo sapere se le nostre scelte
saranno vincenti.
Tutto si riduce a: “essere nel mistero, non nella conoscenza”.

La chimica del cervello fa tutto
Uno dei temi più potenti di What the Bleep è la spiegazione di come funzioni il cervello a livello
chimico, producendo neuropeptidi e altre sostanze che letteralmente portano avanti la baracca. Il
nostro cervello è il motore che alimenta tutto ciò che facciamo – dal respirare e digerire il cibo,
al reagire all’amore e alla rabbia, al decidere se vogliamo prenderci una laurea in storia o suonare
la batteria in un gruppo rock. In altre parole, il nostro cervello è lo strumento per mezzo del
quale noi tiriamo fuori la nostra realtà dal campo quantico delle possibilità. E tutto questo è
fatto per mezzo di reazioni chimiche.

In What the Bleep questo processo è magnificamente illustrato dall’animazione, che rivela la vivace
attività della chimica del cervello degli invitati, durante un matrimonio che Amanda sta
fotografando. Un ulteriore approfondimento viene offerto nel film dal dott. Joseph Dispenza,
chiropratico e studioso delle relazioni tra chimica del cervello e salute fisica.

Parte di ciò che Dispenza e altri spiegano in questa scena non è altro che la dipendenza. Sappiamo
tutti che le persone possono sviluppare una dipendenza verso determinate sostanze come l’alcol o
l’eroina. Solitamente, però, non ci rendiamo conto del fatto che tutti siamo dipendenti dalle nostre
emozioni, che di base non sono altro che reazioni chimiche nel nostro cervello. Che si tratti
dell’eroina, o delle emozioni, entrambe creano delle condizioni chimiche nei nostri corpi che noi
sentiamo la necessità di soddisfare ripetutamente, che è poi il processo della dipendenza. Come
Dispenza afferma nel film: «La dipendenza dalle emozioni non è solo psicologica, ma anche
biochimica».

Ripetendo un processo emozionale più e più volte, il nostro cervello crea reti di neuroni e nervi,
chiamate reti neurali, che guidano il nostro comportamento attraverso il loro funzionamento chimico.
Non riuscite ad avere un legame stabile? Vi piace correre? Vi comportate sempre come se il mondo
stesse tramando contro di voi, o vi dovesse portare la bella vita proprio sulla soglia di casa? Sono
tutti modelli che sviluppiamo sulla base delle nostre esperienze emozionali, che penetrano a fondo
nelle nostre reti neurali attraverso l’azione chimica: «Le cellule nervose che s’innescano insieme
si collegano anche insieme». Ciò spiega perché spesso continuiamo a fare le stesse cose, pur
affermando di voler cambiare.

Fortunatamente è possibile creare nuove reti neurali, spiega Dispenza. Tutto dipende dall’effettuare
delle scelte meditate, consapevoli, anziché limitarsi a reagire per mezzo delle vecchie scelte,
solitamente prese e radicate a livello inconscio. Se effettueremo delle scelte nuove abbastanza
spesso e con sufficiente fermezza, riusciremo a scavalcare le reti neurali esistenti e ne creeremo
di nuove. È per questo motivo che l’affermazione e la visualizzazione possono essere tanto efficaci:
creando consapevolmente nuovi pensieri e imprimendoli nel nostro cervello costruiamo nuove reti
neurali.

Ecco come funziona il processo nel cervello, secondo la neuroscienza, come spiegato nel film da
Dispenza: «Il cervello non conosce la differenza tra ciò che vede e ciò che ricorda. Richiama la
rete neurale della passata esperienza e la usa come modello del presente».

Usando strumenti per l’analisi funzionale del cervello come la PET o la SPECT o la MRI, i
ricercatori hanno sbirciato nei cervelli delle persone dopo che queste avevano guardato un
determinato oggetto, ad esempio una pianta e, afferma Dispenza: «Perciò la persona osserva questa
pianta e i ricercatori vedono la corteccia visiva illuminarsi e, contemporaneamente, i processi
cerebrali e l’esistenza di un determinato schema».

Poi i ricercatori chiedono alla persona di immaginare o visualizzare quella stessa pianta. «E le
stesse regioni del cervello si illuminano, come se la persona stesse realmente vedendo la pianta –
dice – Una reazione che ha stupito i ricercatori. Noi usiamo meccanismi identici per ciò che
percepiamo e per ciò che ricordiamo».
Tutto questo significa, afferma Dispenza, che noi siamo in grado di “dirigere la consapevolezza e
l’energia per creare una nuova realtà.”
Pertanto, quando immaginiamo qualcosa abbastanza a lungo e con sufficienti dettagli ed energia,
facciamo in modo che il nostro cervello “sperimenti” quella cosa come se fosse esattamente di fronte
a noi, creando di conseguenza nuove reti neurali. E, come spiegano Tiller e Wolf, questa intenzione
sposta il campo quantico che inizia a far diventare questo “qualcosa” reale, nel senso materiale del
termine.
Notizie davvero elettrizzanti. Ed è un film divertente e con un nome inverosimile a consegnarle al
mondo.

I messaggi dell’acqua
Una scena di grande impatto di What the #$! Do we Know?! si svolge in una stazione ferroviaria.
Mentre Amanda, la protagonista, sta aspettando il treno, la sua attenzione è attirata da una serie
di poster, fotografie di cristalli d’acqua scattate dal dott. Masaru Emoto, uno scienziato
giapponese. Usando un potente microscopio in una stanza molto fredda, Emoto ha fotografato i
cristalli d’acqua scoprendo una cosa straordinaria: l’acqua reagisce ai pensieri concentrati,
“SPECTifici”, che le vengono rivolti. In sostanza, catturando l’ “espressione” dell’acqua nelle sue
foto, il dott. Emoto ha dimostrato che i pensieri influenzano la realtà fisica. Ad esempio, quando
su un becher [recipiente cilindrico con beccuccio ndr] di acqua veniva attaccato, con del nastro
adesivo, un pezzetto di carta con la scritta “amore e gratitudine”, l’acqua formava dei bei
cristalli simmetrici simili a fiocchi di neve. Mentre l’acqua contenuta in un altro becher con sopra
attaccata la scritta “Mi fai venire la nausea. Voglio ucciderti” non formava alcun cristallo. Al
contrario l’acqua appariva come un orribile accozzaglia di forme incoerenti. Mentre Amanda guarda
meravigliata questi poster, un uomo le si avvicina e le spiega che i nostri corpi sono formati per
il 90% di acqua e afferma: «Se i nostri pensieri riescono ad avere quell’effetto sull’acqua,
immagini cosa possono fare su di noi».
Il dott. Emoto ha pubblicato diversi libri sulle sue scoperte, Messages from Water 1 e 2 e The
Hidden Messages of Water, che contengono una spiegazione dei suoi lavori e le foto di vari cristalli
d’acqua. Il dott. Emoto ha anche esposto l’acqua a parole pronunciate a voce e a vari tipi di
musica. Cosa interessante, l’acqua esposta alla musica classica formava dei bei cristalli, mentre
l’acqua esposta alla musica heavy metal appariva deforme e amorfa.

L’autore:
Barbara Stahura è una scrittrice freelancer (giornalista indipendente) a Tucson, Arizona, USA. Nei
sui scritti ama sopratutto avere un opproccio all’ordinario originale e di trasformazione.
Il suo website è: www.clariticom.com

What the bleep do we Know? (intraducibile se non con: che cosa caspita sappiamo? O che bip-bip
sappiamo?)
Perché è stato scelto questo nome?
Il nome all’inizio è “spuntato” dall’esasperazione dei produttori i quali cercavano una maniera per
unire tutte le informazioni, e gli elementi, in un modo divertente. Poi il film ha preso vita
propria quando abbiamo realizzato: “Cosa sappiamo?” e “Chi siamo per dirti qualcosa?”. Non offriamo
la soluzione definitiva ai misteri della vita ma invitiamo gli spettatori a interrogare loro stessi:
“Cosa conosco”? E a trovare da soli la risposta.
www. whatthebleep.com (a cura della redazione)

Copyright dell’originale – Barbara Stahura. Apparso sulla rivista Science of Mind – Ottobre 2004
Copyright della versione italiana – Scienza e Conoscenza. Per gentile concessione dell’autrice

da www.scienzaeconoscenza.it/articolo/bleep-una-favola-quantica.php

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