Apprendimento e Memoria

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Apprendimento e Memoria

 
Normalmente usiamo solo il 4/5% delle nostre potenzialità mnemoniche e meno del 10% di quelle mentali; possiamo invece usare al meglio la nostra mente conoscendo come funziona e come stimolarla.
 
Con le mnemotecniche subliminali ad infrasuoni ed HRM, quindi con l’utilizzo bilanciato dei nostri due emisferi cerebrali, con il rilassamento fisico e mentale, con le tecniche di concentrazione e gestione dello stress e di controllo della propria emotività possiamo acquisire una consapevolezza vincente.
 
La Memoria 
 
La memoria: che cos’è e come funziona 
 
Più che di memoria, dovremmo parlare di memorie al plurale. Ma che cos’è quella che Baudelaire definì la “madre dei ricordi, padrona delle padrone”, sulla quale gli uomini si interrogano sin dagli albori della storia? Teorie, ipotesi, sguardi.

Le tre fasi della memorizzazione
 
Ogni teoria sulla memoria prende in considerazione tre diversi momenti del processo di memorizzazione: la codifica, la ritenzione e il recupero. Per codifica si intende il modo in cui l’informazione in arrivo è immagazzinata nel sistema; la ritenzione è il modo in cui questa informazione viene conservata nel corso del tempo; il recupero si riferisce al modo in cui l’informazione viene estratta da un sistema. 
Le prime teorie sulla memoria sono attribuibili a Platone che paragonava la memoria umana a morbida cera sulla quale le esperienze imprimevano dei segni. Aristotele parlava invece di “associazioni” per esprimere il concetto per il quale due idee sono associate se il ricordo dell’una è un buon indice di richiamo dell’altra. Agli inizi del secolo vennero formulate le prime teorie davvero psicologiche sulla memoria. Alcuni studiosi consideravano il sistema di memorizzazione costituito da “vie neurali”, una sorta di sentieri mentali che diventavano più chiari e distinti a forza di essere usati.

 

I tempi della memoria
 
La prima importante teoria della memoria venne proposta nel 1971 da Atkinson e Shiffrin. La loro teoria multiprocesso o multimodalità considerava il funzionamento del sistema mnestico frutto dell’interazione tra sistemi diversi interconnessi e non, come sottintendevano le teorie precedenti, riconducibili ad un sistema unico. Secondo questi autori l’informazione in entrata viene conservata per pochissimo tempo in un sistema di memoria sensoriale, poi viene parzialmente codificata e conservata nella memoria a breve termine e infine, ma solo in certi casi, viene trasferita nella memoria a lungo termine. Vediamo più nel dettaglio ognuno di questi sistemi. 
 
La memoria sensoriale implica la conservazione dell’informazione visiva o uditiva (ecoica) per qualche secondo. Facciamo un esempio. Chi ha provato a muovere velocemente una sigaretta nel buio sa che viene percepita una striscia rossa nell’aria. Ebbene, in realtà la luce della brace continua a essere vista qualche tempo dopo che ha cessato di essere presente in quel punto dell’aria e quindi dopo che ha cessato di cadere su porzioni particolari nella retina oculare. Questo semplice esempio mostra come l’informazione visiva viene conservata in memoria per qualche secondo, generalmente uno o due. Alcune osservazioni sperimentali hanno messo in evidenza come queste informazioni vengono conservate in un codice molto simile all’informazione originale e che possono essere disturbate da informazioni percepite successivamente.
 
La memoria a breve termine è quello spazio mentale in cui le informazioni vengono conservate per periodi più lunghi. Secondo alcuni autori questo tipo di memoria può anche essere considerata una memoria di lavoro (working memory) perché deputata alla manipolazione non meno che alla conservazione dell’informazione. Questo magazzino di informazioni ha una capacità limitata. Sottoponendo alcuni soggetti a una prova di ricordo di sequenze di numeri e lettere, Miller (1956) giunse alla conclusione che si possono ricordare al massimo sette (più o meno due a seconda della difficoltà del compito) elementi nella memoria a breve. 
 
Nei compiti di rievocazione è possibile osservare un curioso fenomeno. Si ha la sensazione, tra l’altro confermata dagli esperimenti di laboratorio, che le informazioni ricordate più facilmente all’interno di una qualsiasi sequenza siano le prime o le ultime. Le prime perché sono quelle memorizzate quando “la mente era più fresca” (effetto primacy), le ultime perché sono le informazioni assimilate più di recente (effetto regency). Quale di questi due fenomeni sia prevalente sull’altro non è stato mai stabilito. 
 
La memoria a lungo termine è quella che conserva tutte le informazioni sul nostro passato. Se ricordiamo episodi della nostra infanzia è grazie a questa componente del sistema di memoria. I meccanismi che trasferiscono un’informazione dalla memoria a breve alla memoria a lungo termine sono oggetto di un infinito dibattito. 
E’ possibile fare una distinzione tra diversi tipi di memoria a lungo termine. La prima distinzione che può essere fatta è tra conoscenza procedurale e dichiarativa. Quest’ultima corrisponde alla conoscenza fattuale, ad esempio “Roma è la capitale dell’Italia”. Spesso questa conoscenza può essere appresa attraverso lo studio o anche mediante una sola osservazione. 
 
La conoscenza procedurale ci dice invece come fare qualcosa. Se sappiamo allacciarci le scarpe o tagliare una torta è perché abbiamo acquisito questo tipo di conoscenza attraverso l’esercizio e la ripetizione.
Vi sono due tipi di conoscenza dichiarativa: quella episodica e quella semantica. La prima riguarda proposizioni circa esperienze o episodi del passato come “L’anno scorso sono andato a Parigi”. La conoscenza semantica rappresenta invece fatti indipendenti dal momento in cui sono stati appresi, ad esempio “2 x 2 = 4”.
 
Alcune recenti teorie sulla struttura della memoria parlano invece di reti neurali, considerando la memoria nient’altro che una rete di associazioni tra contenuti, fatti e procedure. Tale teoria avrebbe anche un corrispettivo fisiologico nella struttura del sistema nervoso centrale costituito da collegamenti (sinapsi) tra neuroni. Una conferma di questa teoria viene da una specifica mnemotecnica che suggerisce, quando non si ricorda qualcosa, di cercare di ricordare qualcosa di “prossimo” a quel ricordo, magari legato al momento in cui si è memorizzata l’informazione o a contenuti o emozioni ad esso vicini. 

 

 

L’apprendimento

 

Imparare ad apprendere

 

Tutti sappiamo che è più “facile” imparare concetti e nozioni che ci interessano. Eppure gli studi hanno dimostrato che la nostra performance può essere ottimale indipendentemente dal nostro interesse in un dato argomento. Perché? E che cosa possiamo fare per imparare meglio, più in fretta e più profondamente? 
 
L’apprendimento è un processo psicologico complesso che interessa le facoltà superiori della nostra mente. Quando poi l’apprendimento è rivolto verso specifiche materie di studio si fa evidente la necessità di adottare delle strategie efficaci che ci permettono di acquisire una serie di nozioni in un tempo ragionevole. Da tempo gli psicologi hanno individuato una specifica abilità generale di apprendimento: il learning to learn (apprendere ad apprendere). Questa capacità può essere sviluppata e migliorata attraverso varie tecniche. 
 
Le variabili sulle quali è più opportuno agire per migliorare la propria capacità di apprendimento sono lamotivazione e l’attenzione. Difficilmente il livello attentivo e motivazionale si mantiene costante nel tempo. Più spesso succede che ci sono momenti in cui è facile prestare la propria totale attenzione a un testo, mentre altre volte ciò ci risulta molto difficile. Generalmente l’attenzione varia con un ciclo caratterizzato da un periodo di circa un’ora e mezza. Questo significa che in questo periodo viviamo una fase di circa 45 minuti nei quali la nostra attenzione è molto vigile e 45 minuti in cui l’attenzione è bassa. Si tratta ovviamente di tempi medi, variabili a seconda del soggetto, della natura del compito, del tipo di sollecitazione esterna.
 
Quando si è molto motivati ad apprendere, ad esempio perché sappiamo che è imminente un importante esame, i momenti di disattenzione, pur presenti, sono ridotti a periodi di pochi minuti. In questi casi una breve pausa o una variazione dell’attività è spesso sufficiente a recuperare le energie attentive per riprendere lo studio. 
 
A molti sarà capitato di fare giorni di studio intenso pochi giorni prima di un esame. Livelli di motivazione molto alti, infatti, consentono di poter studiare per molte ore con il massimo grado di rendimento. E’ infatti noto che la nostra mente lavora molto meglio e apprende più velocemente quando è sotto stress (lo stress benefico o eustress). Periodi di studio così intensi, tuttavia, possono essere tollerati solo per tempi piuttosto brevi, altrimenti si assisterebbe a un aumento incontrollato dell’ansia e degli effetti negativi dello stress (distress). 
 
Una serie di capacità sicuramente fondamentali per iniziare un periodo di apprendimento particolarmente produttivo vanno sotto il nome di “autocontrollo”, intendendo con questo termine la capacità di porsi degli obiettivi in modo autonomo, stabilire dei piani e delle strategie efficaci per raggiungerli e organizzarsi per mettere in atto quanto deciso. L’autocontrollo ci permette di essere molto controllati nella nostra attività di apprendimento e di essere guidati più dalla nostra volontà che da eventi esterni o da decisioni prese da altri. 

 

Gli ostacoli
 
I principali ostacoli a qualsiasi attività di apprendimento sono le “idee irrazionali” che al di là di ogni logica e di ogni buon senso, per il loro contenuto sono alla base di molti insuccessi personali, scolastici, professionali, sportivi. E’ possibile citare tre esempi di queste idee: la tendenza a catastrofizzare gli eventi temuti, la tendenza a crearsi degli obblighi, la tendenza a far dipendere il giudizio globale su di noi dal risultato di una performance. 
 
Generalmente questi pensieri portano ad una eccessiva drammatizzazione del compito, alla percezione che dalla sua buona riuscita dipenda il nostro valore (ai nostri occhi e agli occhi degli altri). Questi pensieri sono spesso il risultato della storia di una persona, sono il frutto di un modo di pensare che si è consolidato con l’esperienza. 
 
Un buon metodo per superare le difficoltà che nascono da questi pensieri consiste nell’identificare le condizioni in cui si manifestano queste idee, la dinamica con la quale si sviluppano e con la quale, spesso, prendono il totale controllo della nostra mente e del nostro comportamento. Spesso è utile fare ricorso ad alcune semplici strategie quali un buon esame di realtà, che permette di prendere in considerazione le possibili (reali) conseguenze negative di un insuccesso, oppure attraverso l’ironia. 
 
Il modo migliore per apprendere qualsiasi cosa è adottare una corretta metodologia si studio. Un errore che viene spesso commesso dagli studenti è quello di cercare di apprendere tutto già alla prima lettura. Questa strategia, tuttavia, risulta spesso poco produttiva perché non permette di acquisire una visione globale dell’argomento. Una prima lettura veloce e generica del testo è un inizio sicuramente migliore anche perché fornisce una migliore chiave di comprensione per gli approfondimenti successivi. 
Solo in un secondo momento potrà essere effettuata una lettura più approfondita, punto per punto, per poter memorizzare ogni elemento importante.
 
Alla fase di comprensione del testo deve necessariamente seguire una fase di rielaborazione personale, per assicurare un ricordo a lungo termine del materiale appreso. Attraverso una ripetizione partecipe e attiva si potrà organizzare sistematicamente ogni argomento e lo si integrerà con quanto già appreso in precedenza. 
 
Per consolidare ulteriormente il ricordo può essere opportuna una fase di verifica, ad esempio sfogliando rapidamente il materiale o ripassando velocemente quanto appreso. Questa verifica è particolarmente utile per mettere in evidenza pericolose lacune e a fare interessanti associazioni tra le varie parti del materiale in corso di studio. E’ forse la parte più creativa del processo di apprendimento. 

 

L’oblio
 
La rievocazione immediata di un’informazione può mancare perché non è stata trasmessa alla memoria a lungo termine.
La rievocazione di un’informazione della memoria a lungo termine può mancare perché non ci sono sufficienti legami per metterli a fuoco.
Questa teoria spiega anche perché taluni ricordi appaiono “rimossi”: tali ricordi sono inaccessibili perché la loro presenza sarebbe inaccettabile per il soggetto a causa dell’ansia o dei sentimenti di colpa che potrebbero attivare. Non sono perciò scomparsi, ma il subconscio evita che le associazioni necessarie si formino.
Gli individui colpiti da amnesia non dimenticano tutto, solo degli elementi personali. Ciò avviene spesso per un trauma emotivo al quale l’amnesia permette di sfuggire. Spesso poi parte di tali ricordi riaffiora quando vengono evocati dalle giuste associazioni. 

 

 

Consigli pratici 

 

Poiché l’ippocampo si occupa della funzione di selezionare le informazioni da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l’apprendimento e l’oblio sono notevolmente influenzate dalle emozioni positive e negative.
L’ippocampo è una formazione nervosa situata sul margine inferiore dei ventricoli laterali, sopra il cervelletto. L’ippocampo fa parte del “sistema limbico” che è la zona del cervello deputata a gestire le emozioni.
Se si prova disgusto per una materia, la possibilità di apprenderla è scarsa.
Un apprendimento di base positivo (“apprendimento giocoso“) stimola il ritmo di trasferimento nella memoria secondaria, al contrario un atteggiamento negativo rende più difficile l’apprendimento.
Un atteggiamento positivo può nascere spontaneamente, ma può essere notevolmente incrementato stimolando la motivazione, anche l’auto-motivazione. 
 
Essendo l’ippocampo deputato alla filtrazione dei stimoli da trasferire alla memoria, bisogna cercare di associare alle nozioni che si vogliono ricordare delle emozioni positive. Bisogna cercare di trovare, anche in una materia apparentemente ostica, dei motivi di interesse sia diretti, sia indiretti (per esempio dei vantaggi che tale conoscenza potrebbe fornire). Bisogna cercare motivazioni positive e, se non ci sono, crearsele con l’automotivazione
 
In questa fase di automotivazione si devono utilizzare tutte le tecniche di convincimento e di comunicazione di cui si dispone. Può durare anche a lungo, ma i risultati sono sorprendenti. 
Se si intraprende un nuovo corso di studi, se si decide di imparare una lingua bisogna prima essere “realmente” convinti che la materia ci interessa e cercare di stimolare tale interesse al massimo, apprezzandone tutti gli aspetti positivi, anche marginali o indiretti. Questo processo può richiedere molto tempo e può avvenire in contemporanea allo studio. 
 
Per migliorare l’apprendimento di una singola nozione, tenendo conto dei meccanismi citati, conviene ripeterla più volte e creare più associazioni possibile. In tal modo sarà certamente più facile richiamarla. Per un nome si possono creare associazioni tra una parte di esso e nozioni a noi note, per un numero, ad esempio una data, delle associazioni con altri numeri o semplicemente delle associazioni “interne” al numero stesso.
 
con estratti di Daniele Monzani (duepiu.net) e benessere.com – adattamento di Alan Perz
 
approfondimento su www.sublimen.com 
 
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