Accettare i propri limiti

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Accettare i propri limiti

del Prof. Luigi Mastronardi*

(tratto da disinformazione.it)

Cosa sono i limiti?

La parola «limite» fa pensare ad un punto di arrivo che impedisce di andare oltre, blocca un
percorso, una metà, un obiettivo, qualcosa che si sta perseguendo. E’ una sensazione non bella
sentirsi frenati, sentire un «impedimento a», rendersi conto, che non si riesce ad andare più in là
di dove si è arrivati fino a quel momento. Si sperimenta un limite nell’agire e probabilmente si
vive tutto ciò con profonda sofferenza.
Noi es facciamo i conti giornalmente con i nostri limiti, che si identificano più spesso nel non
riuscire bene in qualcosa, come non essere portati per un particolare mestiere, difficoltà nei
rapporti interpersonali, caratteristiche del carattere, etc.

Quando vogliamo raggiungere un obiettivo e non riusciamo nonostante tutti gli sforzi, sembra che
qualcosa dentro di noi non funzioni e questo è sempre causa di molta sofferenza, perché ci costringe
a rivedere quello che stiamo facendo e spesso gli obiettivi che ci siamo posti.
Se ci pensiamo sin da bambini sperimentiamo limitazioni: i nostri genitori per proteggerci ci
pongono delle regole, cercano di preservarci da un pericolo ed inoltre ci danno dei confini con i
quali rapportarci al mondo esterno, nel rispetto nostro e degli altri. Come si può vedere, abbiamo
sempre fatto i conti con limitazioni, fa parte della nostra natura umana, alla quale facciamo molta
fatica ad adattarci.

Quando sperimentiamo i nostri limiti?

Il limite si sperimenta solo attraverso l’esperienza, perché attraverso di essa possiamo renderci
conto «di che pasta siamo fatti». Attraverso di essa conosciamo il mondo, conosciamo noi stessi,
dove riusciamo a realizzarci dove invece facciamo più fatica, cosa ci piace fare e cosa non ci
piace. Ogni volta che facciamo un’esperienza ci specchiamo con noi stessi e ci diciamo come è andata
e se ci piacerebbe continuare. Non possiamo a priori decidere ed essere sicuri di non riuscire,
perché il pensiero di fare ci spaventa. Il nostro limite in questo caso è la paura, che in genere si
manifesta per la poca fiducia che abbiamo nelle nostre capacità.

E’ giusto e sano sperimentare i nostri limiti, che sono semplicemente qualcosa che ci obbliga a fare
i conti, ci fa tornare sui nostri passi i quali ci faranno scoprire piano piano la nostre mete più
vere. Si, il limite che noi sentiamo ci riporta inevitabilmente a noi stessi ,quindi a
ridimensionare i nostri obiettivi, riducendo l’orizzonte per quelli meno raggiungibili e
allargandolo invece per quelli che possono far parte realmente di noi.

Perché si fa fatica ad accettare i nostri limiti?

Perché non siamo ancora riusciti a capire ed individuare pienamente chi siamo, i sentimenti più
profondi nei confronti della vita, che ci possono guidare verso maggiori soddisfazioni.
Molto spesso accade che non ci viene riconosciuto quello che facciamo, o più spesso c’è mancato nel
tempo quell’incoraggiamento a fare, quindi, ecco che avremo difficoltà a riconoscerlo per noi stessi
quando ne abbiamo bisogno. Le frasi come : «Sono bravo a …», « Sono in grado di …», «Mi piace molto
fare…» evidenziano una certa consapevolezza di se stessi, la conoscenza di qualcosa di noi che ci
presenta all’Altro.
Quando tutto questo manca, quindi manca la parte più vera di noi, inevitabilmente cerchiamo
qualunque altra cosa sia fuori di noi, è inevitabile. Abbiamo bisogno di identificarci in qualcosa,
ma questo qualcosa può non essere propriamente nostro, quindi sperimentiamo la frustrazione di non
poter riuscire, viviamo un fallimento.

Un noto autore della terapia della Gestalt scrive che l’orientamento verso uno scopo ricercato al di
fuori della relazione personale organismo-ambiente, ci porta inevitabilmente in una condizione di
conflitto e scissione: «ogni individuo ogni pianta, ogni animale ha solo uno scopo…realizzarsi per
quel che è. Una rosa, è una rosa. La rosa non ha nessuna intenzione di realizzarsi come canguro»
(Perls, 1969 a p. 39). Un esempio molto semplice ma realistico è quello di chi vuol fare il cantante
e non ha una voce eccellente per poter fare molta strada. Per qualche misterioso motivo ha scelto
questa via, ci prova, gli viene detto che la sua voce è buona ma non abbastanza per cui avrà poco da
sperare di andare avanti. Ma lui continua, non accetta questa verità, continua a sperimentare
inevitabili fallimenti e “No” da parte dell’ambiente musicale, non si arrende…sarebbe troppo
doloroso. Soffre. Che sforzo dover pensare di abbandonare questo sogno inseguito per anni,
perderebbe l’unica cosa per cui ha lottato veramente, per cui ha sofferto veramente, che ama.

Questa persona prima o poi capirà che il suo star bene dipende dall’accettare il fatto che al suo
talento c’è un limite, ma non per questo sarà obbligato ad abbandonare tutto. Potrà continuare a
lavorare in qualche locale, formare un gruppo con degli amici :in fondo è un lavoro che ama, perché
abbandonarlo? Dovrà ridimensionare la sua meta, non rinunciare completamente. Forse in questa nuova
realtà scoprirà la gioia di cantare, che nell’ansia di riuscire probabilmente aveva perso. Perché
non ha pensato prima a questo? Forse doveva dimostrare qualcosa a qualcuno, è amante delle cose
difficili, pensava che il successo è il massimo a cui una persona possa aspirare, è li che si trova
la felicità. Forse potrebbe aver successo in un’altra cosa, sviluppando un altro talento, ma ora sta
a lui scoprirlo.
Questo è più o meno scontrarsi con il proprio limite che inevitabilmente ci obbliga a riscoprirci di
nuovo dopo un fallimento, ma «senza frustrazione non c’è alcun bisogno, nessuna ragione di
mobilitare le proprie risorse, di scoprire che potresti essere capace di fare qualcosa da solo» (op.
cit. 1969 a p. 40).

Il segreto sta nel non dire di no all’esperienza: solo attraverso di essa possiamo conoscerci nei
punti forti e in quelli un po’ più deboli. Dobbiamo accettare di non essere perfetti, di non potere
tutto e a dir la verità questo potrebbe anche consolarci, perché non si avrebbe neanche il tempo per
dar retta alle numerose voci interiori. Quelle che impariamo a conoscere e che ci rendono felici,
sono quelle che con fiducia possiamo iniziare ad ascoltare ed inseguire per la piena realizzazione
di noi stessi.
Assumersi la responsabilità della propria vita significa dare a se stessi la possibilità di
perdonarsi per la propria imperfezione e, perché no, di gioire, sorridere dei propri difetti ed
errori: «amo tutti gli incontri imperfetti di bersaglio e freccia che mancano il centro, a sinistra
e a destra, sopra e sotto. Amo tutti i tentativi che falliscono in mille modi diversi…amico non aver
paura dei tuoi errori. Gli errori non sono peccati. Gli errori sono modi di fare qualcosa di
diverso, forse nuovo in senso creativo. Amico non pentirti dei tuoi errori. Siine fiero. Hai avuto
il coraggio di dare qualcosa di te stesso» (op cit. 1969 b p. 103)
E’ così che si costruisce l’autostima, provando, tastando il terreno ed edificando su quello che più
ci soddisfa. Un autore contemporaneo «Camisasca» scrive: «più lontano vai, sempre meno conosci!».

* Luigi Mastronardi: laureato in Filosofia e in Psicologia, docente al Corso di Perfezionamento in
Psicoimmunologia nella Facoltà di Medicina e Chirurgia della «La Sapienza» di Roma, Presidente
dell’AISP – Associazione Italiana di Scienze Psicologiche, Vicepresidente della S.I.M.BEN (Società
Italiana di Medicina del Benessere) e Direttore della scuola di specializzazione in «Psicoterapia
Dinamica Breve».

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